Audiolibro

sabato 27 dicembre 2014




È stata aggiornata la mia pagina internet con  la pubblicazione dell’audiolibro. Sono sette poesie scritte da me e  lette da un attore. Una di esse è,  al momento in cui scrivo,  inedita (Vertigine) I maestri dell’oblio è stata pubblicata proprio sul sito,   le altre cinque  sono presenti in Sotto una luna in polvere.   Buon ascolto.

Poema di noi – Giorgio Piovano

lunedì 22 dicembre 2014





Giorgio Piovano è un poeta poco noto. Forse perché dopo un paio di libri negli anni Cinquanta abbandonò l’attività poetica per la politica, per poi, però,  ritornarvi in tarda età . Eppure questo Poema di noi è un libro che si ricorda, “poema degli uomini senza storia” come viene definito già nei primi versi. Piovano sperimenta una forma che oggi ci pare classica enucleando contenuti vicini all’estetica del ”realismo socialista” ma a differenza di diverse opere di quel genere non è stucchevole, non è fastidiosamente  retorico, non è inutilmente vacuo, letto oggi,  a distanza di più di sessant’anni dall’ elaborazione del poema. Poema di noi vide,  infatti,  la luce nel 1950, anno in cui vinse il Premio Viareggio opera prima; viene ripubblicato nel 2007 dalla casa editrice Effigie nella collana Stelle filanti.

 È un poema originale perché fonde il neorealismo in voga in quegli anni con l’epica, raccontando una realtà in cui i nuovi eroi sono gli operai, i lavoratori,  i poveri, i paesaggi sono capannoni dai vetri rotti sotto un cielo in cui si vedono soltanto i fili del tram. Il luogo è  la città industriale, potrebbe essere Torino, dove Piovano è nato, Milano, o  a qualsiasi altra città dove l’industria è prosperata. Il linguaggio è volutamente semplice ma non semplificato o banale, diretto, ricco di pathos tuttavia, il pathos politico che in quegli anni rendeva vitale la letteratura di un Pasolini, per esempio, con cui Piovano condivide,  oltre l’idea per una alta poesia civile, la passione politica. Il rischio è che il poema sia datato, mostri le rughe degli anni e in qualche verso ciò accade, specie negli ultimi canti, dove affiora un po’ di magniloquenza, specie quando si auspica la rivoluzione, parola magica di quegli  anni che oggi pare  un involucro vuoto. Anche per questo il poema va letto, per vedere le differenze fra il secolo che stiamo vivendo e quello appena passato. Non sono poche.

Nel Novecento, perlomeno fino agli anni settanta,  esistevano cose come la speranza condivisa  in un futuro in cui  le ingiustizie sarebbero state debellate e  la passione politica,  che garantiva a questa speranza uno sfondo concettuale, cose che oggi hanno poco o nessun senso. C’era la povertà, come oggi, ma essa  era  come addolcita dal forte orgoglio di classe, era condivisa senza vergogna, si poteva parlare di solidarietà. Oggi non è più così. La subcultura consumistica veicolata dai media ha spazzato via queste cose e altre ancora, lasciandoci in balia di un profondo vuoto di valori e di idee. Non si tratta certo di rimpiangere il buon vecchio tempo antico, il Novecento è stato un secolo infame ma nell’immediato dopoguerra si può dire che l’Italia fosse un paese migliore di oggi.

Questo poema dunque racconta, celebra, qualcosa che esiste ancora ma ormai  non ha più consapevolezza di se stessa: la miriade degli uomini senza storia che vengono sfruttati e “vengono a galla solo quando si compilano / le statistiche dei cataclismi.”, di tutti  noi insomma.  Si capisce che questa miriade da popolo in cerca di libertà si è trasformata in massa di consumatori narcotizzati. Tuttavia, questo  poema, anche se si definisce ”anonimo e materiale”,  riesce in un difficile intento:  a dare un senso alla parola “Noi”, perché parla di cose ormai desuete, la collettività per esempio, in un mondo fatto sempre più di individui soli e in guerra fra loro per un tozzo di pane. Libro da leggere, dunque,  da meditare, che porta  con sé atmosfere di osterie piene di fumo e canti, di fabbriche dove ferve il lavoro, di cooperative dove arde la passione politica. Cose del secolo scorso, ahinoi,  di cui anzi  il nostro secolo, ormai, ride. È una risata davvero amara, la sua.

Gilles Deleuze e Félix Guattari: l’incipit de “L’anti-Edipo”

domenica 14 dicembre 2014







Sopra: un'immagine di Gilles Deleuze

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“L’(es) funziona ovunque, ora senza sosta, ora discontinuo. Respira, scalda, mangia. Caca, fotte. Che errore aver detto l’ (es). Ovunque sono macchine, per niente metaforicamente: macchine di macchine, coi loro accoppiamenti, con le loro connessioni. Una macchina-organo è innestata su una macchina-sorgente: l’una emette un flusso, che l’altra interrompe. Il seno è una macchina che produce latte, e la bocca una macchina accoppiata con quella. La bocca dell’anoressico oscilla tra una macchina da mangiare, una macchina anale, una macchina da parlare, una macchina da respirare (crisi d’asma). Così si è tutti bricoleurs; a ciascuno le sue macchinette. Una macchina-organo per una macchina-energia, sempre flussi e interruzioni. Il presidente Schreber ha i raggi del cielo nel culo. Ano solare. E state certi che funziona; il presidente Schreber sente qualcosa, produce qualcosa, e può farne la teoria. Qualcosa si produce: effetti di macchine, e non metafore.”

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Da “L’anti-Edipo”- Gilles Deleuze, Félix Guattari -  traduzione di Alessandro Fontana- Fabbri- 2014

“L’Italia è un paese nemico della cultura” – da un’intervista a Riccardo Reim

domenica 7 dicembre 2014




"L’Italia è un paese nemico della cultura e mal governato da tempo immemorabile. Goethe lo definì un paese bello e inutile, oggi è solo inutile, visto che diventa di giorno in giorno sempre più brutto […]. L’Italia è un paese che non ha rispetto di sé ed è disastrosamente impari al proprio passato. Gli italiani, con le debite eccezioni, non sono il miglior popolo del mondo; sono un popolo molto pressappochista e presuntuoso con dei geni isolati e spesso bistrattati. È inutile starsi a sciacquare la bocca con la romanità e con il Rinascimento: è roba vecchia e irrimediabilmente passata – roba che gli italiani, tra parentesi, non conoscono, salvo rare eccezioni. Credo che per un intellettuale una delle peggiori disgrazie sia quella di nascere in Italia. Mi attirerò molti nemici ma è quello che penso, e lo penso con molto dolore."

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Da un’intervista a Riccardo Reim apparsa su Il Giornale di Letterefilosofia.it