lunedì 11 maggio 2015
Quando si scrivono poesie ci s’interroga
quasi quotidianamente sul senso di quest’operazione. Naturalmente è così per
tutte le espressioni artistiche, ma la poesia è davvero la cenerentola di tutte
le arti, la grande abbandonata, a maggior ragione in Italia, dove essa è caduta
in totale discredito. La letteratura in genere interessa sempre meno gli
italiani; per l’editoria si parla di un 30% di lettori in meno in un anno,
circolano statistiche inquietanti (il 60- 70% dei nostri connazionali, secondo
una di queste, farebbe fatica a comprendere un testo di livello elementare). In
tale contesto scrivere versi potrebbe essere, specie per la sempre più nutrita schiera dei detrattori
della poesia, un atto stupido, insensato, vacuo.
E allora sorge in me il fantasma
del difensore della poesia, che dice strenuamente,
forse grida: “La poesia non vive nell’attuale perché preferisce bruciarsi
nell’attimo. Perciò, ha un respiro e una memoria più profonde di tutta l’attualità di questo mondo. Si commisura su un tempo extrastorico. È la
voce della memoria sotterranea dell’umano, fiume carsico che convoglia al mare
del sogno tutta la realtà di questo mondo...” Bene, potrei dirgli, hai detto la tua.
Quanto a me, senza arrischiarsi più
di tanto in ulteriori definizioni, la poesia è parola alla sua massima densità
e potenza di sintesi, e proprio per questo rischia di essere l’essenza di
quella vertigine che ci fa umani. Lo sanno in pochi? Non importa o meglio bisogna
riconoscere che il disinteresse verso la poesia è disinteresse verso il
linguaggio, cioè verso l’essenza stessa .
“The world is the word”, dicevo un tempo. E allora chi se non lei, la poesia, ci
salverà dal precipitare dalla parola al grugnito?
”In principio era il verbo. Poi
il verbo è stato tradito” ha scritto da qualche parte Ezra Pound. Tutto
questo per dire che per me ha senso scrivere versi perché penso sia il mio modo
per resistere allo sfacelo, per modellare il linguaggio o, più realisticamente,
sognare di farlo; quindi, se è vero che noi siamo fatti di acqua e di parole,
sognare di modellare se stessi. Scrivere poesie è semplicemente il mio modo per
essere libero grazie alle parole, e nonostante le parole. “Le parole
sono buchi neri”, ammoniva Carmelo
Bene. Bisogna conoscere le parole, dunque. È una questione di pura
sopravvivenza.
Sì, per me ha senso scrivere
versi e ha senso pubblicarli. Se non altro perché bisogna essere assolutamente
inattuali. Se non altro perché amo le contraddizioni, l’ambiguità e il mistero.
Così è uscito oggi per Kipple Officina
Libraria un mio poema in versione ebook. S’intitola “Diario di Casoli”. È la
terza uscita della collana VersiGuasti,
curata da Alex Tonelli, che ha scritto anche l’introduzione al mio testo. La
copertina è di Igor Folli. Ringrazio loro
e tutta la Kipple per l’entusiasmo che sento intorno a questo progetto. A
riprova che la poesia continua a resistere e che la passione può fronteggiare
qualsiasi crisi. “Diario di Casoli” si può
acquistare sul sito della Kipple Officina Libraria, su Amazon, su Ibs, e su
tutti i principali store.
Ettore Fobo
2 commenti:
Eroico!
In bocca al lupo...
Grazie Euridice, davvero.
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