Che Leopardi sia un mero pessimista, o addirittura un tristo figuro delle lettere, è uno spregevole stereotipo, avvilente per coloro che lo sostengono, cioè per coloro che non lo hanno letto, anche se non si tratta solo di questo ma parlarne ora sarebbe un fuori tema.
Da poeta, Leopardi ha distillato
un canto dolcissimo e struggente, ma anche tremendo e amaro, perché questa è la
vita nella sua implacabile molteplice essenza; da filosofo ha sperimentato
infinite sottigliezze e visto le illusioni rovinose della nostra epoca: sotto
il segno delle Magnifiche Sorti Progressive di una Specie in realtà votata al
dolore e al nulla e al dolore del nulla. Specie che desidera l’impossibile,
perché questa, come Leopardi stesso ha mostrato, è la sua infausta fatalità.
Perché se è manifesta la natura
angelica di quel daimon, di quel
punto di singolarità, di quel vortice di chiaroveggenze, armonie e dissonanze
che ebbe il nome di Giacomo Leopardi, come nota Ceronetti, è altrettanto evidente
la sua natura di grande stregone di quello struggimento, che ci libera da
qualsiasi “infinita vanità del tutto” e ci desta nell’estasi di un assoluto
stupore davanti al mondo. Bisogna, però,
essersi fatti spellare le ossa da questo senso di spaventosa vanità per
acquisire queste intensità e lucidità visionarie. Il dono di poesia fatto
all’indifferente mondo si paga sempre caro.
Capace di lodare la libertà nomade
degli uccelli, devoti a un canto universale, e di irridere l’umano nella sua
pretesa di essere il centro di un fantomatico universo, nell’ Operetta su
Copernico, molto ironica a dispetto di qualsiasi immaginario tono lugubre; lucidamente spietato nel momento delle rivelazioni filosofiche di
“A se stesso"; evocativo di un impossibile trasporto metafisico nell’”Infinito”,
vicino al vagabondaggio dei pastori
mongoli, colmo di una pietas verso il vivente che commuove e
soprattutto libera da tutte le pesantezze e pestilenze dello spirito, al tempo
stesso implacabile nel sentire il dolore proprio, nel percepire, fin nelle midolla, la condanna umana alla
consapevolezza della propria caducità e
molto, moltissimo altro ancora.
Impossibile circoscrivere la sua erranza. Moltissime sono le sue incarnazioni. Un prisma
di una luminosità purissima e stregata. Una luce che improvvisa si è accesa nel
mondo e non si è fatta spezzare dalle avversità. Come un diamante. Per questo
diciamo: Giacomo Leopardi. Tutto il resto è letteratura.
Ettore Fobo
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