martedì 26 settembre 2023

Ancora su Leopardi

 


Che Leopardi sia un mero pessimista, o addirittura un tristo figuro delle lettere, è uno spregevole stereotipo, avvilente per coloro che lo sostengono, cioè per coloro che non lo hanno letto, anche se non si tratta solo di questo ma parlarne ora sarebbe un fuori tema.

Da poeta, Leopardi ha distillato un canto dolcissimo e struggente, ma anche tremendo e amaro, perché questa è la vita nella sua implacabile molteplice essenza; da filosofo ha sperimentato infinite sottigliezze e visto le illusioni rovinose della nostra epoca: sotto il segno delle Magnifiche Sorti Progressive di una Specie in realtà votata al dolore e al nulla e al dolore del nulla. Specie che desidera l’impossibile, perché questa, come Leopardi stesso ha mostrato, è la sua infausta fatalità.

Perché se è manifesta la natura angelica di quel daimon, di quel punto di singolarità, di quel vortice di chiaroveggenze, armonie e dissonanze che ebbe il nome di Giacomo Leopardi, come nota Ceronetti, è altrettanto evidente la sua natura di grande stregone di quello struggimento, che ci libera da qualsiasi “infinita vanità del tutto” e ci desta nell’estasi di un assoluto stupore davanti al mondo.  Bisogna, però, essersi fatti spellare le ossa da questo senso di spaventosa vanità per acquisire queste intensità e lucidità visionarie. Il dono di poesia fatto all’indifferente mondo si paga sempre caro.

Capace di lodare la libertà nomade degli uccelli, devoti a un canto universale, e di irridere l’umano nella sua pretesa di essere il centro di un fantomatico universo, nell’ Operetta su Copernico, molto ironica a dispetto di qualsiasi immaginario tono lugubre; lucidamente spietato  nel momento delle rivelazioni filosofiche di “A se stesso"; evocativo di un impossibile trasporto metafisico nell’”Infinito”,  vicino al vagabondaggio dei pastori mongoli,  colmo di una pietas verso il vivente che commuove e soprattutto libera da tutte le pesantezze e pestilenze dello spirito, al tempo stesso implacabile nel sentire il dolore proprio, nel percepire,  fin nelle midolla, la condanna umana alla consapevolezza della propria caducità   e molto, moltissimo  altro ancora. Impossibile circoscrivere la sua erranza.  Moltissime sono le sue incarnazioni. Un prisma di una luminosità purissima e stregata. Una luce che improvvisa si è accesa nel mondo e non si è fatta spezzare dalle avversità. Come un diamante. Per questo diciamo: Giacomo Leopardi. Tutto il resto è letteratura.

Ettore Fobo

 

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