Una poesia di Vicente Aleixandre

sabato 20 luglio 2013



Notte serrata

Nudi campi. Deserta
la notte inerme. Il vento
insinua palpitazioni
sorde contro le sue tele.

L’ombra a piombo comprime,
fredda, sopra il tuo seno
la sua seta grave, nera,
segreta. Resta oppresso

così il corpo in materia
di notte, insigne, quieto
sopra il limpido piano
arretrato del cielo.

Vi sono stelle fallite.
Puliti cardini. Geli
fluttuano alla deriva
in alto. Lenti freddi.

Un’ombra che passa,
sopra il contorno serio
e muto, batte, adusta,
la sua frusta segreta.

Flagellazione. Coralli
di sangue o luce o fuoco
sotto il drappo s’appongono,
si venano, poi sfumano.

Carne o luce di carne,
profonda. Vive il vento
perché anticipa raffiche,
croci, pause, silenzi.

***
da Trionfo dell'amore - Vicente Aleixandre - Edizioni Accademia -  1972 - traduzione di Dario Puccini

***
Versione originale:
Noche cerrada

Campo desnudo. Sola/ la noche inerme. El viento/ insinúa latidos/ sordos contra sus lienzos./La sombra a plomo ciñe,/ fría, sobre tu seno/ su seda grave, negra,/ cerrada. Queda opreso/el bulto así en materia/de noche, insigne, quieto/sobre el límpido plano/retrasado del cielo./Hay estrellas fallidas./Pulidos goznes. Hielos/flotan a la deriva/en lo alto. Fríos lentos./Una sombra que pasa,
/sobre el contorno serio/y mudo bate, adusta,/su látigo secreto./Flagelación. Corales/ de sangre o luz o fuego/ bajo el cendal se auguran,/vetean, ceden luego./O carne o luz de carne/profunda. Vive el viento/porque anticipa ráfagas,/cruces, pausas, silencios.

Una cosa divertente che non farò mai più – David Foster Wallace

sabato 13 luglio 2013








In questo testo di David Foster Wallace, dall’efficace titolo de Una cosa divertente che non farò mai più, tradotto per minimum fax da Gabriella D’Angelo e Francesco Piccolo, la crociera diventa una metafora della nostra intera società, allegoria di un’epoca in cui il divertimento a ogni costo è diventato ormai una nevrosi.

Si tratta di un reportage che fu commissionato a Wallace dalla rivista americana Harper’s, ed è la storia, insieme comica e corrosiva, di un viaggio su un transatlantico extralusso e diventa man mano che si procede nella lettura il mezzo attraverso cui lo scrittore descrive una sorta di ritratto dell’americano benestante, con le sue manie, le sue idiosincrasie, le sue ossessioni. Ritratto in definitiva di un personaggio vorace e grottesco in cui è facile per tutti noi identificarsi: il consumatore.  

Giocoforza, Una cosa divertente che non farò mai più è anche un’indagine, arguta e consapevolmente critica, sulle dinamiche della pubblicità - memorabile in tal senso l’analisi stilistica che Wallace riserva alla brochure pubblicitaria della compagnia di crociera, la Celebrity  – è un’indagine tra il serio e il faceto sulle ragioni profonde del marketing, il cui intento è vendere un sogno, e vendere anche la sua interpretazione, sogno che non è altro che la proiezione fantasmatica delle aspettative di un gregge di consumatori manipolabili. Questo gregge ha, o è costretto ad avere, un'unica terrificante fantasia, nelle parole di Wallace, “Non fare assolutamente niente”, regredendo in un climax di deresponsabilizzazione allo stadio del feto nelle acque materne.

E quale miglior modo di regredire che farsi “viziare” da un manipolo di camerieri, pronti a soddisfare, o addirittura a prevenire, ogni esigenza del cliente? Questo, però, ha un duplice aspetto: se da un lato sembra placare l’insaziabile desiderio di non far nulla e di divertimento senza limiti, dall’altro è l’angosciante nemesi del nostro tempo paranoico. Alcune delle pagine più interessanti del reportage sono, infatti, dedicate alla paranoia di Wallace, desideroso di conoscere nel dettaglio i movimenti del personale addetto alla pulizia della sua stanza, di conoscere la nave nel profondo, nave  che come il castello kafkiano gli è, però, fondamentalmente preclusa da un misterioso comandante dal nome greco, Dermatis, ironicamente storpiato da Wallace in Dermatitis,  il quale  subodora nello scrittore le sembianze del giornalista ficcanaso, e in quanto tale  gli vieta l’accesso alla zona comandi, alla cambusa, e ad altre parti della nave.

Wallace descrive il suo viaggio con ironia, ma è presente nelle sue parole una critica anche feroce del turismo di lusso, visto come apice ed emblema del capitalismo. Lo scrittore americano, però, è consapevole di fare anche lui parte di questo meccanismo alienante, nelle sue parole è quindi pressoché assente ogni snobismo, ogni posa da intellettuale engagé. Così il suo reportage diventa un interessante, divertito e divertente, pezzo di letteratura pura, un’acuta analisi del mondo contemporaneo, visto attraverso le sue ossessioni: il divertimento ad ogni costo, come dicevamo prima, la professionalità e l’efficienza, esaltate fino a rasentare lo schiavismo, la rimozione dell’angoscia di morte, traverso l’ossessione per l’ordine e la pulizia, per esempio, e altro ancora.

In sintesi, con efficacia, con tono leggero e disincantato, Wallace analizza i miti del nostro tempo da una prospettiva diversa, confidando al lettore il proprio disadattamento, il proprio disagio d’individuo in una società massificata, la propria irrinunciabile libertà.  Wallace diverte il lettore con la sua descrizione di tipi umani; dagli inflessibili ufficiali greci ai passeggeri con le proprie manie, dal personale, costretto per ragioni professionali a esibire una posticcia cordialità di maniera, ai propri compagni di viaggio, spesso ridicolmente patiti di crociere, o infantilmente egoisti, o superficiali chiacchieroni.

 In sottofondo come un’ eco di risacca, come il rollio della nave sulle onde, si agita una sottile angoscia. E’ l’angoscia contemporanea dell’alienazione industriale che ci colpisce ora in quanto lavoratori, ora in quanto consumatori. E’ un’angoscia da cui sembra impossibile liberarsi anche in vacanza. “On n'échappe pas de la machine”, “Non si può sfuggire alla macchina”, scriveva Deleuze. E la macchina è in azione sempre, Leviatano insonne di cui Wallace ha dato l’ennesima, necessaria, descrizione, nella figura della nave Zenith, da lui ribattezzata Nadir, scrivendo questo saggio sui generis in cui l’ironia e il tono apparentemente scanzonato mi sembrano essere maschere della profonda angoscia contemporanea.