In morte di Amy Winehouse

lunedì 25 luglio 2011


"Forse l’unica legge naturale connessa con la celebrità vera consiste nella sicurezza che il celebre, prima o poi, è spinto al suicidio.“
Don DeLillo

Irrecuperabile perduta sfinita sconfitta barcollante nella sbronza definitiva,
cigno canto sgozzato e sangue, squaw Nuvola di capelli in fiamme e fiamma del soul,
dove grida la tua musica? In quale terra desolata sciama
l’onda della tua canzone più assorta e assurda e suono magico di palchi in fiamme?
Dove la tua assenza è un segno dei tempi, dove la tua voce, crisma e luce,
bagna l’eternità , non c’è notte, ma fiume e piuma e ritorno tu ora
nulla che ha trovato la pace del tutto, sempre crollando dentro il battito.
O cuore carogna, o cuore infido. Di quanti hai decretato la caduta.
Quanti pericoli in questa terra devastata.

Tu cinema diroccato di periferia londinese,
strega e fogna della ketamina, pupazzo dell’alcol.
Tu regina che piange sui cocci di bottiglia di tutti gli amori infranti.
Piccola natura morta nel regno showbiz.
Tutte le ragnatele hanno un artista al centro.
Tutte le odissee senza centro vorticanti nella tua testa,
marionetta senza fili, con gli occhi rovesciati al di dentro.

Non un esempio per la gioventù, non una stella della vecchiaia,
non un sogno rubato alle notti, non un tenero addio, non un suono di pace.
Romba romba la Storia impazzita su tutti i giornali il tuo nome e la tua morte.
Nuova preziosa stilla del tuo sangue, oh piccola stella sfigurata.

Ettore  Fobo

24 luglio 2011

Il sole dei morenti – Jean - Claude Izzo

domenica 24 luglio 2011


La lingua di Jean - Claude Izzo è fatta di frasi semplici, brevi, è una lingua pop, in cui citazioni musicali di molto cantautorato francese si accompagnano con i versi memorabili di Saint John Perse, per esempio, si confonde l’odore dell’asfalto con quello del mare, lo scrittore francese trova folgorazioni mescolate a una desolazione senza fine. Il suo compito, come mostra l’epigrafe, è di far risplendere al sole la ferita che consiste in fondo con la vita stessa, che, nel caso dei clochard protagonisti di questo romanzo, Il sole dei morenti, è un sfacelo rovinoso, un discesa nell’inferno dell’emarginazione. Mondo picaresco che riecheggia le atmosfere di Genet, mondo senza luce, quello in cui Izzo precipita la sua umanità, mondo in cui proprio come nei libri di Genet, ogni slancio di tenerezza viene spezzato da una realtà senza pietà. Il protagonista Rico, il suo amico Titì, che se lo porta via un tremendo inverno interiore, il feroce Dedè, lo scanzonato e smemorato Felix Il narratore- ragazzino Abdou, sono i personaggi che la città ha espulso come scarti di produzione, e passano la loro esistenza marginale sfondandosi con l’alcol, vivendo di espedienti se non di crimini, vegetando ai margini stessi della vita come noi la immaginiamo. Quello di Izzo è uno stile immediato, probabilmente d’ispirazione hard boiled, nelle sue parole cala il sipario del nulla sull’esistenza di questi relitti sospinti comunque verso il mare, il magico e redentore mare di Marsiglia.

La narrazione opera per flashback, il protagonista Rico a partire dalla morte di Titì, compagno di sventura, comincia a rievocare la sua vita, in maniera inizialmente caotica, sentendo quest’unico impulso: recuperare la freschezza di un suo amore giovanile, Lea, vissuto nell’atmosfera sublime di Marsiglia. Scopriamo così i motivi che l’hanno condotto sulla strada: la fine del matrimonio con Sophie, la conseguente perdita dell’affetto del figlio Julien, e qualcosa d’insondabile che vaga nel romanzo e che Izzo stenta a nominare, un male di vivere, una vocazione alla sconfitta forse, o solo una fatalità incomprensibile.

La prosa di Izzo è secca nella forma quanto densa di emotività nei contenuti, sospira in questo Rico come un sentimentalismo un po’ di maniera, direi bavoso, quest’uomo spezzato non è un eroe, ma veramente un poveraccio a cui per giunta non ne va bene una. Non c’è per lui l’amore redentore di una prostituta, che gli viene strappata dai suoi magnaccia albanesi, che oltretutto lo massacrano di botte, né la gioia di poter rivedere Lea, tanto sognato amore giovanile. Romanzo senza speranza Il sole dei morenti è anche un interessante intreccio sentimentale, l’amicizia fra questi sbandati ha una sua purezza pasoliniana, a tratti, ma nella figura di Dedè, incallito criminale, anche l’amicizia si rivela un terreno minato. Rico è l’esempio dell’uomo prostrato, spezzato, rassegnato che ha gustato la vita, e l’ha trovata amara. Qui siamo dentro la fine di ogni valore, dentro la fine della dignità, anche, nell’impotente vergogna di chi per vivere tende la mano al prossimo, per un soldo bucato, o lo aggredisce per strapparglielo.

Rispetto a Genet, suo mentore, la lingua di Izzo può apparire povera, ma le conclusioni sono affini. Non c’è più nessun grido di rivolta, questa è l’esistenza degli schiacciati, il cui compito è assiderare sotto un sole morente come loro. Non c’è che un cuore spezzato che sogna un mare la cui vista lo uccide di nostalgia e di rimpianto. Il sole dei morenti è l’ultimo romanzo di Izzo e si configura come un doloroso, a tratti straziante, commiato, che risente però di una scrittura troppo leggibile, troppo fruibile, troppo scarnificata. E’ questo un limite, o il prezzo che si paga per essere letti? Buon romanzo dall’effetto omeopatico, ben confezionato, a tratti con la giusta spietatezza aforistica ma cui manca qualcosa, secondo me, per appartenere pienamente alla grande letteratura. L’affresco di Izzo ha una sua coerenza ma la sensazione è che il racconto sia piegato alla logica di un pessimismo troppo patetico, senza un reale sfondo tragico.

In fondo superato il deliquio di Genet, il deliquio di Izzo davanti a questi personaggi non è il virile sguardo tragico che tutto assolve e dimentica, qui la ferita più che splendere puzza di troppo facile nichilismo.

Qui in questo romanzo c’è troppa voglia di piangere, ora trattenuta, ora platealmente gridata, un prostrarsi, un cadere a terra. E allora? Vince la smorfia cinica di Dedè, il suo ghigno di ferocia. Vince il tallone di Fatos l’albanese, mentre schiaccia la faccia di Rico e con essa il sogno dostoevskiano di un amore fra il clochard e la prostituta. E’ un libro dedicato ai perdenti, con una sua bellezza triste, vi soffia dentro un vento di desolazione. Izzo fa il suo lavoro per soddisfare la platea, si esibisce nel culto della disperazione; troppo realista, troppo veritiero, Izzo però non suscita la pietà verso i perdenti, anzi, amplifica il disprezzo verso di loro, costruisce un buon romanzo certo, però afflitto da una retorica sentimentale, da una pompa magna della disperazione un po’ troppo enfatica nei contenuti, e poco scintillante e lussuosa nella forma che almeno l’avrebbe giustificata. In questo romanzo Izzo non è mai abbastanza glaciale, céliniano, scivola troppo facilmente nel sentimentalismo, e a volte sembra perfino auspicarsi che sul viso del suo lettore spunti la fatidica, e fatalmente troppo facile, lacrimuccia.

SuperNeXT - Connettivisti

lunedì 18 luglio 2011


"NeXT anela a essere multimediale, interattivo, tridimensionale, olografico, multidimensionale e incorporeo”.

Con queste parole Lukha Kremo Baroncinij sintetizza il percorso della rivista NeXT, legata a un movimento, il Connettivismo. SuperNeXT è proprio l’antologia, curata da Alex Tonelli e Domenico Mastrapasqua, che raccoglie il meglio della rivista ed è articolata in tre sezioni: narrativa, saggistica, poesia; io ne parlerò diffusamente, evitando di soffermarmi sulla poesia, giacché in questa sezione sono presente come ospite con un mio testo, tratto dalla rivista on line, The NeXT Station.

Il primo dato subito evidente è la capacità di questi autori di coniugare il puro intrattenimento narrativo con le più ardite indagini epistemologiche e la riflessione sugli scenari futuri offerti dalla Tecnica.

Viene creata una dimensione in cui l’epica di scenari fantascientifici si scontra con il minimalismo dell’esperienza, i tempi e gli spazi si moltiplicano, il cyberpunk incontra la metafisica. Qui la fantascienza è usata come mezzo per falsificare passato, presente e futuro, in un gioco di rimandi che sembra in grado di liberarci dalle nostre vetuste codifiche culturali, dalla naturalezza schiava della consuetudine con cui percepiamo il tempo stesso.

Per i Connettivisti il cuore dell’era moderna non è lo spazio - tempo newtoniano, così rassicurante nella sua stabilità, essi insistono sulla frammentazione della percezione, lo stesso concetto d’identità si frantuma- ciascuno degli autori è identificato anche da uno pseudonimo, per cui il Connettivismo stesso pare configurarsi come un mosaico. Un altro dato è questo: i Connettivisti descrivono mondi del futuro, o di un presente ipertecnologico, dislocato in altre zone dell’Universo, in cui i prodigi della Tecnica danno all’uomo, o a creature aliene in fondo simili a lui, l’illusione di onnipotenza, ma in questi racconti e saggi c’è sempre un risvolto per cui l’uomo è condannato alla sua emotiva fragilità, alla sua impotenza. Questo è davvero un tratto comune: si sono ormai dissolte le entusiastiche previsioni del Positivismo, le” Magnifiche Sorti Progressive” si rivelano ben poco magnifiche, la Scienza e la Tecnica si mostrano incapaci di salvare l’umano da se stesso, dai propri buchi neri, dalle proprie contraddizioni.

In questi racconti c’è, infatti, come un paradosso: tanto più in questo futuro si perfezionano congegni potentissimi e micidiali, tanto più questi si rivelano insufficienti a nascondere la debolezza dell’essere umano, anzi sembrano quasi amplificarla, come se il metallo di una protesi fantascientifica servisse solo a ricordarci la perforabilità della carne. Così in queste narrazioni, l’uomo riconosce le proprie fragilità, nell’equivoco dell’identità sessuale, nel racconto di Simona Bonanni, dove quello che sembrava un dono d’amore si rivela una tragica beffa, o riconosce la fallibilità della propria scienza e delle proprie emozioni, nei racconti di Kremo Baroncinij, Moretti, Pace, Milani. Povero uomo che progetta ordigni che gli si ritorcono contro, inventa esperimenti astrusi che non gli servono che a intrappolarsi meglio, crea mondi retti da logiche matematiche che s’incrinano in un battito e allora non resta che fare i conti con la devastazione.

Sandro Battisti sembra elaborare una realtà in cui l’uomo è scisso fra la sua interiorità, la sua carne, e i fantasmi che si porta dentro, anelando a una fusione con la Natura, tanto che egli fa dire al protagonista del suo racconto: “ Le fronde muovono se stesse al ritmo della mia sensibilità”. Quella di Battisti pare un’immersione in un mondo puramente sensoriale, dove però le sensazioni sono amplificate in maniera parossistica, come illuminate da dentro da un afflato in cui si mescolano estasi e angoscia. E’ una dimensione in cui carne e mente si confondono dentro il Cosmo stesso, frantumato concettualmente, perché qui l’ordine naturale non è quello dell’Arcadia, direi in nessuno di questi scrittori, la Natura, sede di tutti i limiti biologici, non è benigna, il nostro stesso corpo è, socraticamente, un fardello, eppure c’è a volte richiamo all’animalità, alla carne, allo sfacelo della carne. In questi autori c’è come un sogno costante: superare ogni limite, il limite del corpo, della logica, della coscienza, per trovare in una sorta di “ buio sintattico” le profonde coordinate matematiche della realtà, ciò che Tonelli chiama l’Oltre. Ma non ci sono illusioni, la scienza è sempre fallibile, in tutti i racconti essa non mantiene ciò che promette. I Connettivisti sono indubbiamente affascinati dalla tecnologia e dalla scienza, ma sono in grado di denunciarne implacabilmente i pericoli, le devianze, la fallibilità.

Così lo psicoanalista di Test, racconto di Marco Milani, non si accorge dello spaventoso rischio che corre l’umanità intera, lo scienziato del racconto di Kremo Baroncinij è mosso da una folle gelosia e la sua superiore conoscenza non fa altro che amplificarla, nel racconto di Moretti un banale errore di calcolo sembra condannare alla distruzione un intero mondo, in quello di Mario Gazzola un hacker crede di aver fatto il colpo della sua vita, infiltrandosi nel database di una multinazionale, si accorgerà presto di essere entrato in un incubo.

Le prospettive si rovesciano, ciò che sembrava positivo si rivela catastrofico e viceversa, non ci sono mai sicurezze, tutti questi racconti mostrano come in ogni prodigio della Tecnica ci sia sempre una falla e ovunque si annidano pericolo, smarrimento e sconcerto, come nel racconto di Umberto Pace, dove un misterioso congegno, che sembra in grado di soddisfare tutte le fantasie, si rivela invece una trappola. Giovanni De Matteo e Marco Moretti immaginano mondi rigidamente gerarchici in cui i pochi che sono al vertice hanno al proprio servizio un nutrito nugolo di schiavi di cui dispongono in maniera assoluta. Qui il futuro è lo specchio che ci restituisce l’immagine della nostra stessa civiltà, resa, se possibile, ancora più spaventosa. In un suo saggio- racconto su Burroughs, De Matteo sintetizza così:

“ Bambini ridotti a merce di consumo per i palati sopraffini dell’ imprenditoria rampante, l’orrore senza uscita della schiavitù fisica e mentale, guerre sante combattute per l’egemonia economica sul proscenio mediatico allestito ad hoc dalla Major Numero 1: il Governo invisibile che presiede alle sorti della terra. “

Nei saggi, tra l’altro, si cercano antecedenti letterari, Tonelli trova un padre putativo in Eliot, per via dei suoi scenari di desolazione, De Matteo in Majakovskij e Burroughs, con la consapevolezza che se “Niente è vero, tutto è permesso” e allora anche questo processo alla ricerca di antenati ha una sua credibilità. Così scopriamo che esiste anche un cinema Connettivista, un’architettura, un’idea di economia. Tutto lo scibile umano è chiamato in causa da un movimento che per sua natura aspira a racchiudere la totalità in un microchip di sapere condiviso.

Diversamente dai Futuristi, ai Connettivisti non piace tanto lo scintillio del metallo, piuttosto l’intricato vorticare di memi nello spazio dell’immaginario, il pulsare delle informazioni sul web, la velocità non è quella dell’automobile (vetusto carrozzone) in ultima analisi è quella del pensiero. Dai loro scritti si percepisce anche che forse è un’illusione separare Scienza e Tecnica, e supporre che esista il dorato mondo della speculazione e il basso mondo delle sue applicazioni. Moretti è molto chiaro definendo ogni sforzo degli eruditi” teatrino della conoscenza”.

Tuttavia, in Osmosiac di Mastrapasqua, dove la routine di un esperimento scientifico viene spezzata dall’irruzione di un’entità aliena, o nel saggio Post - ascesi di Paolo Ferrante, in cui ogni sapere iniziatico, ogni trascendenza, lascia una traccia di sé nelle ricerche della psicologia, o anche nei saggi di Battisti in cui affiora, ineffabile, il post-umano, il discorso di questi scrittori attinge alla Metafisica.

SuperNeXT è arricchito da un prezioso apparato iconografico, disegni, immagini di arte digitale, fotografie, realizzate fra gli altri da Francesco D’Isa, Luca Cervini, Giorgio Raffaelli. Alcune di esse risentono del bianco e nero, che pure in altri casi è efficace, se non necessario, l’edizione e-book è comunque a colori.

Nella premessa di Guido Antonelli “tutto è rimesso al verbo connettere”, dove la connessione sembra essere, fra le altre cose, l’antica risonanza creativa dei greci. Quanta acqua è passata da allora sotto il Ponte della letteratura, eppure, nella sostanza, tutto è rimasto immutato.


SuperNeXT - Connettivisti - a cura di Alex Tonelli e Domenico Mastrapasqua- Kipple Officina Libraria (2011)