Tra me e il mondo – Ta - Nehisi Coates

sabato 17 settembre 2016








Tra me e il mondo è scritto da Ta - Nehisi Coates - giornalista di colore che lavora tra l’altro per “The Atlantic”, “The Washington Post”,  “Time-  ed è stato pubblicato  in Italia da Codice Edizioni nel maggio 2016,  per la traduzione di Chiara Stangalino. Il libro potrebbe essere giudicato da qualcuno un sasso gettato nello stagno dell’ipocrisia Wasp, ma a me sin dalle prime pagine è parso soprattutto il classico libro buono per lavare la coscienza dei radical chic bianchi, progressisti, americani. Per questo, probabilmente, ha vinto ogni genere di premio prestigioso (fra cui il National Book Award) e vanta in quarta di copertina giudizi esaltanti che vanno dallo “straordinario” del New Yorker all’”epocale” di “Le Monde”, che pure è un giornale francese e dovrebbe avere gli anticorpi verso questa letteratura apparentemente impegnata,  in realtà furba, tanto più quando ostenta la propria autenticità. Addirittura imbarazzante il giudizio che ne dà “Publisher’ s Weekly”: “Immenso. Un classico che rimarrà nei secoli". Più si procede nella lettura, infatti, più questi giudizi altisonanti paiono grotteschi.


Si tratta di un libro strutturato come lettera dell’autore al figlio quindicenne, che tradisce dunque una volontà pedagogica e che ha il merito di esibire una certa compattezza. Estremamente ripetitivo  e  noioso, però,  specie nella prima parte,  fino a rasentare l’ossessività, questo è un atto d’accusa  contro quella società bianca, che,  in nome di ciò  che l’autore chiama “il  Sogno”, per preservare i suoi prati ben tagliati, i suoi arrosti ben cotti, le sue torte alle fragole, costringe i neri a vivere nella paura che il loro corpo sia distrutto e  li considera cittadini inferiori.  Questa è l’ossessione dell’autore, il corpo. Ossessione che dopo un po’ che si procede nella lettura diventa persino stucchevole.
  
Quello di Ta - Nehisi Coates è il racconto di come un nero si costruisca un’identità in un mondo in cui è considerato sostanzialmente un paria, un reietto, un escluso. E fin qui va bene, ma la sensazione è che l’autore parli troppo di sé e per giunta spesso senza interessare e che le sue analisi sociologiche siano manchevoli. In fondo, lungi dal raggiungere l’universalità della grande letteratura, Tra me e il mondo rimane nel limbo dei libri che si occupano di problemi locali: la condizione dei neri negli Stati Uniti, infatti è infarcito da riferimenti comprensibili solo da un americano.  E per un americano deve esser anche uno shock leggere che l’omicidio  dei neri da parte della polizia non sia causato da incidenti cui si può porre rimedio ma dallo stesso sistema che si dice democratico. Anche se non particolarmente originale, questa è la verità più profonda del libro e devo ammettere che l’autore la sostiene con lucidità.

Il tono sofferto e a tratti viscerale di Ta - Nehisi Coates non toglie comunque il sospetto che tutto sia costruito ad hoc per suscitare una certa indignazione che fa tanto bene ai radical chic di cui sopra. Oltretutto, il fatto che il testo sia tutto rivolto al figlio lo trovo irritante. C’è qualcosa di fastidioso, di artefatto, di retorico, di querulo, addirittura di melenso, in questa prosa, che ne depotenzia gli aspetti più vitali, aggressivi, e di denuncia sociale.

Ricordo un pugile di colore che una volta disse: “Una volta diventato ricco ho cessato di essere nero”. Questa frase nella sua sintesi dice di più di questo pamphlet che in fondo, nonostante tutte le intenzioni, si riduce a essere uno sterile resoconto autobiografico. La sua denuncia non colpisce il sistema economico su cui è fondato il razzismo, non contesta alla radice l’escalation performativa e produttiva richiesta dalla nostra società. Tra me e il mondo è, inoltre, tra i libri più noiosi che abbia letto quest’anno. E dunque perché tanto clamore, intorno alla storia di un borghese che narra al figlio quanto sia difficile essere neri?

Probabilmente perché è il momento perfetto per una storia simile. I neri della generazione di Coates si riconoscono, i radical chic gongolano, qualche rapper farà una canzone su questo intellettuale come nuovo eroe nero (c’è già un fumetto della Marvel) e tutti saranno più  contenti. Un po’ di denuncia, un po’ di rabbia (come quando scrive che le scuole andrebbero bruciate),  un po’ di cultura nera, un po’ di Malcom X, un po’ di qualunquismo (scrive testualmente: “la nostra nazione è governata da una maggioranza di porci”),  e la coscienza può tornare a occuparsi dei suoi prati ben tagliati, dei suoi arrosti, delle sue torte della nonna. Tutto espresso in uno stile che qualcuno ha definito impeccabile e che a me è parso invece fin troppo piatto e scontato; tutt’al più quella di Coates è  una discreta scrittura  giornalistica senza lampi annacquata nel brodo di una prosa spesso eccessivamente sentimentale.

Sì, la denuncia di Coates è un boomerang e Tra me e il mondo è  un libro poco interessante, da evitare.  Alla faccia del “classico che rimarrà nei secoli”.
E a chi è interessato a questi temi consiglio piuttosto ”Ragazzo negro” di Richard Wright. Questo sì, “straordinario”.


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