Hermitage- Carmelo Bene

venerdì 6 febbraio 2009

"La vera evasione ,la ripugnanza fatta immagini, verso il tutto fin nei suoi costituenti formali, potrebbe capovolgersi in messaggio senza bisogno di esprimerlo, anzi in un'ascesi ostinata verso ogni proposito " Theodor W. Adorno

La situazione che si delinea in Hermitage è quella di una volontaria segregazione per l’unico personaggio del film, che si rinchiude in un albergo, che presto diventa animato da figure fantasmatiche,deliri davanti allo specchio, contorsioni nel bagno, lettere spedite a se stesso, frasi fulminanti. Quella di Bene è anzitutto una grande prova di attore e la dimostrazione che esiste una musicalità dei gesti, che solo la sua grande capacità di registrare e segmentare i propri movimenti può rendere presente all’occhio- orecchio dello spettatore. Si tratta di un cortometraggio, in cui apparentemente non accade nulla, come nell’estetica surrealista de “La storia è per i gonzi.”, ed invece è colmo di una tensione inesplicabile, quasi il protagonista fosse sull’orlo di una follia ricercata, di una solitudine che lo apparenta al Des Esseintes di Huysmans. Considerato da Carmelo Bene poco più di una prova di luci in vista del lungometraggio Nostra Signora dei Turchi,Hermitage conserva a distanza di quarant’anni intatta la sua potenza di visione assoluta dell’assurdità che circonda l’esistenza. Come riconoscere un senso, una storia, un progetto, in quelle contorsioni vocali e fisiche, in quei vaneggiamenti terribili e comici ? Quale il senso di quella lettera, scritta per un’amata forse immaginaria, la solita Lydia Mancinelli, che poi con un semplice tratto di penna che modifica tuo in tua diventa la lettera dell’amata al protagonista stesso,che, eroe del suo autismo comico, provvede a infilarla sotto la sua stessa porta ? Se, come sostiene qualcuno, il bagno è il luogo dell’inconscio, il fatto che gran parte del film si svolga proprio in quel luogo può fornirci una chiave di interpretazione: l’albergo è innanzitutto un topos mentale, un prolungamento dell’interiorità del protagonista, quasi a prefigurare il più sinistro Overlook Hotel di Kubrick. Il dramma del personaggio oscilla fra la mancanza della donna amata, fantasma di un passato che non vuol passare, e l’impossibilità di un’adesione a valori spirituali, forse sentiti con nostalgia, nell’incapacità di accettare il suo antico cristianesimo giacché “ non sapeva più peccare “. Fra lavandini trasformati in fantomatiche buche di suggeritore, vasche da bagno diventati palcoscenici, paradossi inquietanti, letti in cui si raggiunge a fatica una posizione, fra spasmi quasi epilettici, la non storia d’amore ha una sorta di epilogo, il personaggio interpretato da Bene getta una fotografia di donna nel water e dice : “Basta, è finita con chi mi vuole bene.”lasciando intendere di voler andare ben aldilà di sentimento e sentimentalismo,benché il suo viso, contratto in una maschera, racconti della sua grande inquietudine. L’acqua domina il film, come elemento fluido in cui le parole possono liberamente scorrere verso la foce di una teatralità capace di potenziarle e drammatizzarle in sommo grado. C’è tutto Carmelo Bene in questo piccolo film di prova, il suo disgusto per ogni progettualità volta a garantire volontà, identità, storia, psicologia, rappresentazione di un senso. E’ la stupenda tabula rasa di un Bene trentenne, che cerca la fenomenale psicosi in grado di far saltare i codici attraverso cui la vita diventa comprensibile, e dunque menzognera. Tutto avviene nel corpo dell’attore, nei suoi movimenti oculari, nelle sue smorfie, nelle sue cadenze vocali; l’assurdo diventa carne e sangue, lasciando sgomenti e stupefatti. La tensione di ogni gesto anche banale (muoversi nel letto, lavarsi nella vasca, bere un bicchiere di vino) è mostrata come segno di qualcosa che perennemente sfugge, tramonto dell’idea stessa di poter raccontare qualcosa, tutto è perduto, la scena restituita vuota, un nessuno si agita ancora ,ma è solo un fantasma, finché pietoso cala il sipario. E’ l’estetica di Bene, restituire bianca la pagina scritta, con il poema 'L mal dè fiori , rendere fulminea e quasi invisibile l’immagine cinematografica con la moltiplicazione delirante dei fotogrammi in Salomè, e a teatro smarginare il linguaggio, fino a trasformarlo, come ne La storia di Sawney Bean, in un soffio di parole incomprensibili, che non vengono più da un attore, ma dal vuoto stesso, a creare un evento teatrale assolutamente non umano. E’ la crisi del soggetto che ancora una volta Bene mette in scena in Hermitage, soggetto orami spappolato da una tensione interiore che non trova esito, isolato nelle sue smorfie, nei suoi gesti apotropaici, che sembrano le vestigia di un rito ormai perduto.


Hermitage- Carmelo Bene

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Mai amato Carmelo Bene, sicuramente esponente fondamentale dell'italico teatro ma non per questo per forza esponente in positivo.
Mi rendo conto di andare controcorrente e di poter indispettire i colti e i sapienti nel dire che trovo Hermitage scadente.
Se è vero che "C’è tutto Carmelo Bene in questo piccolo film di prova, il suo disgusto per ogni progettualità volta a garantire volontà, identità, storia, psicologia, rappresentazione di un senso", beh allora c'e' un bel pieno di banalità laddove forse avrebbe senso solo un bel vuoto (tra l'altro questa frase mi sembra contradditoria...se è un film di "prova"....)
Come sempre si definisce attraverso una opposizione quasi il mondo fosse una serie di 0 e 1, come forse ci vorrebbero far credere, ma l'assenza di senso, di volontà propriamente detta, di identità in quanto unica...beh e' la pura è semplice normalità.
Non c'è nessun titanico eroismo nel fare i conti con la realtà, ne' particolare genio risulta necessario.
Da questo punto di vista il delirio di uno schizofrenico non è diverso dalla ramanzina sul "buon senso" che un padre fa ad un figlio.
Ed hermitage di Carmelo Bene non è cosi' diverso dai Trailer di Maccio Capatonda.

Ettore Fobo ha detto...

Conosco diverse persone che la pensano come te, ma se il film gira a vuoto, su se stesso, lascia una scia di quell'abbandono che tanto Carmelo Bene ha inseguito nella vita e a me questo arriva.Che sia anche un film comico, un trailer di Maccio Capotonda,non lo metto in dubbio. L'accostamento mi piace.E' una questione di simpatia, in fondo. L'affabulazione fine a se stessa di Carmelo Bene mi coinvolge,il suo vuoto che delira per me è poesia che fa la caricatura di se stessa, non c'è eroismo hai ragione tu, c'è la sospensione di ogni dimensione epica, uno sberleffo all'agire affannato di tanta cinematografia, ma forse i motivi per cui a me il film piace sono gli stessi per cui tu ne sei disgustato.Comunque c'è del vero in quello che scrivi,è la solita questione di gusti. Grazie del commento.