Il mostro ama il suo labirinto – Charles Simic

sabato 12 dicembre 2015








Ricordi, storielle, fugaci impressioni, brevi prose, riflessioni critiche, aforismi: questo contengono i taccuini del poeta americano di origine serba Charles Simic, che Adelphi pubblicò nel 2012 nella traduzione di Adriana Bottini, con il titolo Il mostro ama il suo labirinto. Su tutto domina una sprezzante ironia capace di disintegrare le convenzioni, facendo cozzare solennità e quotidianità, banalità e mistero: “La religione:  trasformare il mistero dell’Essere in una figura somigliante al nonno seduto sul vaso. “

Non manca una visione politica di amara disperazione: ”In democrazia, il ruolo principale della stampa libera è quello di nascondere al Paese che è governato da un’oligarchia.”

Così in poche righe acuminate è tratteggiato un universo in fondo concentrazionario, quello umano, tragico ma al tempo stesso ridicolo e spesso anche meschino, cui si oppone l’immensità senza volto e senza misura del cosmo non umano.

L’ironia è la lente attraverso cui Simic vede il mondo. Non è un’ironia leggera, né un feroce sarcasmo, Simic riesce a sostare in una terra di mezzo sospesa fra le due opzioni. Così demistifica se stesso e la realtà, mostrandoci l’aspetto famigliare delle cose solenni e l’aspetto solenne delle cose quotidiane, più una terza interessante dimensione aporetica.

Attraverso la frammentazione di questi testi ci descrive la disgregazione propria della contemporaneità, ormai privata anche di quell’ansia di recuperare un’unità perduta che ha contrassegnato il Novecento. È perciò la sua una felice frammentazione d’idee, contenuti, rapsodiche visioni, frammenti casuali, che non ambiscono a nessuna riunificazione ideale, neppure formale, si sparpagliano sulla pagina, attendendo che uno sguardo si posi su di essi, condivida la loro irriverente, caustica, iconoclasta precisione di aforismi quasi zen.

È un tono minore, minoritario, che fa la bellezza stranita, e spesso straniante, di questi scritti. Non è il tono del classico riconosciuto, consapevole eccessivamente della propria grandezza e un po’ magniloquente, ma la voce di un poeta immigrato (Simic è nato a Belgrado e da bambino si è stabilito con la famiglia negli Stati Uniti). Minore ed estraneo due volte dunque,  in quanto poeta e  in quanto immigrato. Estraneità culturale che Simic esprime stigmatizzando a più riprese gli accademici e i critici del nostro tempo, incapaci,  nella torre d’avorio di una tradizione forse ammuffita,  di leggere la contemporaneità.

Lo sradicamento è perciò frutto della vicenda biografia ma diventa in Simic riflessione ontologica: “Siamo tutti clandestini su una nave di folli.”

Si sentono avvincenti echi baudelairiani: “Stamattina, aprendo il giornale, ho sentito una zaffata di mali a venire”. Uno dei modelli di questi scritti così sembra essere proprio il baudelairiano “cuore messo a nudo”.

Simic è sia cosmico sia quotidiano, sa intrecciare con finezza entrambe le dimensioni, quella del finito con i suoi oggetti enigmatici, gli immancabili orologi, gli specchi, e quella dell’infinito, con le sue vertigini, le sue promesse, il suo enorme silenzio, trovando così il “nesso fra personale e cosmico”, come fanno i poeti che egli definisce popolari.

L’insieme dà allegria, una strana allegria, l’allegria di colui che, come Simic stesso, scopre il mistero al fondo della banalità, le architetture del fato nella nuda semplicità degli oggetti, la cui molteplicità abbaglia: “Ogni oggetto è un’enciclopedia di archetipi”.

Una parte importante di questi taccuini è dedicata a una riflessione critica sulla letteratura e in particolare sulla poesia. Nell’immaginazione poetica Simic vede in fondo, e forse suo malgrado, un veicolo per il trascendente, da ateo esplora una religiosità perfettamente laica, senza bisogno di alcun dio. Ancora una volta gli oggetti più comuni sono le sfingi il cui enigma deve essere sciolto dal poeta, che è colui che indaga la realtà nella sua concreta oggettività e insieme sa catapultarla nell’ignoto della rivelazione, nel regno della veggenza, nell’astrattezza del segno e del simbolo.

Simic racconta così la duplicità di ogni cosa, la profonda ambiguità del reale, con una concisione fredda e chirurgica e ci regala un libro splendido con la consueta geniale noncuranza.

La bellezza di un attimo fuggente è eterna.”

4 commenti:

Anonimo ha detto...

ottimo intervento.

Kremo (non riesco a entrare con l'account)

Ettore Fobo ha detto...


Grazie, Kremo.

Logos ha detto...

E Simic si conferma una grande voce...
grazie Ettore
Alex

Ettore Fobo ha detto...


@Logos

Questo libro in particolare è uno dei più belli che abbia letto quest’anno.