Una poesia di Kikí Dimulà

sabato 24 settembre 2016







Cosa provoca una discussione e un autunno

Ti liberò dal passato
una discussione davvero irrilevante
sul vento e l’avarizia.
Giorni fa qualcuno parlava
di uomini, di come farsi una vita,
di versi, di Afriche,
e di tifoni.
E là in mezzo, da qualche parte
cadde il tuo nome assente
-da anni in balia dell’oblio -
nell’attimo incustodito.
Cadde, e scegliendo
la più ripida tra tutte le strade
-quella del ricordo- rotolò giù
da Afriche, piantagioni,
da soverchianti soli,
e contro la tua volontà, ti portò,
minuziosamente bello
e meticolosamente immutato
veramente insidioso.
Ti portò davanti al complice autunno
che istiga un Giudizio Universale
nei sogni smarriti.
***

poesia tratta da “L’adolescenza dell’oblio” -  Kikí Dimulà -  traduzione di Paola Maria Minucci - Crocetti editore, 2002

Tra me e il mondo – Ta - Nehisi Coates

sabato 17 settembre 2016








Tra me e il mondo è scritto da Ta - Nehisi Coates - giornalista di colore che lavora tra l’altro per “The Atlantic”, “The Washington Post”,  “Time-  ed è stato pubblicato  in Italia da Codice Edizioni nel maggio 2016,  per la traduzione di Chiara Stangalino. Il libro potrebbe essere giudicato da qualcuno un sasso gettato nello stagno dell’ipocrisia Wasp, ma a me sin dalle prime pagine è parso soprattutto il classico libro buono per lavare la coscienza dei radical chic bianchi, progressisti, americani. Per questo, probabilmente, ha vinto ogni genere di premio prestigioso (fra cui il National Book Award) e vanta in quarta di copertina giudizi esaltanti che vanno dallo “straordinario” del New Yorker all’”epocale” di “Le Monde”, che pure è un giornale francese e dovrebbe avere gli anticorpi verso questa letteratura apparentemente impegnata,  in realtà furba, tanto più quando ostenta la propria autenticità. Addirittura imbarazzante il giudizio che ne dà “Publisher’ s Weekly”: “Immenso. Un classico che rimarrà nei secoli". Più si procede nella lettura, infatti, più questi giudizi altisonanti paiono grotteschi.


Si tratta di un libro strutturato come lettera dell’autore al figlio quindicenne, che tradisce dunque una volontà pedagogica e che ha il merito di esibire una certa compattezza. Estremamente ripetitivo  e  noioso, però,  specie nella prima parte,  fino a rasentare l’ossessività, questo è un atto d’accusa  contro quella società bianca, che,  in nome di ciò  che l’autore chiama “il  Sogno”, per preservare i suoi prati ben tagliati, i suoi arrosti ben cotti, le sue torte alle fragole, costringe i neri a vivere nella paura che il loro corpo sia distrutto e  li considera cittadini inferiori.  Questa è l’ossessione dell’autore, il corpo. Ossessione che dopo un po’ che si procede nella lettura diventa persino stucchevole.
  
Quello di Ta - Nehisi Coates è il racconto di come un nero si costruisca un’identità in un mondo in cui è considerato sostanzialmente un paria, un reietto, un escluso. E fin qui va bene, ma la sensazione è che l’autore parli troppo di sé e per giunta spesso senza interessare e che le sue analisi sociologiche siano manchevoli. In fondo, lungi dal raggiungere l’universalità della grande letteratura, Tra me e il mondo rimane nel limbo dei libri che si occupano di problemi locali: la condizione dei neri negli Stati Uniti, infatti è infarcito da riferimenti comprensibili solo da un americano.  E per un americano deve esser anche uno shock leggere che l’omicidio  dei neri da parte della polizia non sia causato da incidenti cui si può porre rimedio ma dallo stesso sistema che si dice democratico. Anche se non particolarmente originale, questa è la verità più profonda del libro e devo ammettere che l’autore la sostiene con lucidità.

Il tono sofferto e a tratti viscerale di Ta - Nehisi Coates non toglie comunque il sospetto che tutto sia costruito ad hoc per suscitare una certa indignazione che fa tanto bene ai radical chic di cui sopra. Oltretutto, il fatto che il testo sia tutto rivolto al figlio lo trovo irritante. C’è qualcosa di fastidioso, di artefatto, di retorico, di querulo, addirittura di melenso, in questa prosa, che ne depotenzia gli aspetti più vitali, aggressivi, e di denuncia sociale.

Ricordo un pugile di colore che una volta disse: “Una volta diventato ricco ho cessato di essere nero”. Questa frase nella sua sintesi dice di più di questo pamphlet che in fondo, nonostante tutte le intenzioni, si riduce a essere uno sterile resoconto autobiografico. La sua denuncia non colpisce il sistema economico su cui è fondato il razzismo, non contesta alla radice l’escalation performativa e produttiva richiesta dalla nostra società. Tra me e il mondo è, inoltre, tra i libri più noiosi che abbia letto quest’anno. E dunque perché tanto clamore, intorno alla storia di un borghese che narra al figlio quanto sia difficile essere neri?

Probabilmente perché è il momento perfetto per una storia simile. I neri della generazione di Coates si riconoscono, i radical chic gongolano, qualche rapper farà una canzone su questo intellettuale come nuovo eroe nero (c’è già un fumetto della Marvel) e tutti saranno più  contenti. Un po’ di denuncia, un po’ di rabbia (come quando scrive che le scuole andrebbero bruciate),  un po’ di cultura nera, un po’ di Malcom X, un po’ di qualunquismo (scrive testualmente: “la nostra nazione è governata da una maggioranza di porci”),  e la coscienza può tornare a occuparsi dei suoi prati ben tagliati, dei suoi arrosti, delle sue torte della nonna. Tutto espresso in uno stile che qualcuno ha definito impeccabile e che a me è parso invece fin troppo piatto e scontato; tutt’al più quella di Coates è  una discreta scrittura  giornalistica senza lampi annacquata nel brodo di una prosa spesso eccessivamente sentimentale.

Sì, la denuncia di Coates è un boomerang e Tra me e il mondo è  un libro poco interessante, da evitare.  Alla faccia del “classico che rimarrà nei secoli”.
E a chi è interessato a questi temi consiglio piuttosto ”Ragazzo negro” di Richard Wright. Questo sì, “straordinario”.


Una poesia di Mircea Cărtărescu

giovedì 8 settembre 2016






Il poema dell’acquaio

un giorno l’acquaio prese una cotta
s’innamorò d’una piccola stella gialla nell’angolo della 
finestra della cucina
si confidò con l’incerata e con il barattolo di mostarda
si lamentò con le stoviglie bagnate.
un altro giorno l’acquaio svelò il suo amore:
- stellina, non brillare sopra il panificio e il molino
dîmboviţa
vieni giù, quelli non hanno bisogno di te
loro hanno nel seminterrato centraline elettriche e
sono pieni di lampade
ti dissipi posando la tua luce dorata sui tetti
e sui parafulmini.
stellina, il mio nichel ti desidera, il mio sifone ha
borbogliato
ogni sorta di canti per te, per come lui può riuscirci
i piatti con rimasugli di pesce sott’olio
ti si sono già affezionati.
vieni, e brillerai tutta la notte sul reame di linoleum
regina di scarafaggi rossi di cucina.
però, ahimè! la stella gialla non rispose a questo appello
poiché lei amava un colino da brodo
della casa di un contabile della pomerania
e notte dopo notte si tormentava suggendolo con gli occhi.
sicché alla fine l’acquaio cominciò a porsi domande
circa il senso dell’esistenza e la sua oggettività
e alla fine della fine fece una proposta all’incerata.
… a un certo punto ho preso parte anch’io al gioco dell’amore
io, il foro della tenda, che vi ho raccontato questa storia.
ho amato una splendida vettura dacia color crema
che ho visto solo una volta…
ma perché parlarne ancora, ora ho dei figli in età
prescolare
e tutto ciò ch’è stato mi sembra un sogno.
***
Poesia tratta da “Il poema dell’acquaio”- Mircea  Cărtărescu - traduzione Bruno Mazzoni - Nottetempo - 2015