Per capire da dove parte la mia fascinazione per quella che Flavio Ermini chiama “l’esperienza poetica del pensiero” mi sono aggirato fra i ricordi infantili, dove ho recuperato questi versi di Salvatore Quasimodo, la lirica intitolata “Milano 1943”, fra le primissime poesie che mi impressionarono da bambino. Nato a Milano, vivendo nel suo hinterland, sentivo in questi versi riecheggiare la storia recente del mio paese e del mondo e assurgere infine alla sua verità metafisica profonda. Con emozione ve li propongo.
Milano 1943
Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s'è udito l'ultimo rombo
sul cuore del Naviglio: E l'usignolo
è caduto dall'antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.
***
da " Giorno dopo giorno"- Salvatore Quasimodo- (1947)
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