Tutte le opere- Antonia Pozzi

sabato 18 luglio 2009

La fantasia trasforma la realtà, la trascende, e allora la contemplazione di un mare immaginario appaga più di quello vero, nell’immaginazione, seconda Antonia Pozzi, risiede il segreto mormorante delle cose, la sua è una poesia mentale, nata da un impulso maturato lungamente, nei fondali della coscienza, al tempo stesso una cosa profondamente immersa nel sangue di tutte le ferite del vivere. A ventisei anni la poetessa decideva di mettere fine alla sua vita, lasciando un’opera poetica destinata a superare le anguste vicende dei suoi brevi giorni, ed incantare poeti come Montale, un'opera che si segnala subito per la sua leggerezza, per una chiarità di tono che rende partecipi di un vasto mistero che ci alita addosso la sua ambiguità ;a volte realmente inquietante, altrove tenerissimo, a volte disincantato, il verso della Pozzi è un mormorio che si intuisce provenire da una mente lucida, appassionata, desiderosa di purezza e che, nella dolcezza della rievocazione poetica , sa mischiare la nostalgia a un prepotente desiderio di vita. Se” la voce è un tralcio d’edera" e il cuore è avvinto unicamente ai” gridi delle sue rondini” noi entriamo realmente nella sottile regione dell’abbandono poetico. Ci guida questa poetessa milanese, la cui voce “ il silenzio allarga” per farci percepire “ i misteri della sera, dei cimiteri dischiusi, dell’inverno che si avvicina”. Parola la sua a volte epigrammatica, veloce, capace di sondare la realtà con uno sguardo che sembra miracolosamente scampato alle opacità più meschine della vita. Su tutto sulle tragedie, sulle bellezze dell’esistenza si effonde un velo di crepuscolo infiammato dalle più dolci convulsioni del cuore, e i volti sgorgano negli specchi sereni, l’amore si rivela in tutta la sua purezza enigmatica, dilavato dal lavorio di una coscienza talvolta lacerata dalla sua assenza o dalla sua tragica impossibilità. La natura è un luogo in cui una cieca violenza si agita senza sosta, “dove il cuculo svolazza solo” e un cucciolo ferito dallo zoccolo di un cavallo simboleggia questo fato sinistro degli esseri viventi. Uomini con “occhi di poveri” vagano in una vastissima solitudine e la tristezza è uno “scirocco pregno di salsedine” e l’anima si protende verso “ignoti mari”, desiderosa di una pace che superi la comprensione, come nello Shantih eliotiano. Il cuore “inaccessibile” e” fatto solo” è davvero il fulcro di ogni ferita e la sorgente di un canto soffuso, dolcemente intriso di tutte le negatività, che però osa restituirci uno sguardo non più da afflitti, ma da scrutatori di bellezze fuggevoli. Il verso di Antonia Pozzi è colmo di immagini che con delicatezza esplorano anche i territori di una durezza implacabile, e le immagini naturali confondono la tavolozza dell’esperienza umana, per fondersi in un mosaico di impressioni e se le cose “ silenziosamente piangono su noi “ e i volti sono “macchie d’ombra” è possibile toccare la vertigine di una riconciliazione con le cose stesse, abbracciare la totalità indifferente, superando così il senso d’estraneità che ci pervade e che Sartre negli stessi anni (gli anni trenta del secolo scorso )ha così efficacemente descritto ne La nausea. Leggendo le poesie di Antonia Pozzi, nonostante il tragico epilogo della sua vita, non si corre il rischio di affondare in nessuna disperazione, la bellezza dei suoi versi è in grado di esiliare ogni cupezza, di isolarla come perla in una conchiglia. E’ così per tutti i poeti di talento, affrontare l’orrore e, mescolandolo al proprio sangue, restituirlo purificato dalle sottigliezze del dolore. I paesaggi sono quelli lombardi e allora laghi e torrenti fanno da sfondo a questa ricerca inesausta di bellezza, vivificata dalle passioni amorose della poetessa, i versi d’amore sono stille che racchiudono in sé il terrore della solitudine, la paura dell’abbandono, e un desiderio d’innocenza filtra nella spossatezza di una vita che soffre mancanze atroci e allora come un riscatto i fanciulli, le bambine diventano protagonisti, sotto uno sguardo che sa vedere in essi la leggerezza e l’incantesimo dell’infanzia. La poesia è “ un solido ponte” sulle “voragini della vita” e la capacità della poetessa milanese di far vibrare questa verità assieme alla nostalgia del silenzio ci rende partecipi di un mondo in cui lo splendore è presente accanto alla più nera disperazione, in cui le parole non sono staccate dalle cose, ma ne rappresentano il cuore. “ Per troppa vita che ho nel sangue/ tremo …” scrive la Pozzi e c’è da crederle, le sue poesie sono attraversate da una meraviglia e da una passione cogente, da una stretta necessità che li rende testimonianza indispensabile non solo di una vita, ma di tutte. Una “remota estate” avvampa nel sangue coi suoi fiori, bocche infantili cantano sulla “ tua solitudine”, ed “una trasparenza di falso cielo “, “enormi baratri azzurri “ convivono in questi versi , che ricordano tele di pittori impressionisti, capaci come sono di rendere vivido il paesaggio, nella melanconia tutta umana che rappresenta forse il suo segreto e il suo commento più appropriato .La lezione crepuscolare è ben presente in questi versi dove boschi melanconici, cimiteri, nevai sono descritti con pennellate sicure e improvvisi mutamenti di prospettiva e talvolta, ma raramente a dire il vero, con un sentimentalismo un po’ di maniera . “Il fugace sgomento “ della poetessa milanese è davvero l’indizio della sua sensibilità esacerbata, il suo canto, in fondo andato oltre l’ infelicità, è traccia di una meraviglia per l’esistenza,che traluce dal fondo buio della solitudine, realtà questa che ossessivamente fa capolino in questi versi , per tarpare il volo di una ragazza che ebbe la ventura di luccicare per un istante prima di sparire, per sua stessa scelta, ingerendo una dose letale di barbiturici.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Si sta bene qui, hopper dalì botero cavacciuti si respira aria di cose belle e lontane dai nervosismi quotidiani ridicoli inetti sacrosanti

kremo