È
con grande orgoglio che vi comunico che “Canti d’Amnios” è risultato finalista
alla decima edizione del "Premio Letterario Internazionale Città di Sarzana". Ringrazio
la giuria tutta. Riporto di seguito l’intervista che mi ha fatto la gentilissima
professoressa Marisa Vigo, in occasione del Festival degli Autori di qualche settimana
fa. Esiste anche un video a questo link. Vi ringrazio dell’ascolto.
Ettore Fobo
Marisa Vigo: Il
taglio filosofico esistenzialista Le è connaturato o trova anche
influenze e solleciti da parte di Autori letti e condivisi?
Ettore
Fobo: Penso che molti autori abbiano segnato la mia vita in maniera profonda,
in qualche caso forgiandola. Mi considero soprattutto, più che uno scrittore, più che un lavoratore, più che un consumatore, forse persino più che un poeta, un lettore.
Fra gli autori che mi hanno segnato sin dall’adolescenza
e che hanno avuto un’influenza sulla mia vita, non seconda a quella che hanno
avuto i miei genitori e il contesto sociale in cui siamo immersi, cito due nomi
su tutti: Charles Baudelaire e Friedrich Nietzsche.
Perché
esiste in me questa rottura radicale,
originaria, fondante, con gli enunciati discorsivi dominanti, direi nella nostra intera civiltà occidentale,
non solo di questa società particolare
che ne è un’espressione.
La
poesia è questa rivolta linguistica, silenziosa, non appariscente, invisibile,
ma non vana perché rinnova il
linguaggio, lo mette davanti ai suoi buchi neri, ne ritrova la musica segreta. Come ha
mostrato Rimbaud, è una rivolta contro il Tempo, contro la Morte, contro Dio.
Rivolta per ciò stesso destinata a un terribile scacco. Forse l’intero
Novecento ne è testimonianza.
2)
M.V: Vuole leggerne una, aggiungendo le Sue
considerazioni?
Si
tratta infatti di esplorare quella che io chiamo in questo testo ”musica del
principio”; ovvero ciò che precede la razionalità mercantile, come insieme di
codici normalizzanti e produce le
concettualizzazioni che ci appesantiscono e che
impediscono al linguaggio di fluire nel suo moto ondoso originario,
amniotico, e il dualismo della logica disgiuntiva sia restituito al gioco
albale e ambiguo delle ambivalenze e corrispondenze simboliche.
3
Ci parla del Suo stile colloquiale, scegliendo una lirica che lo esemplifichi?
(Lapsus a matita)
La
poesia, almeno per come la vivo io, è la manifestazione di un’
intersoggettività enigmatica, un colloquio tra le voci che ci abitano nel senso
di una moltelicità di maschere che alludono, non possono fare altro, a ciò che profondamente
siamo, aldilà di cio che ci raccontiamo coscientemente.
La
poesia quindi come insieme di voci che colloquiano, anche attraverso il tempo e
lo spazio, anzi mettendo in crisi, come ha fatto la fisica contemporanea,
queste stesse categorie.
Leggo
Lapsus a matita
4
A Suo
avviso dall'intelligere deriva la consapevolezza della superiorità
umana, il dramma della croce non cercata e non voluta, la ricerca
mai raggiunta del varco, o anche una luce consolatoria?
Dopo la Sua risposta, ascoltiamo anche una poesia che evidenzi il
tema.
Per
Sofocle “Sapere è patire”. Tutta la nostra consapevolezza sembra fermarsi qui.
Io vedo questo ma vedo anche altro, il sapere lo considero un risveglio, preferibile al sonno dell’ignorare. Non c’è
però superiorità ontologica dell’uomo sugli altri animali perché ciascun essere
vivente realizza la propria essenza secondo necessità.
Leggo I know the world
5
Completiamo con la Sua percezione dell’esistenza che non quaglia e che
l'affianca alla posizione della poetessa Piera Oppezzo, vissuta nel
secolo scorso, da Lei citata nella Sua Opera. Era convinta che “nella vita o si
vive o si scrive". Leggendo la Silloge la funzione da Lei assegnata alla
Poesia appare poliedrica, mutevole, ondivaga, tra il fluire spontaneo e
motivato di pensieri e di emozioni, il dubbio che non abbia né vigore, né
scopo, l’atteggiamento maudit di chi contesta e dissacra. Oggi, giunto
all'età di 46 anni, pensa che la Sua poesia sia approdata ad un punto fermo? A
Lei e ai Suoi versi la risposta.
Negli
anni sono stato attraversato da numerosi flussi poetici e ho fatto esperienza
di visioni differenti della poesia stessa.
Quello
che è rimasto costante è la consapevolezza di un incessante divenire che ci
plasma indipendentemente dalla nostra volontà cosciente. La poesia è proprio
quella sonda utile per captare queste metamorfosi.
Per
quanto riguarda la distinzione anche pirandelliana fra vivere e scrivere c’è
sicuramente della verità. Non fosse che scrivere ci pone nel nucleo stesso delle
nostre umane contraddizioni e quindi è un’esperienza profondamente e spesso
terribilmente vitale.
Leggo
Amnios
Nessun commento:
Posta un commento