Messia - Guido Ceronetti

sabato 16 dicembre 2017





Poche cose si salvano in questo assai deludente libricino di Guido Ceronetti. Innanzitutto una frase fra parentesi nell’incipit (“ i molti non sono per la poesia, altro che nulla; ai molti vanno le canzoni, la propaganda, la democrazia…”), una citazione da lui tradotta di Eraclito (Il fuoco verrà/Giudicherà ogni cosa/ E la comprenderà”), una frase di Léon Bloy che citerò più avanti,  e qualche altra traduzione da Isaia a Rimbaud.

Il testo è una raccolta di scritti propri, altrui,  o tradotti da Ceronetti stesso, intorno alla figura del Messia e al pensiero messianico, declinato sotto vari aspetti, religiosi, politici, culturali. Non si tratta, infatti, solo della visione cattolica o ebraica ma di quella buddista, con la figura prossima ventura del Buddha Maitreya, di quella pellerossa con uno scritto di Alce Nero, di quella ufologica con alcuni articoli New Age e infine di quella politica, con il sogno di palingenesi rivoluzionaria di Marx ed Engels. Ma ci sono anche spunti puramente letterari:  brani di Kafka, Beckett, Blake, Hugo, Virgilio, Dostoevskij, Ionesco, Rimbaud e anche,  fra gli altri,   un estratto di una pesantezza inaudita da un romanzo di Salgari.

Da tale materiale eterogeneo non poteva che venir fuori una confusa accozzaglia intorno a un tema ormai così frusto che manco i catechisti ne parlano più: il tema messianico.
Per Ceronetti si rimane avvinghiati all’umano solo così; smarrendo questa chiave di volta si smarrisce la propria umanità.

A suggellare misticamente il tutto una bella ma ormai abusata citazione kafkiana. “ Il Messia verrà soltanto quando non ci sarà più bisogno di lui, arriverà solo un giorno dopo il proprio arrivo, non arriverà all’ultimo giorno, ma dopo l’ultimo.”

Così l’insolubile paradosso di un Messia che viene e non viene accontenta mistici e laici bisognosi di religiosità. Un colpo al cerchio e uno alla botte.

Si legge anche una traduzione di Rimbaud, ma si tratta di quel Rimbaud che, così decontestualizzato, avvalora la tesi, invero balzana, di una sua  conversione al cristianesimo.

Ceronetti è un pensatore, e in quanto tale non può essere che laico, oggi 2017, anche se leggendo questi testi viene qualche dubbio. Rimangono, infatti, incrostazioni bibliche, veterotestamentarie,  oppure visioni gnostiche, a condannarlo all’attesa di qualcuno che sa essere un sogno: il Messia.

Ma tutto questo armamentario alimenta soltanto  quelle “speranze cieche”, senza le quali, per Ceronetti,  non si può vivere.

Duole dirlo, da ammiratore più che ventennale di Ceronetti ma questo Messia è un libricino abbastanza inutile, sulla scorta di un altro uscito per Einaudi “Ti saluto mio secolo crudele”, che riportava brani altrui per sviscerare l’enigma del Novecento, senza, però, dare l’impronta del suo stile di scrittura inimitabile e prezioso.

Anche le poesie riportate in questo Messia, edito da Adelphi nel  luglio 2017, sono fragili, poco interessanti se non addirittura brutte ma davvero è il tema che non regge.

Il Messia oggi è buono per fomentare i cattolici ultraconservatori se non addirittura i catastrofisti dell’Apocalisse prossima ventura, o per ebrei ultraortodossi o per qualche fanatico New Age.

La visione laica di un Beckett in Aspettando Godot, di cui Ceronetti riporta alcuni brani, ci condanna a un’ inutile attesa disperante. Così questo libricino rimane intriso di amarezza e di sconforto.

Il brano di Victor Hugo, tratto da I Miserabili, è sintesi di tutto ciò. Decontestualizzato com’è appare grottesco.  Il personaggio di Hugo fallisce nella sua profezia sul Novecento: “Cittadini, il diciannovesimo secolo è grande, ma il ventesimo sarà felice.”

L’utopia così rivela tutta la sua ridondante assurdità anche nella citazione finale che chiude il libro,  di Marx ed Engels,  tratta dal Manifesto del Partito Comunista.  Probabilmente questa era la volontà di Ceronetti, costruire un testo in cui utopia e messianismo apparissero in tutta la loro, spesso funesta,  ambiguità. Ma accostare Beckett, Salgari, Isaia, Kafka, Marx, buddismo,  Alce Nero, ufologi e New Age è davvero troppo.

Certo il messianismo attraversa tutte le culture, l’utopia non si rassegna ma c’era davvero la necessità di questo libricino? Forse la sua utilità risiede solo nella stupenda citazione di Léon Bloy, di cui si è parlato all’inizio: “Non sarà probabilmente altro che un riflesso della Gloria in una cloaca, ma un riflesso così terribile che le montagne avranno il timore di esserne dissolte.”

L’attesa del Messia è comunque un delirio. Sarà anche l’esito apocalittico della nostra civiltà, il segreto desiderio dei malnati Tutti, ma non è un buon motivo per starvi dietro. Dispiace che Ceronetti, autore di grandi libri, sia in questo caso scivolato sulla buccia di banana di un messianismo così eterogeneo da risultare nauseante. E la fuffa New Age, per carità no. E il catechismo nemmeno.

Chiudo il libro con dispiacere. Ceronetti rimane un faro, un maestro di sterminata erudizione, per la nostra cultura declinante, ma questo libro poteva risparmiarcelo.

Anche perché si vede lontano un miglio che  è solo un riempitivo fra un saggio e l’altro.

0 commenti: