Per amica silentia lunae- William Butler Yeats

domenica 28 febbraio 2010


Questo strano, a tratti straordinario, a tratti irritante, libro di Yeats, che per la mescolanza di versi e prosa è un prosimetro, inizia con una lettera all’amata, prosegue con una poesia che è una meditazione sull’infelicità, su Dante, su Keats, numi tutelari con cui il poeta irlandese intesse un dialogo, sembra poi essere un saggio sulla letteratura, specialmente romantica, in certi momenti pare addirittura un oscuro trattato esoterico, in sintesi si rivela sin dall’inizio una meditazione sul sé , sulla maschera e sulla visione. I versi iniziali della poesia, intitolata Ego dominus tuus, sono così belli che meritano una citazione estesa:

“ Sulla sabbia grigia, lungo il ruscello
sotto la tua vecchia torre battuta dai venti
dove arde un lume accanto al libro
che lasciò aperto Michael Robartes,
tu cammini sotto la luna e pure se i tuoi anni migliori
sono trascorsi, ancora cedi al fascino
di invincibili illusioni e tracci forme magiche.”

Confusi e smarriti i poeti sono solo “creatori a metà”, pochi incontrano il proprio anti sé, che, nelle parole di Yeats, è una specie di daimon che ci risveglia dal “sogno comune” lasciandoci però talvolta in eredità nient’altro che “disperazione e dispersione”. Il Daimon è quella forza pericolosa che cerca il suo opposto; uomo e Daimon si congiungono solo quando il primo trova la sua maschera, che è la sintesi di tutto ciò che egli non è, e che dunque teme.

Lo stile è la conquista faticosa di un poeta che con duro lavoro, ”imitando i grandi del passato”, raggiunge quella dimensione di raccoglimento interiore necessaria per creare. Ma creare non è amare il mondo, “perché chi ama il mondo lo serve con l’azione” e gli artisti sempre agiscono ” la lotta della mosca nella marmellata”. La ricerca del proprio doppio avviene in un clima d’incantesimo e solo il proprio anti sé, nelle parole di Yeats, può svelare i meccanismi della nostra psiche; è quel visitatore occulto dei nostri recessi che ci ricorda fortemente noi stessi, credo in virtù del fatto che è la nostra negazione. Qualcosa del genere, ma più sfumato teoricamente, si trova anche in Horae canonicae di Auden. Perché il rischio enorme è quello di cadere sotto le fascinazioni di un’immagine di sé, unica e monolitica, smarrendosi.

L’Anti sé, il doppio, la maschera, questi concetti si mescolano stranamente, Yeats ci parla costantemente di quella “creatura misteriosa” che la letteratura ha il compito di evocare, l’ignoto profondamente addormentato in noi che solo tracciando “forme magiche” può riemergere.

Giustamente, sin dai primi versi di Ego dominus tuus, Yeats nota come diventare se stessi sia “la speranza dei moderni”, ma nel prosieguo del testo, egli, coerentemente con la sua idea di sé antitetico, ci ricorda la necessità della maschera, la quale ha un significato anche in letteratura, luogo in cui, per esempio, Dante e Shakespeare cercano la realizzazione di un’ "impossibile perfezione”, che abbandonano nel momento in cui riprendono, nella vita reale, la via dei loro vizi e ossessioni private.

”L’impossibile perfezione”dei loro testi è dunque una maschera: Dante nella vita, ricorda Yeats, fu lussurioso e lascivo fino in età matura, creando però sulla carta- maschera il più grande ideale di Amore che sia possibile. Però questa non è una cosa che Yeats gli rimprovera ipocritamente, si sa, del resto che, nelle parole di Oscar Wilde, rivelare l’arte e nascondere l’artista è lo scopo della letteratura. E poi, ovunque si posi il nostro sguardo, sulle superfici o nelle profondità di noi stessi, noi non troviamo nient’altro che “la Volontà dell’altro”, l’inquietante maschera del sé antitetico. Ma in fondo ciò che conta è la passione, purché insoddisfatta, sola allora, infatti, essa può diventare visione che, insieme alla maschera, è l’obiettivo principale del poeta.

Nella seconda parte Yeats si sofferma sulla sua concezione di Anima mundi, su come lei, in maniera indecifrabile per la scienza, informi tutta la materia dell’universo e ci descrive le sue esperienze con lo spiritismo. Oggi le sue affermazioni appaiono ingenue, i suoi deliqui anacronistici, ma sul finire dell’Ottocento fino perlomeno agli anni trenta del Novecento, diversi intellettuali ricorsero all’esoterismo, forse per recuperare nostalgicamente il contatto con mondi che andavano scomparendo, o per individuare, come Aldous Huxley, in tutte le tradizioni il filo rosso della”filosofia perenne”, andando aldilà delle credenze che compongono le religioni istituzionali. Tuttavia questa parte è oscura, difficile, dando l’impressione che capirla non valga neanche la pena, il suo stile enigmatico non si fonda più come in precedenza su una visione culturalmente condivisibile, così tutto non può che apparire come una stravaganza o una bizzarria ormai logora. Molto meglio quando Yeats ci emoziona con uno stile di scrittura denso o scarnificato che quando si lascia vincere dalle sue passioni per lo spiritismo o per la magia, sulle tracce, oggi completamente cancellate, di Swedenborg o di Henry Moore.

Dopo queste divagazioni, ecco, come epilogo, un’altra lettera alla donna amata, così il cerchio si chiude. In sostanza è uno scritto autobiografico in cui il poeta irlandese parla del suo interesse per l’esoterismo, e per la letteratura, deplorando coloro che, invece di dedicarsi alla ricerca personale, si sottomettono davanti alla patria e alla Chiesa. In questo senso è comprensibile il tentativo di Yeats di nutrire la propria immaginazione con le fascinazioni pagane che vengono dai boschi antichi, così pieni di fascino e di presenze magiche, ma noi non possiamo certo ignorare il definitivo ed enigmatico verso di Leopardi: “Vissero i boschi un dì”, che probabilmente cancella in noi moderni la possibilità di connetterci nuovamente con quelle sensibilità naturali. Tutto è dunque illusorio, ma sotto la luce di una luna amica acquista le risonanze di una verità nascosta, raggiungibile solo con allusioni ed enigmi, e non bisogna dimenticare che Per amica silentia lunae è un testo dedicato a una donna, e si configura come un colloquio fra maschere, quella del poeta e quella della sua musa.

2 commenti:

BaoTzeBao ha detto...

Magistrale.

Grazie

Ettore Fobo ha detto...

Grazie a te per l'apprezzamento BaoTzeBao. Un saluto.