Oscurato - Paul Celan

martedì 19 novembre 2013






Libro sofferto e in fondo maledetto, se mai ve ne furono, Oscurato di Paul Celan, qui proposto per la prima volta in italiano da Einaudi nella traduzione di Dario Borso, è l’esito di una ricerca che vede nella parola poetica il condensato di mille voragini semantiche, la  vertigine inconclusa  della polisemia che è il suo fulcro e il suo ritmo, dove il massimo di senso e il minimo di spazio convergono per emettere bagliori e schegge arroventate.

Scritto fra il febbraio e l’aprile del 1966,  durante la degenza del poeta in una clinica psichiatrica e quasi interamente dedicato alla moglie Gisèle, Oscurato è un canzoniere dove la parola viene forzata per darci il massimo potere di rifrazione prismatica, di sfaccettature, di ambiguità. La scrittura, quasi zen in fondo nella sua essenzialità labirintica, sembra oscillare fra oracolo e aforisma, fra lirismo ed ermetismo, dove un grido atavico, consustanziale ai primordi del linguaggio, si centellina in versi meditati, scavati, sofferti.

Il risultato di questo processo è una parola misteriosa, densa di echi, rarefatta, condensata, graffiante. L’impressione di scavo è accresciuta dai richiami a un passato preistorico (“i resti del cretaceo”) come se questa lingua si ponesse di indagare all’origine della vita, o addirittura fosse il mormorio delle prime cellule. Davanti a molte liriche l’esegesi spazia in territori di terribile e terribilmente affascinante ambiguità, che se da un alto è propria della parola poetica, dall’altro testimonia di una  tensione all’alterità.   Il compito del poeta è supremo: afferrare attraverso la scrittura “la ruota celestiale” che si trova a una “distanza impensabile”. L’impensabile è ciò in cui scava Celan,  in cerca di una dimensione in cui il pensiero, la parola, il grido, il silenzio, si compenetrino in maniera da darci almeno il ricordo di una totalità, pur nel mezzo della più accurata della frammentazioni.

Dovessi scegliere un verso per raccontare questo libro, opterei per quello che conclude la poesia Nel giro:
 “ Il grido di un fiore/ cerca di giungere a esistenza. “

E’ un’immagine potente, ricca, sintomatica di un pensiero che cerca di emergere, di una vita che vuole esplodere, ed è soffocata da quelli che Celan stesso chiama enigmaticamente “orizzonti – muraglia”. E’ un verso che racconta un anelito disperato e una vitalità disperata in cerca di un riscatto.

Il discorso di Celan verte tragicamente intorno alle possibilità e impossibilità della lingua; in un verso il poeta si definisce “alieno dalla lingua”, inseguendo ancora una volta l’alterità del “non terrestre”, in un altro si favoleggia circa “un’irruzione dell’indistinto/ nel tuo linguaggio”, altrove “Una lingua/ genera se stessa/ con ogni poesia sputata‹…›”.

Ecco poi una poesia straordinaria nella sua brevità e semplicità:

“NON SCRIVERTI
tra i mondi,

imponiti alla
varietà dei significati,

confida nella scia di lacrime
e impara a vivere.”

Qui la lotta del poeta è dare ordine alla moltitudine di significati, seguendo la via del dolore  e delle lacrime per imparare semplicemente a vivere. E’ in sé come un aforisma sofferto e carico di lucida saggezza, sintetizza mirabilmente un percorso sapienziale. Non manca la musica, prendiamo,  per esempio,  il verso conclusivo della poesia Non spegnerti del tutto: “ morgens, mittags, abends, nachts” nell’originale tedesco,   che in italiano diventa “mattina, mezzodì, di sera, a notte”.

 Poesia dura, scabra, sofferta, scavata, quella di Celan ”canto urgente dei pensieri/mosso da un sentimento”, si offre alle interpretazioni più disparate e così anche alle incomprensioni. In un certo senso è una poesia che non vuole essere compresa perché comprenderla significa porre ad essa dei limiti e l’illimitato dei sensi molteplici è la sua reale ambizione.

Il messaggio di Celan vaga nel vento gelido dell’inverno, dove sibila come un presagio il verso del gufo e lontano s’intravede un chiarore: è il chiarore che Celan ha inseguito  tutta la vita e ha distillato dalle parole, regalandoci questa poesia in fondo inimitabile, calco pietrificato della sua anima in pena.




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