L'uomo che cammina un passo avanti al buio - Mark Strand

mercoledì 14 dicembre 2011

L’antologia L’uomo che cammina un passo avanti al buio è un’occasione per seguire il percorso artistico di uno dei poeti più conosciuti e amati del mondo, probabilmente uno dei più grandi: l’americano, canadese di nascita, Mark Strand, che in questa edizione Mondadori possiamo accogliere nella bella traduzione di Damiano Abeni. Leggo la sua opera a partire dalla luce proiettata da quello che considero il suo capolavoro: Il Monumento, pubblicato nel 1973, che in questa raccolta, invero, non è ospitato.

Qui leggiamo poesie che partono dal suo debutto nel 1964 con Dormendo con un occhio aperto, fino a Uomo e cammello del 2006, in mezzo, tra l’altro, lo straordinario esito di Porto oscuro nel 1993, e vediamo la sua voce crescere nel tempo, dalle prime poesie fino alle ultime, complicate variazioni sul tema del sé e del nulla che lo accompagna come un’ombra malefica.

Strand è ossessionato dall’oblio, come dimostra una delle poesie più belle, intitolata Sempre, dove fantomatici personaggi, definiti magistralmente da Abeni “i maestri dell’oblio”, “the great forgetters” nell’originale, cancellano il mondo, da San Francisco al Giappone, fino a che anche gli alberi e le case scompaiono e rimane solo “ la vampa della promessa ovunque”. Il verso finale è come un brivido che scuote l’oblio, traduce il nulla in una possibilità infinita, da capogiro.

Quando il poeta americano è visitato dall’ispirazione- e questa ispirazione sembra crescere d’intensità negli anni- abbiamo versi straordinari, filosoficamente densi, come nel caso della poesia La vita ininterrotta, dalla silloge omonima del 1990, anno a partire dal quale le poesie di Strand mi sembra acquistino maggiori risonanze filosofiche, unite a una consapevolezza via via più fredda, divenendo sempre più una riflessione pungente intorno alla caducità, all’evanescenza del tempo e della nostra esperienza umana. La sensazione è che il passare degli anni faccia bene alla sua poesia, via via che passano gli anni nei suoi versi c’è sempre più finzione, gioco, ironia, come nella poesia 2032 che inizia così:

“E’ sera nella città di x,/ dove Morte, che un tempo mi amava, siede/ in una limousine, con una coperta sopra le ginocchia/ e aspetta che arrivi l’autista.

Sin da subito, la quotidianità è il regno di Strand, che si muove fra sensazioni a pelo del nulla e riflessioni sulla friabilità del tutto, creando una dimensione in cui l’uomo, impossibilitato a rappresentarsi, a narrare alcunché di se stesso, è prigioniero del nulla, sua origine e sua destinazione.

Tutto è sogno, per esempio nella poesia Una notte d’inverno:

“Andai a una festa di stelle di Hollywood/ ciondolavano a caso, citavano le loro memorie, bevevano/La più carina lasciò scivolare a terra il vestito, cadde,/ in ginocchio, e disse che solo il marito aveva mai scorto/il fiore ombroso del suo pube, ed egli era un principe(….)

‘Scendevano celestiali le ombre della sera.’ Era un sogno.”

E’ la creazione di una dimensione onirica, dove, però, spesso Strand fa circolare l’infezione di una lucida consapevolezza che sa la nullità di ogni cosa, e la fa vibrare a volte con un’elegante ironia, dove, però ironia è soprattutto finzione.

“Il risveglio prova solo l’esistenza della grande Macchina,
e la luce dura ti cade sulle spalle.
Cammini tra i morti e parli
dei tempi a venire e di questioni dello spirito.”

La vertigine della nostra inconsistenza vibra spesso in questi versi, in cui slanci lirici accompagnano scorci paesaggistici e filosofiche divagazioni. A volte è narrazione di un incubo, con le sue stranezze e incoerenze, altre volte una splendida descrizione di una caccia alle balene, e sempre questo paesaggio americano lunare a fare da sfondo. Strand viene accostato a Hopper, pittore di paesaggi congelati nella solitudine, e il poeta Wallace Stevens è fra i suoi maestri.

Fra le poesie più belle quella dedicata al padre morto: Elegia per mio padre, nella raccolta La storia delle nostre vite, in cui la scomparsa del padre è ricordata attraverso una dinamica fra ciò che è, o era, tangibile, il suo corpo, le sue mani, le sue braccia, e l’assenza, la sparizione più propriamente, tema cardine del poeta, indagato anche in quello straordinario poema in prosa, scritto filosofico, prosimetro, che è Il Monumento.

Un altro capolavoro di Strand è Porto oscuro, giustamente riprodotto integralmente in questa edizione Mondadori. E’ un poemetto strano che narra di allontanamenti, di addii, di esilio e di lutto, in una misura altamente enigmatica, è una sorta di discesa negli inferi della nostra epoca, fin dentro le viscere della sua sostanza infuocata. E il tocco di Strand non è mai gelido, è catartico nella misura in cui rielabora paesaggi in chiave lirica, usa dei linguaggi colloquiali, raffinati stilisticamente fino a diventare ricognizioni filosofiche, soprattutto quando mette in scena genialmente quella che Rosanna Warren chiama ”la spoliazione del sé o quando ci fa udire ““tutte quelle voci che invocano dalle profondità dell’altrove. “

In Porto oscuro Strand ci parla di un viaggio in un “mondo dal quale nessuno ritorna, ma verso il quale viaggiano tutti,” e dove tutto via via si trasforma in “rifiuto e dubbio”. Questa è anche la storia di una misteriosa ombra che si posa su di noi, impedendoci la soddisfazione. E ’l’ ombra del desiderio inappagato e inappagabile, per noi che al massimo siamo “ostaggi del buio”, “attoniti d’immenso”.

Poema davvero straordinario Porto oscuro è il vertice di una ricerca tutta al negativo, che denuncia che “in un mondo senza paradiso tutto è addio”, anche se affiora la dimensione orfica, del canto che tutto può redimere, ma solo per un po’, nella sostanza il mondo non cessa di essere una prigione. Soltanto nel canto a volte può affiorare “ un inno/ in cui le forme e i suoni del paradiso sono sepolti”, ma anche questo inno è segnato dal lutto, perché alla base del pensiero di Strand c’è l’oblio come unica realtà assoluta.

In Denarrazione è la possibilità stessa del racconto, del ricordo, che sembra venire meno; il protagonista cerca di raccontare un episodio infantile e ne rimane sopraffatto, senza reale possibilità di fissare l’istante per sempre perduto, che in realtà lo sommerge con il suo mistero. C’è forse il residuo di un’illusione per il poeta- narratore, salvare i viventi attraverso il racconto della loro esistenza ma implacabile nei versi di Strand cala la consapevolezza del nulla “ in cui noi tutti verremo spazzati.”

Se non c’è dolore, solo lo scomparire pare reale e questa è la cifra stilistica di Strand: restituirci la nozione del nostro essere nulla, fantasmi che increspano la superficie illusoria del tempo e subito vengono inghiottiti, senza lasciare alcuna traccia.

Un piede avanti all’altro. Passano le ore/ Un piede avanti all’altro. Passano gli anni. /I colori dell’arrivo svaporano/ E’ così che faccio.

Strand innesta la sua parola dentro questo svaporare, rendendola ambigua testimonianza di un flebile passaggio, ma è un’illusione, perché in realtà tutto è intestimoniabile, anche la poesia pare un mezzo troppo debole affinché s’imprima nella memoria alcunché. In questi versi, quasi inavvertito, tutto passa, e raccontarlo è un’utopia, rimane una triste consolazione ”se la fine è arrivata, anch’essa passerà.”

Strand mostra le profondità del pensiero nichilistico, anche nella sua rinuncia a dire l’essere, mostrandolo innominabile; intorno al nihil egli danza con il volto del saggio dall’aria immensamente ironica e al tempo stesso attonita, la cui disillusione però è ancora capace di commuovere il cielo.

E’ l’intima dissoluzione delle cose, dei pensieri, dell’uomo stesso, che interessa Strand, lanciato in questa perlustrazione, come un rabdomante in cerca dei brividi del nulla, parola chiave della sua poesia, che disegna quella che chiamerei un’epica della sparizione.

Vado alla deriva.
Rabbrividisco.
So che presto
arriverà il giorno
a lavare via la macchia
bianca della luna,
e che io camminerò
sotto il sole del mattino
invisibile
come chiunque altro.”

6 commenti:

eustaki ha detto...

ciao ettore, che bei post.
nello scaffale sono uno accanto all'altro hotel insonnia e il futuro non è più quello di una volta

Ettore Fobo ha detto...

Grazie, Eustaki. Su Simic ho pubblicato due post negli anni passati. Uno proprio su Hotel Insonnia. I due sono legati a doppio filo, sono amici ed entrambi, tra le altre cose, hanno scritto a proposito di Hopper, a cui sono accostati. Un saluto.

zoon ha detto...

fyi:

il bravo logos (logosnero.blogspot.com) ha dedicato a simic e strand un paio di ermetiche ermeneutiche sui next (hyperhouse.wordpress.com/connettivismo/next/) passati :)

post molto incisivo, ettore, come sempre del resto :)

Ettore Fobo ha detto...

Lo so, Zoon, l'articolo su Strand l'ho anche letto e mi ha aiutato nel farmi un'idea della sua poesia. Grazie dei complimenti, un saluto.

Logos ha detto...

Bellissimo post Ettore. La tua lettura di Strand è illuminante.
Complimenti.
Ciao
Alex - Logos
ps
Grazie a Zoon per la citazione... :)

Ettore Fobo ha detto...

Grazie Logos, sono curioso di leggere il tuo scritto su Simic, ho visto che sul tuo blog c'è solo l'introduzione. Cercherò il numero di NeXt, ciao.