Un mio articolo su Brian Eno

lunedì 20 gennaio 2014



E’ uscito sul blog della NeoRepubblica Kaotica di Torriglia un mio articolo sull’album "Music for Airports" di Brian Eno. Buona lettura.

5 commenti:

Condor ha detto...

Ciao, riporto anche qui il commento che ho lasciato sul sito di Torriglia.



Complimenti bella recensione. Per quanto riguarda la mia personale maniera di percepire questa musica, aggiungerei che si tratta per quanto mi riguarda di musica esistenziale e religiosa.

Esistenziale, perchè ci spinge a fermarci, interrompere il nostro viavai frenetico di piccole nevrosi quotidiane, e chiederci quanto senso ci sia in questo meccanico automatismo. Rallentare, fermare la corsa. Fermare gli automatismi della mente e fare Attenzione, percepire le cose con attenzione, non come scontate. Riflettere. Dove stiamo andando? In cosa perdiamo inutilmente le nostre non ripetibili vite? In quali futili follie e nervosismi sterili perdiamo tempo, mentre il tempo che ci è concesso pian piano si riduce? E, seconda cosa, in quali futili (e distruttive) follie senza senso, assurde si sta perdendo il mondo, nella fretta cieca, rancorosa della competizione consumista isterica lobotomizzata alienata di massa?

Religiosa, perchè questa presa di coscienza, questo fermare il tempo, questo fermare, rallentare, inceppare l’ingranaggio (sebbene attraverso suoni elettronici, tecnologici, prodotto di macchine) viene guidato verso il pozzo senza fondo dell’animo umano, verso i territori del tempo circolare o dell’atemporalità. Una musica sacra post-moderna, certamente, in cui ci ritroviamo nuovamente a pregare, nel nostro misero assurdo caotico vuoto, ma in un aeroporto, in un non-luogo, utilizzando il paesaggio tecnologico, i sintetizzatori, le macchine, e in cui la nostra preghiera non ha più un Dio chiaramente identificato di riferimento.

Musica spiazzata, ritrovarsi nell’atemporale spezzato alienato del non-luogo con una sete, una fame divorante di essere in qualche maniera, simbolicamente, in una Cattedrale Cosmica. con la consapevolezza straziante di questa contraddizione aporetica.

Condor ha detto...



Meditatio mortis contemporanea, meditazione sul senso ultimo della vita, su quanto non senso sta in questo prodotto ultimo del tempo che abitiamo, questo frammento di spazio perso, privo di radici, in cui viviamo.

Meditazione che spinge a un pentimento e a una conversione, a una ricerca di senso, a una preghiera (magari muta, tartagliante, afasica, incapace ormai di trovare parole o un Dio a cui dirle) ma anche a una inquietudine profonda e a una accettazione del non-luogo, della porzione di galassia sperduta alla deriva in cui ci troviamo a essere.

In ogni caso rallentamento, rilassamento, riassestamento, sospensione interrogativa, sprofondamento in altri tempi, altre leggi, altre modalità, molto più antiche ancestrali e profonde, della mente, dell’anima.

Mi ha colpito molto, nei primi pezzi, la maniera in cui, dopo una lunga ripetizione di una nenia, un mantra avvolgente, la musica, senza preavviso, si spegne e finisce: si produce quindi vuoto – il silenzio compare in primo piano – ma ecco poi dopo una lunga pausa, la nenia ricomincia, rilassante, accogliente, ti riprende per mano: un messaggio fondamentale per l’essere umano contemporaneo: esiste un tempo circolare, un’atemporalità, un Grembo Cosmico, che ti accoglie anche quando cadi, quando fallisci, quando rallenti o quando ti fermi. In altri termini: non temere il Vuoto. Nel Vuoto non ti perdi, il Grembo c’è anche lì, anzi forse nel Nulla ti ritrovi, ritrovi te stesso, perciò piantala di correre come un pazzo e di essere ossessionato dal terrore di perdere le cose a cui continuamente tu ti aggrappi.

Una meditazione sul Vuoto, in cui emergono, tra l’altro, la solitudine e il bisogno, la fame d’amore. Fame che spinge tutti noi abitatori di un universo ormai philipdickiano a fare di tutto: gente che si aggrega alle sette più diverse, gente che si droga o si ubriaca, gente che si stordisce con altre forme di realtà virtuale o sogno artificiale, gente che si diverte quando riesce, gente che compra animali da compagnia per sentirsi meno sola (animali veri, per il momento, non ancora artificiali come nei romanzi di P. Dick, ma trattati molto spesso come fossero gadget elettronici o giocattoli androidi) ma che raramente riesce realmente a uscire dalla solitudine.

E cosa c’è di più solitario, di solitario-nel-mezzo-dei-fiumi-di-folla/massa-anonima-alienata, del grande spazio anonimo, monumentale, megalitico, titanico, atemporale, telecinetico, ipertecnologico di un aereoporto?

Condor ha detto...

https://www.youtube.com/watch?v=E_jwv2QMtAo

Ettore Fobo ha detto...

E’ senz’altro una musica religiosa, perché l’alienazione postmoderna dei non luoghi genera una ricerca del sacro. E mi fa piacere che tu abbia sottolineato la circolarità insita nella melodia. E’ proprio il concetto di tempo cosmico che affiora, ciclo in cui ci si perde e insieme ci si ritrova. E’ anche il tentativo di imprimere un ritmo al caos, di accettare il vuoto e il silenzio, di farci evadere dalle nostre prigioni consumistiche in cui il tempo si brucia, si spreca. Mi è sembrato sin dal primo ascolto che questa musica fosse terapeutica, fosse un antidoto contro i veleni della nostra civiltà sempre più disorientata e opprimente. La solitudine è il marchio dei non luoghi, dove una folla indifferente e lobotomizzata dall’indifferenza sciama rinchiusa. “Stiamo diventando come degli insetti” canta Battiato. Per il resto, mi sembra che la musica di Steve Reich moduli in termini più inquietanti l’oppressione a cui siamo soggetti. Forse gli manca qualcosa per essere davvero liberatoria come “Music for airports”. Interessante consiglio comunque, grazie.

Condor ha detto...

Se vai avanti nell'ascolto di Reich vedrai che l'inquietudine si trasforma in magia notturna sognante, magica. Te lo consiglio, è un pezzo straordinario!