Traditori di tutti - Giorgio Scerbanenco

lunedì 3 agosto 2015







Leggere Scerbanenco è un buon modo per interrogarsi sulla letteratura di genere, essendo egli noto prevalentemente per i suoi gialli, i suoi noir. In Italia la letteratura di genere è considerata  di bassa qualità, una letteratura di  consumo, anche se ultimamente proprio quella gialla, più specificatamente quella  noir, ha conosciuto una critica migliore.

Secondo me, uno scrittore può esaltarsi anche all’interno di un genere, fornire, oltre che dell’ottima (e necessaria) “evasione”, un paradigma, uno stilema, una visione del mondo. Scerbanenco riesce in tutto questo.

La sua è una buona scrittura, solida senza essere eccessivamente raffinata e altezzosa, autentica senza essere però sciatta, lucida e spietata come il mondo che racconta, senza mai cadere nell’affettazione stereotipata delle letterature d’imitazione.

Traditori di tutti, edito come allegato del Corriere della sera,  è la seconda avventura che vede protagonista il personaggio più noto di Scerbanenco, Duca Lamberti, l’ex medico radiato dall’ordine per eutanasia, e le sue indagini poliziesche dentro una Milano descritta minuziosamente nelle sue vie, anche periferiche; una Milano lunare e spaventosa, dove,  nei suoi profondi meandri tenebrosi,  si agitano individui spietati, turpi, dediti alla violenza cieca e al crimine.

La normalità borghese è il doppio spiritato e stranito di questa Milano cinica e bastarda, dove tutto pare attraversato da un sotterraneo fremito d’orrore. È una Milano allucinata, fredda, oscura, malata, dove i delinquenti finiscono per tradire tutti, dalla collettività onesta ai propri compagni, calpestando con brutalità ogni legge per imporre il proprio dominio criminale. È un’immagine di Milano degli anni Sessanta che risulta essere una delle più significative espresse in quegli anni (insieme perlomeno a quelle fornite da Testori e da Bianciardi). Non una Milano da cronaca nera soltanto, ma la dimostrazione che il male permea la radice della nostra società. Non c’è una critica sociale in Scerbanenco, un’indole da riformatore, c’è l’amara consapevolezza delle atrocità intorno a noi, che convivono con una mentalità dominante di perbenisti un po’ ottusi.

C’è un alto senso della giustizia, forse ingenuo e un po’ stereotipato, in questi personaggi. Duca Lamberti in particolare, con il suo tragico e tormentato passato (condannato al carcere per eutanasia su una sua paziente terminale), si gioca il residuo senso di dignità nel tentativo di aiutare la polizia milanese a scovare i criminali. Si sporca così di tutta la melma, inala tutti i fetori della mala milanese. Duca Lamberti è il personaggio su cui i lettori proiettano se stessi e s’identificano, eroe buono contro il male, non disdegna l’uso della violenza per far confessare i criminali. Questa dicotomia buoni - cattivi, bene- male, è un po’ un cliché consumato e quasi infantile,  va a scapito del realismo anche feroce con cui la vicenda è narrata. Qui il genere mostra i suoi limiti.

Come già visto in Venere privata, pare che Scerbanenco non riesca totalmente a tenere le fila di questa trama, qualcosa gli sfugge e tratti semplicistici balenano nel disegno e appesantiscono un po’ il romanzo che talvolta  risulta confuso nella ricostruzione degli eventi. Però la scrittura regge, funzionale al racconto, Traditori di tutti conferma tutto sommato la buona vena di Scerbanenco.
Essendo egli molto preciso e chirurgico nell’evocazione dei luoghi, la sua geografia della Milano anni sessanta è un perfetto documento storico e Traditori di tutti è a suo modo un piccolo classico, forse scomodo, forse minore, della nostra letteratura.


0 commenti: