Romanze senza parole – Paul Verlaine

lunedì 25 aprile 2016







Paul Verlaine è un poeta che perde molto del suo fascino nella traduzione, benché questa di Cesare Viviani mi sembri un’ottima operazione, in questo Romanze senza parole, edito da Feltrinelli nel 2007 e riproposto nel febbraio del 2016.  Verlaine, infatti, si esprime in rima e questa musicalità del dettato non può essere riportata in un’altra lingua. La romanza senza parole è un tipo di composizione musicale per pianoforte, nata in Francia nella seconda metà del Settecento.  L’importanza delle sonorità e dei ritmi in quest’opera di Verlaine è dunque decisiva, annunciata com’è già nel titolo. La nuova pubblicazione di Romanze senza parole viene a colmare un vuoto, perché attualmente, parrà strano, non sono molti i libri del poeta francese che  si possono trovare facilmente nelle librerie italiane.

Tradotte le sue poesie sono attraversate da un abbandono fra il lugubre e il patetico, e sebbene interessanti, non hanno la mobilità aerea dell’originale. Sono buone poesie anche nella traduzione ma tradiscono una mancanza di pensiero, laddove affiora invece un sentimentalismo un po’ di maniera,  a volte intriso di accuse verso l’oggetto amato che farebbero la gioia di qualsiasi psicoanalista in cerca di moventi inconsci. L’assenza di pensiero è un limite, mi sembra che Verlaine si adagi in una visione tutto sommato monocorde dell’esperienza umana, diviso fra noia e languore, quest’ultime parole chiave della sua poetica insieme a tristezza e dolcezza.

L’ansia dell’assoluto, che diverrà più tardi conversione al cristianesimo, si esprime in queste poesie, come nostalgia o rimpianto di un’originaria edenica felicità perduta che solo l’immaginazione, le fantasticherie, possono far rivivere.

Si è molto parlato del burrascoso rapporto con Rimbaud. Difficile trovare poeti più distanti. L’impeto di Rimbaud è estraneo a Verlaine, che si limita a dipingere dei quadri naturali, a scrivere poesie posate dove l’angoscia del vivere s’incarna nella natura stessa che la riecheggia: “ Il vento profondo/sembra piangere.”

Però,  aldilà del pianto, un po’ ostentato, in queste poesie non c’è molto. Sono piacevoli ma, persa la musicalità dell’originale, un po’ inconsistenti.

Per carità, Romanze senza parole è un libro che si legge con piacere ma di cui alla fine della lettura rimane poco: sensazione di vaghe,  sognanti fantasticherie, una sorta di impressionismo poetico che oggi ci pare datato,  un’eco lamentosa che svuota un po’.

Le poesie sono state scritte prevalentemente durante la reclusione in carcere,  per aver ferito al polso Rimbaud con un colpo di rivoltella, e pubblicate nel 1874 quando il poeta aveva trent’anni.

Conoscere bene il francese è conditio sine qua non per apprezzare pienamente questo poeta dall’animo fragile, che ha dedicato la sua vita a modellare versi delicati e perfetti, sostanzialmente intraducibili.

È un poeta le cui immagini sono semplici, che racconta della monotonia dell’esistenza, i suoi versi riflettono l’immagine di una natura preda del languore, raccontano i “brividi dei boschi” e la passione amorosa spesso non corrisposta.

Ecco alcuni versi che mi sono parsi fra i più interessanti, nella loro evocativa semplicità:

“ Oh  il fiume nella via!
Fantasticamente apparso
dietro un muretto di cinque piedi,
spinge senza un mormorio
la sua onda opaca ma pura
nei tranquilli sobborghi.”

La natura diventa qui espressione della tristezza del poeta che la canta, amaramente intriso di noia, che confessa di essere un peccatore ma anche “il primo cristiano” impassibile davanti al martirio, la cui estasi è,  tuttavia, “incandescente”.  Questo fuoco, però, non si ravvisa in questi versi in cui tutto è come affievolito e smorzato e una certa mollezza emerge e intorbida le acque. “Speranze annegate” nel gran tedio dell’esistenza quelle di Verlaine, la cui opera non diventa lo sconcertante grido di rivolta dell’amico Rimbaud, ma un canto sommesso, dimesso,  sussurrato, arreso al vuoto.




2 commenti:

Silvia Pareschi ha detto...

Eh, già, persino io devo ammettere che ci sono certi libri (non molti, per fortuna) che, indipendentemente dalla bravura del traduttore, non superano illesi il passaggio della traduzione...

Ettore Fobo ha detto...

@Silvia

Questo è vero specie per la poesia e soprattutto con i poeti che usano la rima, come in questo caso. Non è possibile restituirla in traduzione, salvo eccezioni incredibili (Bufalino che traduce Baudelaire).