sabato 18 aprile 2009
Stephen Spender è uno dei nomi più prestigiosi della poesia inglese del Novecento e qualche anno fa per Mondadori è uscita una sua interessante raccolta di versi, che partendo dagli anni trenta e arrivando fino a tutti i sessanta, disegna la sua parabola artistica in maniera efficace.Alla fine del volume troviamo anche uno scritto critico di Spender stesso sulla scrittura in versi, in cui egli esemplifica il proprio processo creativo, mostrando la tensione conoscitiva che lo anima.
L'infanzia della figlia è la rivelazione di un amore infinito, sebbene nella stanza ogni giocattolo sia "un nervo scoperto"nella consapevolezza della fragilità di questo stesso sentimento. Ed è proprio nell'amore, suggerisce Spender,che la travagliata esperienza umana trova il suo riscatto,e se in essa vi è una pienezza si trova nelle "passioni più reali"che vincono la desolazione con il loro afflato che in Spender non è mai mistico, ma calato pienamente in una realtà di cui il poeta non tace mai le asperità.L'amore è quella realtà capace di " benedire ogni cosa e ognuno ", ma altrettanto potente la morte" attesta il fuoco al centro del suo sguardo " nella poesia dedicata a Dylan Thomas, incorona il respiro nella dolente preghiera di Elegia per Margherita. Faticosa è la consapevolezza, un barlume di luce è una conquista quotidiana, e anche se il corpo" sarà buttato via come l'elitra dello scarabeo" vi è tuttavia"un'immutabile parola" che dà senso al divenire oblio di ogni cosa, sebbene in questa parola riecheggi tutta l'angoscia di chi, faticosamente, cerca una giustificazione morale al proprio agire, e la trova soltanto nella lucida "testimonianza di sé, dell'amore, della morte"realtà che costituiscono il fulcro del discorso poetico di Spender.L'uomo privato dell'essere cui anela può trovare magari diletto in un paesaggio, fino a desiderare di fondersi in esso, ma la totalità gli è preclusa in un 'epoca"ignorante e tragica" e sconvolto dalla scoperta della propria caducità" Giacché già ci si è dimenticati di noi sulle rive stellari "questa consapevolezza gli restituisce "un mondo già morto", a significare che la lontananza delle stelle è il segno di una cosmica indifferenza alle vicende umane.Non c'è nessuna divinità a vegliare su i nostri destini,nessuna realtà metafisica può consolare l'uomo della sua carenza ontologica, che spesso in Spender è sentita come una mutilazione.Uscire dal " caos della mia tenebra"è il compito che si impone nella sua poesia, per raggiungere"un più lucido giorno"dove però il buio e la luce trovino la loro necessaria riconciliazione, una sorta sintesi dialettica degli opposti, capace di ritrovare unità, ma così diventa difficile separare la vita dalla morte, l'essere dal non essere, e tutto è destinato ad una confusione inestricabile.In questa poesia i grandi temi della vita sono evocati con una sorta di tranquillità che vuole accettare tutto e restituire il caos alla sua comprensibilità, costantemente alla ricerca di un ordine che" ha per dogmi un oggettivo amore".
Il senso delle cose è un baluginare che può essere colto solo nella più profonda tensione intellettuale e sospeso fra amore e morte il poeta è " un profeta in cerca di lingue di fuoco"che nella "gran tempesta del mondo"cerca di unire i pezzi di un puzzle, di cui il significato complessivo gli sfugge, tentando traverso il canto di guarire " le ferite che questo tempo dimentica...e assai meno trascende."
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