Poesia e cinema in Charles Simic

martedì 7 aprile 2020




La luce

I nostri pensieri preferiscono il silenzio
in quest’alba senza uccelli,
al modo che la prima luce
cattura il mondo mentre lo svela
e non fa commenti
sulle mele che il vento
ha scosso da una pianta,
né sul cavallo fuggito
da un campo recintato che ora bruca
tranquillo tra le lapidi
in un piccolo cimitero di famiglia.
***

da “The Lunatic- Charles Simic – a cura di Paolo Febbraro- traduzione Damiano Abeni e Moira Egan – gennaio 2017- Elliot
***

Un piccolo film nasce come sguardo interiore:  ” I nostri pensieri preferiscono il silenzio ”, in un susseguirsi di immagini che sono cucite fa loro in un montaggio calmo e  quasi svagato, si sente il vuoto sonoro dell’alba, il rumore del vento che montaliano entra nel pomario ma che non porta solo l’ondata della vita ma coincide con l’immagine falsamente funebre del cavallo che bruca in un piccolo cimitero, tutto illuminato da questa luce imparziale che non giudica ma accoglie il mistero di questa scena  che un poeta orientale avrebbe forse condensato in un haiku cui i versi di Simic sembrano alludere nella loro struttura cinematografica.

È facile vedere un  cortometraggio in questa poesia di Simic, soggettiva senza io che giudica ma puro sguardo che scopre la connessione sincronica del vento che scuote un albero di melo, spalanca il recinto di un cavallo che si ritrova libero mentre la luce di un’alba muta benedice con il suo equanime silenzio la scena e la consacra.

La poesia, come ha dimostrato Carmelo Bene in quel geniale saggio - pamphlet sul cinema che è “L’orecchio mancante” grazie alla potenza sintetica sua propria rimane il linguaggio più adatto a  rendere l’inquietudine dello sguardo, il suo movimento casuale e quindi la dimensione cinematografica pura che il film  declassa a congegno narrativo che invece di dire ciò che accade, didascalicamente lo proclama. “Questo voler dir tutto in un racconto… che ridere” chiosa il protagonista di “Hermitage”. Cinema che nella poesia trova dunque il linguaggio più giusto per manifestarsi rarefazione estrema,  immagine di pura sospensione fra un’immagine -  fotogramma e l’altra. Penso a poesie di Gozzano, Laforgue, Strand, Huidobro, Eliot, Mandel’štam, Ginsberg… dove il dinamismo dell’immagine concerta film istantanei  che sfuggono alla presa rassicurante della narrazione che imprigiona il cinema nella cronologica messa in scena dello scritto a monte, la sceneggiatura.

4 commenti:

Humani Instrumenta Victus ha detto...

Macchina attoriale C.B., e anche Takeshi Kitano (a proposito del cinema).

Ettore Fobo ha detto...

@Humachina

Carmelo Bene, con i suoi film, i suoi scritti teorici, ha contribuito a forgiare la
mia visione del cinema, tra le mille altre influenze che ha avuto su di me. Di Takeshi Kitano ho visto un paio di film ma non li ricordo, ti confesso

Humani Instrumenta Victus ha detto...

A C.B. sono particolarmente grato per avermi fatto comprendere la natura profonda del Barocco, insieme al suo sodale Deleuze (il suo saggio su Leibniz).
Enrico Ghezzi infine è il nesso che lega tutti e tre (C.B:, Deleuze, Kitano).

Ettore Fobo ha detto...


@Humachina

Ecco, Enrico Ghezzi. Grazie a lui in gioventù ho visto molti film memorabili. I suoi monologhi fuori sincrono con la loro criptica essenzialità mi hanno illuminato spesso. Kitano fra l’altro lo vidi proprio su Fuori orario. Per non parlare di Blob: fredda chirurgia televisiva.