Diario I

sabato 28 dicembre 2013



Si è ingenui nel ricercare un consenso, un riconoscimento. Soprattutto nel campo della letteratura, evanescenza solenne, mistificazione da Circo, aleatoria, casuale, folle. Che cosa vuoi,  la pacca sulla spalla? La medaglia al valore?  Per aver fatto cosa? Per aver seguito il demone dell’immaginazione? Lo dice bene William Carlos Williams in “Kora  all’inferno”: “L’immaginazione essendo nulla, nulla ne sortirà.” Questa è la norma. Eccezionalmente nasce un Dante, uno Shakespeare, un Omero, che sfidano i secoli. Saranno consegnati anche loro all’oblio un giorno, foss’anche fra un milione di anni. Gli altri, poeti, giullari e simili saltimbanchi, l’oblio lo vivono nella carne; conoscono l’indifferenza delle orde cieche nella metropolitana milanese, come me, per esempio. Che fare? Cantare, cantare. Sull’orlo del precipizio, con la ghigliottina che sta calando. Opporre la ricerca della forma all’insensato del tempo.  Combattere perché un fiore possa dire la sua, nella cacofonia dell’esistenza contemporanea.  Perché  l’enigma vince. La poesia lo sa.

9 commenti:

Mia Euridice ha detto...

Non so se la poesia serva più a chi la scrive o a chi la legge.

Secondo te?

Ettore Fobo ha detto...

Caspita, bella domanda. Faccio una premessa. Sono uno di quelli che pensano che il lettore debba contribuire alla creazione. Sia il lettore sia l’autore devono inventare, in modo diverso. Addirittura c’è un verso di Borges che recita più o meno ”il verso che stai leggendo sei tu che lo stai inventando” , purtroppo non ricordo la traduzione esatta. Detto questo, penso che in alcuni casi, nel caso di un dolore troppo grande per esempio, la poesia serva più a colui che la usa, come farmaco, per esempio, che a colui che la scrive. Immagino che “Blues in memoria” di Auden serva, come consolazione per un lutto, più al lettore di quanto sia servita all’autore. La grande poesia è un regalo. Anche come ipnotico e allucinogeno funziona più per il lettore, esentato da certe tensioni inerenti all’atto di scrivere, ma non, come ho già detto, dalla fatica di immaginare. Il poeta per creare una forma bella deve impastare del fango, lavorare la creta delle parole, affinché un altro possa godere della forma senza avvertire la fatica che c’è dietro. E’ un discorso vastissimo. Sintetizzando al massimo, dunque, tendenzialmente la poesia serve più al lettore. Colui che la scrive la dimentica e va avanti.

Mia Euridice ha detto...

Penso che anche il poeta "faccia uso" di poesia. Della propria poesia, intendo. La scrive (generalmente per sé) per poi aprirla agli altri.
E sono sempre affascinata dalla lettura che gli altri danno di ciò che scrivo.
Capita anche a te: scrivi versi che per te hanno un senso e qualcuno li legge dando loro un senso a cui non avevi neppure pensato. Vero?

In ogni caso la poesia "serve" ad entrambi. Me che scrivo, l'altro che legge.

Sul fatto che la poesia sia un regalo sono perfettamente d'accordo.

P.S. Buona fine, Ettore. E buonissimo inizio.

Ettore Fobo ha detto...

Sì, capita anche a me di essere sorpreso dal senso che viene dato alle cose che scrivo. Un mio amico mi ha fatto notare che non è bene che il poeta spieghi la sua poesia perché toglie al lettore la possibilità di interpretarla. Buon anno anche a te, Euridice.

Mia Euridice ha detto...

Il tuo amico dice cose sagge.

Elena ha detto...

Non c'è veramente altra ragione di scrivere se non di scoprire da altri cosa è stato scritto. Come una psicoterapia aperta, non cura una malattia, ma svuota lo scrittore, e liberandolo lo riempie di nuove visioni, nuove parole, di un più grande bisogno di scrivere.
Chi scrive si dimentica, è vero, altrimenti non si sopporterebbe. Invece quello che vuole, è leggersi dopo mesi e anni, e scoprire di essere un altro.

Buon anno nuovo, e ancora, ancora poesia, Ettore.

Elena

Ettore Fobo ha detto...

E’ vero che ci si deve liberare da qualcosa, probabilmente di un’energia in eccesso. Ed è bello scoprire, dopo anni magari, che non si è più la stessa persona, come dici tu. Rileggendo quello che scrivo, è una sensazione che provo sempre più spesso( per fortuna, aggiungo). La scrittura come terapia, giusto, come metodo per svuotarsi, vero. Però non sono d’accordo con quelli che sostengono che la scrittura nasca(soltanto) dal malessere. E’ un luogo comune che non mi piace. Secondo me, il malessere è un ostacolo alla creatività, non un aiuto. Certamente scrivere combatte il dolore ma puoi scrivere del dolore solo se sei già, in qualche modo, oltre.

Buon anno anche a te, Elena. Che sia un anno ricco di poesia e fantasia.

Condor ha detto...

Poesia come terapia. Come svuotamento. Come caccia sciamanica. Come catarsi. Oppure, come canzone. Denudamento dell'anima che permette guarigione, superamento, svuotamento, oblio, ek-stasis, oppure scoperta, ampliamento dell'orizzonte, avventura, apertura di nuovi sentieri. Questo secondo me vale indifferentamente per l'autore e per lo scrittore. Questo perchè l'autore è indifferente, è la Poesia, il Daimon della poesia che parla, tanto all' "autore", quanto al lettore, che "scoprono", "ricevono" entrambi il messaggio dalla Poesia, Storia Infinita di interminabili sentieri interrotti nella selva, proveniente dall'Altro. Poesia come "regalo", sì, ma regalo dall'Altro all'umano, innanzitutto. In un senso secondario, può essere anche un "regalo" dall'autore al lettore, in particolare nel caswo di poesie indirizzate a qualcuno in particolare (o a un certo tipo di persone, a persone che hanno avuto un certo tipo di esperienza, etc...). Poesia sempre come Enigma, inappropriabile e inspiegabile, anche da parte dell'autore. Scoperta, dono, intuizione, "evento", rivelazione sciamanica che non appartiene a nessuno, che quindi non appartiene neanche a sé stessa ma a un intrico di sentieri e intuizioni interminabili, non determinabili, non appartenenti a nessuno, ma disapproprianti il sè da sé stesso, verso l'indeterminato, il non spiegato, il fluire dell'Enigma, del mistero, della Vita libera: per questo la poesia è terapeutica. Perciò, buon inizio all'insegna della poesia e dell'indefinibile/inappropriabile/inesauribile/inspiegabile Panta Rei della vita!

Ettore Fobo ha detto...

Condivido quello che hai scritto:
“regalo dall'Altro all'umano”, soprattutto. Sono convinto anch’io che la poesia sia manifestazione dell’alterità, non riconducibile a categorie di pensiero. E’ pensiero che sa liberarsi anche di se stesso. Ci sarebbe molto altro da dire ma la febbre da cui sono affetto mi obbliga a un’estrema concisione.