Esorcismi – Jorge de Sena

sabato 14 gennaio 2012

Ogni libro di poesia ci interroga sulla natura stessa di questo strano ed estremo modo di esprimersi. Ogni lirica costruisce un frammento di questa colossale avventura nel segreto e nelle segrete del linguaggio. In particolare quest’antologia di Jorge de Sena, Esorcismi, sembra formulare una formidabile domanda sulle possibilità della poesia, sui suoi strumenti. Questa raccolta sintetizza il percorso poetico del poeta portoghese dall’esordio con Persecuzioni nel 1942 fino alla raccolta Esorcismi del 1972, che precede di pochi anni la morte, avvenuta nel 1978.

La risposta di de Sena alla domanda sulla finalità della poesia risiede nella parola “testimonianza”, “testemunho” nell’originale portoghese, testimonianza di quella strana cosa chiamata dal poeta “visione profonda”, che s’innesta però lucidamente dopo il tramonto di ogni trascendenza, dopo la liquidazione di Dio, che però rimane come un rimpianto ineludibile, se la sua assenza parla ugualmente al cuore dell’uomo. De Sena scrive una poesia ambigua su Dio: colui che all’inizio pare onnipresente, seppure sminuito dall’ironia, alla fine si rivela un nulla: "Dio s’è spento… Non è nulla”.

E’ importante questa poesia perché ci mette al centro di questa grande, a tratti veramente straordinaria, avventura poetica, che si indovina difficilmente traducibile, per questo è ammirevole lo sforzo del traduttore Carlo Vittorio Cattaneo in questa edizione Accademia che risale agli anni Settanta.

Jorge de Sena pare un poeta che ha rielaborato in chiave moderna l’esperienza di Rimbaud, avendo assorbito anche la lezione surrealista di René Char, di André Breton, situando il suo discorso in quella zona pericolosa in cui le parole sono sommamente ingannevoli e traditrici.
Ci viene a mancare sotto i piedi il terreno, e una grande mistificazione avanza fra le rovine della religione.

Qui l’analogia è ciò che resta di tutte le trascendenze che l’uomo ha immaginato, ma è una grande illusione, una calcolata menzogna che non porta nessuna consolazione. E allora? Non esiste migliore risposta che l’art pour l’art, e de Sena attraversa questa porta, inevitabilmente. A che serve testimoniare il nulla se non lo si è reso bello, attraverso la menzogna dell’arte?
Prendiamo una poesia tratta dalla prima raccolta Persecuzioni e che s’intitola L’ultimo giorno:

Bambini ridono sulla veranda, ridono
e giocano in un modo che non sono più bambini.

Oggi non c’è Sole,
c’è unicamente un cielo imbiancato e carri che sguazzano,
e una luce continua che non entra dentro
e dentro un odore di terra, di panni, di sonno
di calore sul volto e sulle orecchie.

I bambini giocano con un pensiero tiepido,
gli uni con gli altri e nulla più.
E l’ingenuità, che nessuno ha mai e a loro manca,
è caduta qui.

Questa poesia è sbagliata.
Se non lo è, fa lo stesso – non termina.

Ripetere tutto varie volte fino a non capire”.

E’ un gioco, se vogliamo, ripercorrere una poesia come fosse una montagna russa con l’unico scopo di non capire, di smarrirsi. Invito che è in fondo di tutta la poesia, invito a dissolvere i rassicuranti, e forse illusori, confini della comprensione e accedere ad altro: una nuova trascendenza, che però sa denunciarsi come suprema messinscena, affondando il coltello della sintassi in quella che De Sena chiama “la piaga dello spettacolo gratuito” .

In Persecuzioni, che raccoglie poesie scritte tra i 19 e i 22 anni, la parola chiave è “ingenuità”, ma essa non è possibile, è solo rimpianto di ciò che mai è stato. Il richiamo all’infanzia è molto forte in questi versi in cui il poeta, giovane adulto, si mette sulle tracce della saggezza infantile: “ quando guardo, sorpreso, la saggezza dei gesti/ con cui i bambini cominciano a sentirsi reali.” E’ una realtà in cui anche la felicità ha le fattezze di un “bambino inconsolabile”, e dove non possiamo conoscere la differenza fra ciò che è effimero e ciò che è eterno. Unica chance lasciarsi colmare dal silenzio, che pure “non è Dio” ma solo “una fessura/un soffio, un sudore di eternità”. Siamo così prigionieri della carne, della materia, ansiosi per qualcosa che ci liberi.

Nella raccolta successiva Corona della terra la scrittura è equiparata al respiro, ed è una rivelazione costante, una scoperta sempre, giacché de Sena scrive ”io apprendo quel che scrivo.”, prefigurando una poesia in cui il poeta è soprattutto un essere in ascolto di ciò che gli sussurrano le profondità. La creazione poetica è “nuova gravidanza della Vita”, vita definita in un altro verso “prostituta ingenua”, che solo nella redenzione del canto acquista ”occhi materni”.
Nella poesia Scolo, de Sena raffigura in maniera magistrale scorci di vita di strada, che appaiono come trasfigurati:

“Pallidi bimbi giocano nello sterco della strada
come se lo sterco fosse la perpetuazione del Sole
come un Sole che suppurasse dalle alte pareti
invano circondate dalla mano della morte. “

E conclude con una sentenza inappellabile: “La maggior miseria degli uomini sono le parole che li vivono”.
Verso misterioso, denso di echi di modernità, quella modernità che nasce forse con Rimbaud, in cui progressivamente affiora la consapevolezza che l’essere parlante è vissuto dal linguaggio, più che possederlo, ne è posseduto.
La consapevolezza di de Sena sta nell’aver visto la menzogna universale, della Storia, del mito, della religione. Sotto la superficie del mondo non v’è alcuna verità profonda:

“Verità, non c’è n’è: il mondo non la cela.
Si vede tutto: ma non si sa dove.
Hanno tutti mentito, mortali e immortali. “

De Sena ci dice che non c’è consolazione per chi abbia visto la “ tenebra negli intervalli delle cose”, e neanche la poesia può venirci soccorso essendo nient’altro che “ disgrazia impotente” , “che solo sa negarsi e costringermi ad essere/ colui che lotta nel vuoto di se stesso e degli altri.”


C’è anche il sentore di un’incomprensione profonda, che fa del poeta un escluso, esiliato nell’interiorità senza poterla condividere con altri, traccia questa dell’ambiente culturale ostile in cui il poeta si trovò a vivere. Esperienza di esclusione che il poeta sintetizza in questo verso, tratto dalla poesia Gittata efficace, che si trova nella raccolta Pietra filosofale: “La mia voce è troppo misteriosa perché mi comprendano.”

E così con questa nota amara ci saluta del passato Jorge de Sena, la cui ombra attende ancora la comprensione che in vita non ebbe, egli che in Ode al futuro aveva previsto che la sua stessa vita e quella degli uomini della sua epoca sarebbe apparsa a noi suoi posteri come un sogno.

“Parlerete di noi come di un sogno.
Crepuscolo dorato. Frasi calme.
Gesti molto lenti. Musica soave.”


2 commenti:

Logos ha detto...

Poeta che non conosco ma che leggerò sicuramente...
Ciao
Alex

Ettore Fobo ha detto...

E' un poeta poco noto in Italia e credo anche poco pubblicato, questa edizione risale agli anni Settanta. L'ho trovata al Libraccio. Ciao Alex.