Ballata della ragazza di Novi- Guido Ceronetti

martedì 17 marzo 2009

"E tu dagliene, dagliene ancora !"
Dietro l'uscio Elettra gridava
"Dagliene ancora ancora !"
Mentre Oreste la madre pugnalava


A Novi Ligure una ragazzina
Madre e fratello tranquilla sventra
Fa un mattatoio di quella villa
Con un coltello tolto in cucina.


Guàrdati madre da quel faccino
Che va alla scuola covando morte.
Domani sera ti verrà incontro:
Nei suoi occhi vedrai chi ti assassina


Scesa in giardini strepita " Aiuto !"
Grida agli accorsi: " Ci hanno aggrediti
Io per miracolo sono sfuggita
Furie parevano... nel buio svaniti..."


Tremendo il crimine ma misterioso
Assente il padre tornando vede
Lei dalle guardie portata via
Col suo stregato complice amoroso


Crudele enigma d'adolescente
Che dentro d'odio un oceano cela.


Duemila e uno e pur sempre scruti
Gli stessi abissi torvi dei miti.


D'Argo Dioniso trasse più vita.
Discetta il dotto d'Ellade e Fato.
Ma a Novi giace un sangue impurgato,
Cronaca smorta, irredimita


Dice la gente: sia demolita
La casa invasa da tanto crimine.
Il padre invece ne lava i muri,
Spera il cancello spinga una sera
L'amara figlia.

Le ballate dell'angelo ferito- Guido Ceronetti

giovedì 12 marzo 2009


Ancora una volta con questo piccolo libro di poesie Guido Ceronetti si interroga e ci interroga sul tema del male, del dolore e della violenza, che impregnano un mondo in cui il poeta riconosce e nomina le ferite che un progresso scriteriato ha lasciato su quello che un tempo era considerato sacro, la natura per esempio, giacché “ ogni albero è un angelo ferito”. In queste ballate, spesso dal tono narrativo, vengono isolati alcuni momenti estremi della vicenda umana, dall’omicidio di Kennedy alla strage di Beslan, dai lager all’assassino dei Romanov, dalle Torri gemelle al patibolo di Beatrice Cenci, eventi che acquistano nei versi di Ceronetti tutta la loro drammatica realtà di schegge dell’occulto, manifestazioni di una crudeltà che non dà scampo, e che davvero lascia sgomenti il poeta e noi con lui, che lo seguiamo in questo itinerario, confidando nella possibilità di capire, e quindi di guarire dalle nostre personali inclinazioni all’orrore. La poesia per Ceronetti è un farmaco contro i mali del linguaggio e della vita, con la sua oscurità redime il chiasso che ormai ci assedia con i suoi artigli di luoghi comuni barbari e vaniloqui aggressivi e feroci, è una luce che riscalda il lamento delle inanità colloquiali, e con la sua misteriosa lampada d’enigmi appena sussurrati, svela le tensioni musicali del linguaggio. Talvolta può denunciare vite malvissute, che sono le propaggini di un male di vivere universale, che la poesia stessa ha il compito di rischiarare, ora con la presenza di un'addolorata ironia, ora con un sarcasmo che in Ceronetti è quasi pedagogico, più spesso con l’esercizio di una pietà, che non è per il poeta un semplice artificio retorico, ma la sostanza stessa del suo grido e della sua estetica.
Così in una delle poesie più toccanti, quella sulla strage compiuta dai due sedicenni di Novi Ligure, la figura del padre chiude i conti con l’orrore con il suo disperato perdono che, rielaborato nei versi del poeta, ci tocca ancora più profondamente, diventando egli il simbolo di un’umanità dolente, che non vuole rassegnarsi alle dinamiche del mostruoso. In alcune poesie, Ceronetti arriva anche a demistificare l’orrore, ma sempre mostrandoci in filigrana le trame di un fato invincibile, a volte facendo vibrare, nella musicalità dei suoi versi, il suo personale convincimento che tutto è sofferenza, e che talvolta davanti a certi comportamenti non c’è nessuna possibilità di perdono, come nella vicenda di quei bambini, e di quell’uomo che volle condividere la loro sorte, deportati nel lager di Treblinka e là uccisi con il gas o ancora nella drammatica storia dei bambini trucidati a Beslan. Sul tema del suicidio della figlia di Sironi tocca la vertigine di un pathos, traverso cui persino la luce sembra patire il dolore puramente umano di un padre che perde la figlia in maniera così terribile, su Rosa Vercesi, assassina dell'amica Vittoria, il poeta, che già le aveva dedicato un libro intenso, ha parole di sdegno e di condanna, diversamente quando il tema è quello delle vittime Ceronetti trova la luce di una dolorosa pietà. Sulla vicenda di Eluana Englaro, per esempio, tenuta artificialmente in vita da “macchine crudeli “Ceronetti ha parole intense e la poesia a lei dedicata è una delle più vibranti dell’intera raccolta. In un'Italia che congiura contro di lei per farla rimanere”priva di morte e orfana di vita “, solo il padre raccoglie il suo lamento, mentre il clero mostra tutta la sua intransigente assenza di pietà, accontentandosi di mostrare un ipocrita affetto, assuefatto alla sua “ fumata teologica” e persino il Dalai Lama china il capo, davanti alla richiesta di Nirvana della ragazza pietrificata da diciassette anni di coma. Altrove una dimensione metafisica viene accennata, ora nella denuncia di una sorta di maleficio, causa della distruzione delle Torri gemelle, ora nell’intuizione di entità soprasensibili contemplate, “nella grotta di Lourdes”, da una contadinella analfabeta.
Così fra casi di cronaca e fatti storici, fra metafisica e orrore per la Storia, Ceronetti lascia un potente affresco di versi, che indicano talvolta la via della salvezza, come nel caso della preghiera rivolta a Buddha, affinché ci liberi dalla prigione dell’io, “ fabbrica di dolore”, o nell’esaltazione di una virilità che va incontro alla morte con eroismo e coraggio, o ancora nel misterioso disvelarsi di realtà metafisiche, capaci forse di riscattare questi “ grovigli di umanità perduta” che rendono spaventosa la metropoli moderna. Come sempre in Ceronetti la folla umana è inquietante: ”Turba di oziosi, suburrani, servi" e i “pochi che hanno sensibilità e mente” sono vittime di questa” canaglia bruta”.
L’angelo ferito del titolo è un personaggio che la fantasia di Ceronetti ha ricavato dalle impressioni suscitate in lui dalla visione di un dipinto di inizio secolo, e da un racconto di Wells, ed è la figura che lega queste poesie, e dà unità ai vari passaggi del libro, che nella sua asperità disegna le forme di una contemporaneità mostruosa, in cui la salvezza è affidata al canto, farmaco necessario per guarire le ferite di una società che pare avviarsi sempre di più verso un pericoloso declino intellettuale e morale, verso un’atrofia dei sentimenti più complessi, procedendo verso un imbarbarimento che più volte l’artista ha denunciato nelle sue opere. Qualcuno potrebbe obiettare a Ceronetti che la sua visione è troppo apocalittica, ma la lucida coerenza con cui il poeta sgrana il suo rosario di versi illuminanti, a mio avviso, vanifica questa obiezione e il canto dell’angelo ferito continua a cerchiare di pietà i nostri sguardi, che tenendo testa all’orrore, cercano disperatamente altri sguardi in cui fondersi, per sfuggire alle “cattività dell’ombra”, alle bruciature dei”mentali roghi”.

Aforismi proibiti e libertini- A.V- a cura di Riccardo Reim

giovedì 5 marzo 2009


Il piacere è naturalmente vivo e scintillante. Se fosse possibile paragonarlo a qualcosa, lo paragonerei a quei fuochi che fuoriescono bruscamente dalla terra e che svaniscono nel momento che il vostro occhio, colpito dallo scoppio di luce, si sforza di coglierne la causa. Sì, questo è il piacere: si mostra e sfugge. “Jean- Charles Gervaise de Latouche



La letteratura libertina del settecento francese è stata un fenomeno complesso, che questa antologia, curata da Riccardo Reim, ha il merito di mostrare in tutte le sue sfumature. L’eros ovviamente è posto al centro delle riflessioni di questi letterati, ma da questa visuale il mondo acquista altre tinte e tutte le sue convenzioni vengono affrontate, per essere dissolte in quel gran fuoco amoroso che tutto arde. Così il discorso che affiora da questa raccolta fonde lirismo e oscenità, riflessioni morali e politiche, invettive contro Dio e sottili insegnamenti di seduzione, giacché nulla sfugge all’acuta analisi della società del tempo che questi scrittori scandalosi affrontano; analisi spesso distruttiva dei valori su cui la società stessa si poggiava e quindi sovversiva. Ma questi sovversivi hanno l’amore sessuale al posto della bomba, amore che viene illuminato da una luce di grazia, tanto che l’orgasmo passa per essere in uno di questi aforismi la divinità stessa, sprofondata negli abissi affascinanti della carne. La leggerezza del tono di alcuni, la sfrontatezza calcolata e spesso elegante di altri, la volgarità a volte spietata, e in particolare la lucida crudeltà filosofica di Sade, conferiscono a questo agile libretto un notevole interesse storico ma non solo, se ciascuno è alla ricerca della chiave per risolvere il mistero del sesso qui c’è, letteralmente, molta carne al fuoco. E’ proprio un vademecum per lo spesso ignoto e fuggevole territorio della voluttà, parola che in questo libro acquista tutta la risonanza magica che poi troveremo anche in Baudelaire. Gli aforismi del titolo sono in realtà frasi estratte da romanzi di autori come Diderot, Restif de la Bretonne, Choderlos de Laclos, Crebillon fils, Latouche, il già citato Sade, considerato però l’estremo sussulto di quella letteratura, il suo epilogo, nonché il suo teorico più avvincente. Sono soprattutto le parole dello scrittore di Justine a rendere irsuto il pelo del nostro più ipocrita perbenismo, specialmente nel suo continuo assalto alla divinità, degradata in più di un passo a pura superstizione di cui ridere o ad obbrobrio per la ragione, giacché solo in un mondo senza Dio, per Sade, l’uomo può ritrovare la sua libertà perduta. Egli affronta il terreno minato delle convenzioni borghesi per far esplodere la bomba di un egoismo naturale, invitando gli uomini a far cadere tutte le maschere e rivelarsi nella loro natura malvagia. Fu proprio il terribile poeta nero della distruzione, autore di quelli che sono, per alcuni, i libri più scandalosi della letteratura occidentale e pagò questo anticonformismo pericoloso con una vita fatta di prigioni e manicomi; così egli, che voleva essere carnefice, fu vittima di quella stessa ipocrisia contro di cui lanciava i suoi strali, esempio di letterato perseguitato per le sue idee sovversive. Ebbe la forza di rompere con il passato della letteratura, agendo con crudeltà per generare un altro movimento, che ebbe in Nietzsche il filosofo più eloquente. Ma oltre a Sade, altri autori hanno brillato per quel breve scorcio di passione che fu questa letteratura, che per lo più si volle pagana, satirica e scandalosa. Lo scandalo era soprattutto rivelare l’ipocrisia di un’intera società, che praticava in segreto ciò che pubblicamente deplorava. Ma non è solo sesso come si potrebbe pensare superficialmente, tutta una retorica della seduzione prende forme nelle pagine di questa antologia, si arriva persino a sfiorare il segreto che la donna custodisce, a interrogarsi sul suo fascino tanto potente, con la consapevolezza che, come scrive Mirabeu “ Molto spesso la passione degenera in furore “. Per questi scrittori la potenza della donna è la seduzione e non ci si inganna a proposito dei maschi, tesi unicamente “ ad appagare le loro passioni." Altrove invece la donna diventa la vittima sacrificale di un gioco erotico che la deve vedere sconfitta, cioè posseduta. Tanto che per un autore il “ti amo” proferito da una bocca femminile equivale a “m’arrendo”, anche se poi c’è la consapevolezza che in questa resa sta tutto il suo piacere più profondo, per i maschi insondabile e invidiato. All’origine dello scambio amoroso, c’è proprio la ricerca del piacere, che scrive Crebellion fils, solo per decenza si traveste d’amore e sentimento, alibi per mascherare la necessità profonda del godimento. Così questi brani nel loro insieme appaiono animati da un amore profondamente e liberamente carnale, per cui la sessualità, liberata dalle pastoie del moralismo, può assumere anche l’aria di un sacrificio rituale, o di una festa. C’è un trasporto che raggiunge la vertigine di una galanteria raffinata, che avvolge anche il desiderio più infuocato, c’è una passione che nomina ogni aspetto del godimento il più delle volte con una leggerezza incantata. Le massime amorali, la caustica critica sociale, le riflessioni antimonarchiche e l’anticlericalismo sono l’ulteriore lascito di questi autori,la loro manifesta opposizione, spesso irridente, ai costumi del loro tempo. Non mancano riflessioni sulla gelosia, derisa da Sade, ma considerata alla stregua di una passione fondamentale, nonostante si proclami la sua inutilità e idiozia e discorsi intorno alla virtù, non amata da questi scrittori, con la verginità spesso esecrata, e questi furono alcuni dei molteplici fattori che li posero in fortissima collisione filosofica con il cattolicesimo, e in questo sia Diderot, ma soprattutto Sade, anticiparono il pensiero di Nietzsche, forgiarono la visione di Bataille, in nome di una natura in cui non esiste alcun ordine morale, in cui il piacere è razionale, e ciò che gli si oppone malato. Ma Sade a volte si rifiuta di ipostatizzare questo principio, per ricondurre l’uomo alla sua potenza di essere libero, non soggetto a Dio, né a qualsivoglia forza naturale, diversamente dalla maggior parte di questi autori, che invece idealizzano eccessivamente la natura, considerandola come la verità pura dei sensi, in contrapposizione alle menzogne della cultura, sempre repressiva, sempre ipocrita, in questo modo rischiando di intrappolarsi nella gabbia delle necessità naturali, come scrive Giovanni Macchia. Ma se è vero che “ Non c’è amore senza delirio"come scrive Choderlos de Laclos, questo delirio deve essere vissuto con coraggio e soprattutto senza pregiudizi, altra parola aborrita da questi scrittori. In conclusione, questa antologia è bella perché offre la possibilità di avvicinarsi ad una letteratura, che dà l’idea di nascondere tesori notevoli, anche se, data la varietà, non tutti i brani sono interessanti allo stesso modo, ma penso che questo sia giusto per dare la vera sostanza di un movimento. Il messaggio quasi estatico di questi scrittori è che l’assoluta sacralità del sesso non debba essere smentita mai; essi sono stati gli alfieri di una sorta paganesimo senza dei, in cui il piacere può diventare raffinato istinto, all’arte spettando il compito di dire anche la verità più scomoda e crudele.
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