Perché non leggo libri con la parola feeling nell’incipit
Mi piace nello scrittore la
mancanza di ogni attitudine sociale, l’incapacità anche arrogante (me ne sto in
un angolo a depensare) di arringare un pubblico con aria di conoscerlo, di
avere domiciliato nello stesso letto che oggi è fatalmente letto televisivo.
Quindi poca o nulla visibilità televisiva (Debord, Ceronetti), libri che non nascono per intrattenere platee ma per esigenze anche compulsive, viscerali, brutali (Artaud, Sade), facce scavate dallo stile, che è il carattere (Benn, Pasolini). Carattere che è la ferita essenziale della psiche, la grande incisione del collettivo sulla pelle. È nell’urto fra individuo e mondo, nello shock che ne consegue, nell’enorme spargimento di sangue e parole, che si trova la grande letteratura, non nell’acquiescenza a modelli interpretativi a consumo delle folle. E niente consolazione per favore, niente linguaggio plastificato di matrice sociale, niente imitazione della sedicente Verità. Lo stile è la dura conquista della solitudine e dei solitari, il linguaggio si plasma nelle conversazioni interiori, e là che affiora quella bestia sacra chiamata pensiero. La letteratura sia dunque uno sguardo di demone sulle nostre consuetudini angeliche, o viceversa uno sguardo angelico sulle nostre ebrietudini demoniache.
3 ottobre 2010
Ettore Fobo
Mai come adesso urge dispiegare l'urlo di lacerazione tra individuo e mondo. Più attuali che mai queste parole. E se le parole non devono mai consolare, consola molto me sapere che arriveranno nuovi spunti, nuove parole crude ad accendere il pensiero.
RispondiEliminaUn saluto
Elena
RispondiEliminaSì è necessario "accendere il pensiero" cioè il desiderio. Grazie Elena.
Ettore
Preferisco restare nell’ombra, con queste folle, piuttosto che acconsentire ad arringarle nella luce artificiale manipolata dai loro ipnotizzatori.
RispondiElimina[Guy Debord]
RispondiEliminaGrande Debord! Grazie della citazione, Humachina.