venerdì 7 marzo 2025

Poesia e tristezza: verità e miti


 


“Chi ride è padrone del mondo.”

Giacomo Leopardi

“Il sentimento della gioia è il sentimento più propriamente etico.”

Gilles Deleuze

 

Sto vagando fra gli aforismi di Cioran contenuti ne “Il crepuscolo dei pensieri”. Si tratta di affrontare una delle scritture più avvolgenti, stratificate, proteiformi e infine pienamente chiaroveggenti del Novecento. Sentenze che affiorano da un magma infuocato sembrano prendere per mano il nostro smarrimento di bipedi automatizzati e condurlo alla vertigine. Mi colpiscono soprattutto le riflessioni sulla tristezza “La soglia del suicidio? Un brivido che segue una risata travolgente”, “Persino la tristezza è un’arte”, “L’infelicità è lo stato poetico per eccellenza”, “Che cosa significa essere poeta? Non essere distante dai propri dolori, coincidere con la propria infelicità”.

Apparentemente nessuno può negare la verità di queste asserzioni che fanno il paio con quelle di Balzac, “La poesia è dolore”, e di Ceronetti “Il poeta è colui che porta in sé la pena di tutti” e con decine (centinaia?) di altre simili.

Ecco è questo il punto. Il poeta è certo il crogiuolo di sofferenze universali, universali dico e non particolari, biografiche o esistenziali.  È vicino al fuoco dell’essere da cui esse scaturiscono come ombre su uno specchio. Ma per portare il peso della pena di tutti occorre una forza enorme che il vero poeta incarna: la gioia. Per portare il peso della pena di tutti bisogna essere gioiosi come infanti.  Può apparire contraddittorio ma non lo è affatto. Come è possibile infatti tollerare questo universo dolore d’esistere, se al fondo non si è profondamente immuni da questo stesso dolore? Una gioia inscalfibile che sorregge tutto il dolore del mondo, come Atlante regge il globo terrestre e si coagula in forma e come forma splende su tutte le miserie e le contingenze. Allora anche il dolore è solo una pantomima, come già denunciava Pessoa: “Il poeta è un fingitore: finge che è dolore, il dolore che davvero prova. “

La scrittura di Cioran è un congegno che funziona ad alta intensità e a frequenze di profondità inevitabili come un destino. La sua bacchetta di rabdomante trova soprattutto le acque stagnanti ma ancora più a fondo un’acqua cristallina la memoria disseta. Parlando di poesia- perlomeno in queste asserzioni perché altrove la sua sonda scova esattamente i movimenti impercettibili del magmatico humus della poesia- Cioran rimane un filosofo, lo scintillio del suo stile profondo non riesce ad abbracciare l’intero periplo dello sguardo poetico, gli sfuggono le bizzarrie della sua lingua biforcuta, ancipite e ambigua, sfuggono al suo impalcabile radar e Cioran pare fissarsi, come tutti, sulle apparenze. Sbatte il suo genio contro un muro del pianto, il cui cemento, però, è solo illusorio; posto che questa illusione è composta dai detriti di tutte le verità frantumate. E dunque ancora una volta Nietzsche: chi sa filosofare con il martello scopre al fondo di questa universa vanità di esistere lo zampillo di una sorgente eterna. Per cui, in un aforisma che non deve passare inosservato, Cioran scrive che Nietzsche stesso non è nient’altro, come Pascal, che Nietzsche tra l’altro per certi versi aborriva, un “reporter dell’eternità”. Alla bruttissima faccia di chi continua a credere che Nietzsche sia un filosofo del nulla, un nichilista, cioè l’ennesima piattola incrostata sullo scroto di Cronos, il Tempo.

Ettore  Fobo

2 commenti:

  1. Dioniso è un fanciullo circonfuso di luce, che viene innanzi sorridendo.
    Aion, non Chronos, è il fanciullo.
    Ciao Ettore.

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    1. "Aion è un fanciullo che gioca spostando pezzi su una scacchiera: reggimento di un fanciullo." Ciao Humachina.

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