White buildings - Hart Crane

domenica 30 luglio 2017





Leggere White buildings è un’esperienza  ai limiti del linguaggio, quando la parola cessa di essere strumento di comunicazione ordinaria e diventa esplorazione dell’ignoto, creazione dell’inaudito, veicolo di conoscenza quasi extralinguistica. Ma è un’illusione perché tutto è linguaggio e non c’è altro.

Tuttavia rimane, leggendo Hart Crane, in questa edizione Grenelle del 2016, curata e tradotta da Pietro Pascarelli, la sensazione che qualcosa accada e debba essere necessariamente espressa linguisticamente. L’interpretazione di questo linguaggio così articolato e complesso è sempre difficile e del resto anche poco interessante.

Che il poeta stia parlando cripticamente della propria omosessualità, è questione davvero secondaria, rispetto all’impatto che questi versi hanno nella loro nitidezza sensoriale e visionaria.  Molto spazio è lasciato all’inconscio, ma non si tratta per fortuna di un inconscio freudiano, ma di un inconscio dionisiaco e prelinguistico, che le splendide metafore di Hart Crane permettono di evocare. Si rimane lì nell’evocazione, sulla soglia, perché di più non è possibile. Non è possibile accedere a nessuna realtà che non sia il linguaggio stesso. È una sensazione di potenza primordiale che questa straordinaria poesia evoca. Talvolta è una dimensione gnomica, prendiamo, per esempio, lo splendido incipit della poesia Lettere d’amore di mia nonna: “ Non ci sono stelle stanotte/ Se non quelle della memoria.”

Altre volte il tono è orfico, dionisiaco, la creazione di un flusso in cui significato e significante si fondono nella dizione poetica ed enigmatica,  per la costruzione di una “logica luminosa”,   avversaria del comune senso linguistico che con la scusa della comunicazione perverte le parole a serve della norma. L’enigma qui è fecondo di presagi, segni, illuminazioni.

È il canto inaugurale della notte
Levato a piramide, -
Con unzione d’innocenza, - richiama
Alla musica e riscatta gli spergiuri
Che avevano eccitato gli occhi. “

Tutto, anche Cristo e il suo volto, si rovescia nel dionisiaco, come nella bella conclusione della poesia Lachrymae Christi  e il riferimento a Dioniso e al suo “sorriso inviolato”.

Si percepisce la poesia di Crane come il precipitato di un evento, come la traccia di un’esperienza emotiva così complessa da affondare nell’indicibile, e così si rimpiange quello che Crane, morto suicida a 32 anni, averebbe potuto scrivere, se non avesse deciso di troncare la sua vita, gettandosi dal pontile di una nave nelle acque del Mar dei Caraibi, come ricorda Pietro Pascarelli nell’eccellente introduzione.

Qui dove quasi ogni verso è una rivelazione, la poesia di Crane s’incide nella memoria. Anche il cantante dei Doors Jim Morrison rimase folgorato da queste poesie,   tanto che il titolo di una sua  canzone “Riders on the storm” è la citazione letterale di un verso di Crane: ”Delicate riders on the storm”.

Davanti a queste vertigini, il discorso critico si arresta, “Non può essere che la fine del mondo, più in là”, ci ricorda Rimbaud nell’epigrafe; viene quasi voglia di dare ragione a Rilke quando scrive che la critica della poesia è impossibile per la stessa natura del processo poetico. Rimane la stupefazione davanti a versi che sconquassano il linguaggio comune per rivelarci l’insorgere di una nuova sensibilità.

La memoria, legata alla pagina, si era spezzata”

Così il poeta conclude la straordinaria poesia “Passaggio” quasi a denunciare l’impossibilità della memoria di conservare il presente, anche nell’atto poetico, nella scrittura stessa, destinata ad essere inghiottita, come tutto, naturalmente, dalle sabbie del tempo.

Ci troviamo davanti a una poesia che, sfuggendo alle logiche del parlare comune, ci restituisce una dizione visionaria, a  volte onirica (“Un serpente nuotò vorticando fino all’apice del sole”).

Ma parlare di questa poesia è già un fuori tema, va letta, anche solo in questa bella traduzione.
Bisogna dunque essere grati a Grenelle, piccola casa editrice di Potenza, per la riproposta di questo testo,  a cinquant’anni dalla precedente edizione, opera di uno dei poeti più grandi del Novecento non solo americano.

Premio Lorenzo Montano 2017

sabato 15 luglio 2017





Ho ricevuto una Segnalazione alla trentunesima edizione del Premio Lorenzo Montano nella sezione Prose inedite. La prosa premiata s’intitola “Fetus la maschera”. Di  questa Segnalazione  parla anche  il blog di Kipple Officina Libraria.
                                                                                                                                                             Ettore Fobo

Nuovi poeti americani – Autori vari

giovedì 6 luglio 2017





Elisa Biagini ha tradotto e  curato questa antologia,  Nuovi poeti americani, per Einaudi nel 2006. Sono dunque passati poco più di dieci anni e il nuovo, si sa, sbiadisce in fretta, tranne che in poesia, naturalmente, dove il vino diventa migliore invecchiando, spesso non visto, nelle botti. Ha senso allora parlare di questo libro perché l’attualità in poesia è sempre relativa. Si tratta di un interessante excursus nella recente produzione di poesia americana in cui, però, forse inevitabilmente, dato che si tratta di un’antologia, a prima vista spiccano le assenze: Mark  Strand e Charles Simic su tutti (il primo, incredibilmente, non è nemmeno citato nell’introduzione),  ma anche Philip Levine, Charles Wright, John Ashbery. Personalmente non riesco a pensare alla recente poesia americana senza fare riferimento a loro.

“Nuovi” può essere un aggettivo fuorviante o perlomeno va interpretato, perché il poeta più vecchio ospitato nella raccolta, Galway Kinnell, deceduto nel 2014, ai tempi della pubblicazione aveva già quasi ottant’anni. Ma i tempi della poesia sono geologici, quindi ci sta. Dei poeti presenti nell’antologia io conosco e ho letto precedentemente solo Sharon Olds,  il suo libro Satana dice,  proprio nella traduzione di Elisa Biagini. Alcuni li conoscevo solo di nome (Louise Glück su tutti), la maggior parte mi erano ignoti. La lettura dell’antologia mi è stata utile, dunque, perfino preziosa. È uno spaccato vivo e vivace di una poesia fondamentale per la formazione poetica di chiunque.

Gli eredi di Whitman e Pound scrivono in una lingua che conserva numerose sfaccettature, inevitabilmente, data la pluralità culturale del paese in cui vivono e in cui operano. Abbiamo così la poetessa Kimiko Hahn, di madre giapponese e padre tedesco che recupera un’antica forma di poesia giapponese, mettendosi in relazione con una poetessa di quella antichità, Sei Shoragon. Incontriamo un poeta di origini portoricane, Willie Perdomo, che fonde slam poetry, con ritmi salsa e rap, per un’ operazione culturale di alto livello. Troviamo una poetessa come Sharon Olds che ci racconta, in maniera diretta, del corpo e della malattia, attraverso il terribile resoconto del cancro del padre.  Un’altra poetessa Alicia Ostriker farà lo stesso con il racconto della propria mastectomia, pur nella differenza degli approcci, (più diretta e perfino brutale Olds, più asciutta e meditativa Ostriker), descrivendo anche il proprio ruolo d’insegnante nella bella poesia La classe. Cornelius Eady dà voce ai fantasmi scaturiti dalla paranoia della middle class bianca, indagando nelle pieghe più risposte di un fatto di cronaca. Mark Doty ci parla della morte per Aids del compagno; Elizabeth Alexander esplora il tema della nascita, indagando oniricamente il reale, per esempio, nella bella poesia in cui sogna che Sylvia Plath le faccia una permanente.  Louise Glück ci parla del mito di Orfeo ed Euridice e dell’onnipresenza malefica del Tempo, Robert Pinsky crea una poesia raffinata, dove il lager di Cracovia, le luci delle auto, una camicia densa delle storie di chi l’ha tessuta, diventano segni di una visione disincantata dell’esistenza. Poi abbiamo  le rivisitazioni di fiabe classiche di Olga Broumas, l’elegante e intima lirica di Galway Kinnell e, meno interessanti, le poesie di Lucille Clifton.

Alla fine difficile dire quale poeta rimanga più impresso, forse Perdomo per la ricercata immediatezza molto pop, Ostriker e Olds per la rielaborazione della confessional poetry, Pinsky e Glück, per l’incedere raffinato, Eady per la precisione chirurgica con cui disseziona la paranoia bianca americana, con il conseguente desiderio collettivo di capri espiatori, Elizabeth  Alexander o Kimiko Hahn, per il tono sognante, Galway Kinnell per l’equilibrio fra autobiografia e visione poetica dell’esistenza.

Comunque sia, Nuovi poeti americani è un’antologia ricca che riflette l’immagine di una poesia viva e in fermento, capace di rinnovarsi e di incidere nella nostra visione della realtà.