sabato 6 marzo 2010
Fedro è un filosofo cinico, indifferente alla sua opera e alla sua fama postuma, affascinato dagli animali per il loro anonimato, sui tratti umani ravvisa la loro presenza; Tutankhamon è colui che ha acquistato con la morte il diritto ad esistere e la morte stessa è stata la sua compagna di giochi fin dall’infanzia; il segno distintivo di Casanova è la fuga, dalla repubblica veneziana, dai sicari, dalle donne; Dickens è uno scrittore “condannato a morte”dalla nascita e il riso e il pianto si confondono nella sua opera; il califfo di Baghdad delle mille e una notte un attore che vive la duplicità della sua esistenza storica e letteraria.
Così Manganelli registra le loro confessioni immaginarie in questo libro, scritto per la radio negli anni settanta, a tratti efficace nel descrivere la grande malinconia che tutti pervade, a tratti prevedibile nell’individuare le piaghe e le pieghe dell’interiorità analizzata. Se nell’intervista a Fedro vien fuori una figura di scrittore scontroso, solitario, con un interessante bagliore sinistro nel sorriso di sapiente, quelle di Dickens o De Amicis invece mi sembrano saggi critici mancati, manca loro la verve di una narrazione che smonti realmente le banalità storiografiche. Anche nell’intervista a Tutankhamon Manganelli fatica a restituirci l’immagine del faraone, sembra inciampare nella sua retorica, non offre scorci di una realtà veramente misteriosa, pur provandoci.
Secondo me, in questo libro pubblicato da Adelphi, quella di Manganelli è una scrittura a tratti troppo debolmente ironica, che qua e là lascia filtrare la gran desolazione del tutto, ma lo fa in modo molto, troppo educato. Ci sono però dei begli slanci lirici, degli echi shakespeariani nella prosa sul califfo di Baghdad; ci sono nell’intervista a Tutankhamon dei momenti di potenza espressiva, anche se un po’ ridondante, ma in sostanza troppo spesso la prosa di Manganelli per me scorre via inavvertita. Questo strizzare l’occhio alla Storia, usando un timido stile divulgativo, mi sembra il limite di queste interviste che raggiungono solo di rado un’efficacia sintetica e gnomica. Queste rare perle navigano in un tessuto che troppo spesso appare di maniera, un tentativo non molto ispirato di mischiare storia e mito. E’ sicuramente un’interessante lettura moderna di personaggi storici, un libro a tratti anche piacevole, scritto evidentemente con lo scopo di intrattenerci. Ci riesce, non ci riesce ma l’intento per me sminuisce l’operazione letteraria, perché invece in radio, affidate alla voce di Carmelo Bene, queste interviste erano interessanti, ma questo è dovuto unicamente alla grandezza di Bene. Sulla carta, duole dirlo, funzionano meno. Molto meglio a mio avviso l’intervista ad Attila scritta da Guido Ceronetti, per fare un esempio tratto dal medesimo progetto radiofonico- nel complesso un esito straordinario per quel mezzo- che negli anni settanta vide coinvolti fra gli altri anche Calvino, Arbasino, Sanguineti, Eco.
Ceronetti, lui sì, raggiunge la ferocia della vera comicità, la prosa in fondo bonaria di Manganelli, specie nell’intervista su Nostradamus, è stucchevole e talvolta inutilmente labirintica, le riflessioni dei personaggi poco interessanti o addirittura, come nel caso dell’intervista a Gaudì, forzatamente bizzarre. Anche se proprio nell’intervista su Gaudì viene fuori il tocco geniale di Manganelli, nella Sagrada Familia vista come chiesa puttana, luogo equivoco, postribolo fetido che la fantasia allucinata dell’architetto spagnolo elabora dal suo rapporto ossessivo con le pietre. Però poi Manganelli ci riduce a zero ogni fascino facendo apparire Gaudì sostanzialmente come un mezzo scemo. Satira? Non fa ridere. Irrisione? Non è abbastanza crudele. E allora? Semplice evasione nel buffo, nel caricaturale (ah, la buona vecchia risata di una volta). In sostanza mi convince pienamente solo la raffigurazione del Re Desiderio, emblema della razza estinta, che non lascia tracce, se non il ricordo di un fantasma. Qui Manganelli fa risuonare qualcosa di grande, e realizza una figura memorabile. Per il resto le sue medium, i suoi Fregoli, i filosofemi sul tempo di un Nostradamus rimbambito, mi sono tristemente indifferenti.
In questo libro, che in origine faceva parte di un’altra opera più vasta intitolata A e B, il tono umile dell’intervistatore molto spesso pare una forzatura ipocrita, la sua presenza fastidiosa, il suo discorso è adulatorio e grottesco e la sua voce ridondante, didascalica. Certo il tono colloquiale del testo è un esito voluto, e perlopiù Manganelli evita di essere giornalistico, ma mi sembra manchi a volte lo scarto demoniaco della vera e propria scrittura letteraria, l’efficacia sintetica di un aforisma ben calibrato. Lo ci si attende da questi personaggi, raramente arriva. Le interviste impossibili sono dunque palesemente, nelle intenzioni di Manganelli, una piccola cosa, un divertissement forse fatto per ragioni di lucro. Certo ci sono qua e là schegge straordinarie, ma sotto sotto manca a questo libro il giusto pathos; il tono ironico e distaccato è certo molto moderno, ma comodo, e oltretutto il sorriso sornione di Manganelli, il sorriso di chi ha ben digerito la Storia e la Letteratura, mi sembra un po’ ipocrita.
Le interviste impossibili sono evidentemente un libro scritto a tavolino che non nasce da una necessità dell’autore, qui l’impressione è che Manganelli, più che essere un grande scrittore, ne imiti l’aplomb. E’ sicuramente un libro intelligente, non lo nego, sofisticato nella sua semplicità, a tratti elegante, ma di un’eleganza convenzionale, in alcuni momenti anche affascinante, ma in fondo statico, freddo esercizio di stile che lascia flebili tracce, e tutte le smorza l’ironia. Mi vien in mente un verso di Quasimodo: “Per un po’ di ironia si perde tutto.”, il tono bonario e ironico è in certe interviste una fastidiosa e scomoda presenza, meglio quando Manganelli scava nella latinità regalandoci questo straordinario Fedro, poeta cane, ma anche lì il tono eccessivamente sommesso annega talvolta le bellezze del testo, e la fastidiosa voce dell’intervistatore spegne la fiamma dello stile.
2 commenti:
Per sbaccare Manganelli ci vogliono i controcojoni e, mannaggia la miseria, c'hai pure ragione. Sto leggendo De America è l'impressione è che l'imputato è istruttivissimo interessantissimo e quasi mi scompare, 'rtacci sua. Che il nostro palato sia ormai troppo sopraffino quindi abbruciato? Boia de', che intervento caciarone...
(ti mando la mia idea sulle copertine via email)
Per me Le interviste impossibili è un libro fatto su commissione, non molto ispirato e a volte irritante. L'intervista a Nostradamus è penosa. Meglio quella di Fedro, o del re Desiderio di cui però non ho scritto.
Ps
La mia copertina preferita è proprio la seconda,se mi ricordo bene, quella grigia con macchie nere.Per me è perfetta, se vuoi ritoccarla fai pure.
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