Lo scrittore come iconoclasta - una riflessione su Sade

sabato 11 febbraio 2012



“E l'uomo e la donna sanno fin dalla nascita che nel male si trova ogni voluttà.”
Charles Baudelaire

Il rapporto con Sade è stato per me un crinale difficile, lo è per tutti, credo. Da ragazzino temevo il Divin Marchese e a distanza di anni, leggendolo, ho scoperto perché: era la paura di rispecchiarsi nei suoi personaggi, di vedere la mia umanità stessa ridotta a brandelli dalla sua estetica del male. Che ne sarebbe stato delle mie finzioni? Ho percepito sempre Sade come uno scrittore pericoloso, e lo è, forse uno dei pochissimi, veri, sovversivi delle lettere, una sorta di brigante in una terra abitata da onesti contadini.

Da adolescente lessi comunque il racconto di Justine e Juliette in quella prima stesura de Le sventure della virtu’, per poi scoprire che Sade, ossessionato dal tema del vizio trionfante e della virtù vilipesa, aveva dedicato diverse riscritture a questa storia, ossessivamente reiterando la sua sfrenata passione nera fino al delirio. Delirio che prese le forme ambigue di quello straordinario romanzo che è La nuova Justine. Romanzo nero e terribile, spaventoso in ogni sua fibra, nonostante questo, anzi a causa di ciò, terribilmente comico.

Perché Justine subisce di tutto: dallo stupro fino alla tortura, viene ingannata, circuita, perseguitata, fino ad assistere impotente ad omicidi, orge spaventose, descritte con minuzia, e il suo buon cuore, la sua virtù, la sua bontà, rimangono pateticamente inalterate, producendo una dissonanza che fa scattare il sorriso, la risata, fosse anche il riso sarcastico, biliare, che i francesi chiamano rire jaune. Più Justine invoca la bontà del creatore, più si abbattono su di lei sciagure di ogni sorta. Più invoca misericordia, più ottiene di essere trattata con ferocia. Gli eventi orribili non la cambiano, ella, rimanendo salda nei suoi principi, si offre al mondo come una vittima sacrificale. Personaggio impossibile, irrealistico, paradossale, Justine serve solo a dimostrare la tesi che stava tanto a cuore a Sade: la virtù porta disgrazia, in seno alla società umana solo il vizio può prosperare. Così Juliette, la sorella, abbandonando ogni remora morale, rubando, prostituendosi, uccidendo, ottiene i favori della sorte, viene premiata dalla fortuna.

La comicità è insita anche nella ripetizione dello stesso modello: i libertini feroci di Sade sono tutti uguali, e son filosofi, e filosofeggiano intorno alla necessità del male. La loro tesi è sempre la stessa: la natura vuole il male, lo predispone, e fare i voleri della Natura è cosa somma e giusta, e tanto peggio per le vittime della loro depravazione, chi è più forte è giusto che applichi la forza. La filosofia di Sade non regge assolutamente su nessun piano, chiamarla filosofia è già troppo, si tratta, e ciò è interessante, di una parodia. E anche questo produce effetti comici, perché questi personaggi sono assolutamente grotteschi, spaventosamente grotteschi, tanto più condiscono di affermazioni filosofiche o pseudo tali le loro porcherie. Sono perciò il rovescio insanguinato dell’illuminismo, il suo frutto avvelenato.

Quella di Sade è una terribile operazione di macelleria, con cattiveria chirurgica egli ci libera dalla ipocrisie del buon cuore, mostrando l’essere umano nella sua mostruosità e la natura, non più idealizzata, come luogo del sopruso. Solo che Sade non piange su questa constatazione, l’ingiustizia lo eccita, lo sprona a duellare con le forze naturali in una gara di mostruosità.

La radicalità di Sade è questa: in nome della libertà i suoi personaggi possono permettersi tutto. Nulla di più lontano però dalla famosa frase di Voltaire: “La mia libertà finisce dove comincia quella degli altri”. Gli altri qui non contano nulla, sono solo strumenti atti a soddisfare una spaventosa, e spaventosamente irrealistica, libidine. Peggio dei personaggi del Satyricon, questi libertini conoscono desideri smodati, sono senza limiti, aldilà delle stesse possibilità naturali. In Sade c’è un ritratto impietoso dell’uomo stesso, cui si riconosce e di cui si incoraggia solo il formidabile egoismo. La furia iconoclasta di Sade non ha limiti e distrugge ogni valore della religione cattolica, da lui sommamente spregiata. La sua visione del mondo è perciò un’etica cristiana rovesciata, in cui fare il male è l’immensa voluttà, e fare il bene una condanna a diventare soltanto vittime dell’altrui malvagità . E’ dunque dal sacro che Sade prende la sua energia, la pornografia è innanzitutto profanazione, scempio, aggressione a dei valori. E’ proprio la Provvidenza dei cristiani a essere rovesciata: chi fa il male trionfa, chi fa il bene finisce nella disgrazia.

Quella di Sade è letteratura di perversione, perché alla base c’è un rovesciamento, Sade diventa pervertito in sfregio di tutti i valori consacrati, delirando nelle sue pagine come un ossesso, pagine in cui risuona quella che Blanchot ha chiamato “la solitudine dell’universo”, immagine e proiezione della stessa prigionia di Sade, che, com’è noto, passò quasi tutta la sua vita in carceri e manicomi. Gli vengono attribuiti un paio di atti di violenza su prostitute, nulla rispetto a ciò che fanno i suoi personaggi, la realtà è che la sua colpa principale agli occhi della società del suo tempo non è stata soltanto la sua vita dissoluta, ma soprattutto aver scritto nei suoi romanzi il più feroce inno al male. Sade è comunque uno scrittore colpevole, la sua immaginazione nera era senza veli, senza freni, colpevolmente assurda e mostruosa. Con Sade la letteratura con gesto irato si toglie la maschera che le ha affibbiato la scuola e si mostra criminale, scandalosa, folle, perversa. Come ha visto Foucault, da un lato Sade esalta la ragione, come gli Illuministi, dall’altro la mette letteralmente al servizio del caso, del caos, della più cieca e irrazionale violenza. Sade pare uno scrittore ludico, che scrive per il proprio piacere perverso, mettendosi dalla parte dei demoni che imperversano nell’essere umano, invece di condannarli, li esalta.

Nei suoi scritti ci ha dato la più nitida delle immagini del male, agendo così, involontariamente, da moralista. Perché, orribili e mostruosi i suoi personaggi definiscono in maniera negativa l’essere umano, gettano su di esso una luce sinistra.

Il mondo di Sade è rigorosamente diviso in vittime e carnefici, deboli e forti, e nessun precetto morale può impedire che la natura si realizzi spaventosamente crudele come Sade la rappresenta. Questa è la sua convinzione profonda: fare il male è necessario, Dio è una fola, la Natura ci vuole malvagi. Non c’è nessun equilibrio nei suoi romanzi, se non quello puramente formale, tutto è eccessivo, votato a disintegrare, più che infrangere, leggi, tabù, convenzioni; l’ universo stesso non basta a contenere la fame di distruzione dei suoi personaggi, che diventano emblematici. Come ha notato Bataille, Sade è quasi liturgico, nella sua ossessiva reiterazione dell’identico copione, è sicuramente ossessionato dalle sue stesse tesi, messe in bocca a personaggi che si somigliano tutti, nell’uguale depravazione.

Sebbene in possesso di uno humor crudele e funebre, nessuno scrittore è meno ironico di Sade, nei suoi romanzi la perversione si mostra in tutta la sua violenza come un regno senza gioia, e il piacere, tanto esaltato, è ombra fra le ombre, essendo insaziabile l’anelito di questi libertini. Sade ci fa capire che la smania di distruzione è senza fondo come la crudeltà umana, quando l’uomo raggiunge quella che Bataille chiamava, riferendosi proprio al Marchese de Sade, ” la vertigine del suo scatenamento” . Tutto è parodia in Sade intendendo la parodia come un controcanto avvelenato, una profanazione costante, i suoi personaggi sono mossi da desideri stratosferici, guidati non dall’istinto, ma da un’immaginazione senza freni.

Chiuso nella Bastiglia, mentre fuori infuria la rivoluzione francese, Sade scrive Le 120 Giornate di Sodoma, sorta di Decamerone perverso, romanzo horror pornografico, tremendo noir claustrofobico, manuale della depravazione. E la Storia là fuori? Non farà altro che smarrire il manoscritto che verrà pubblicato per la prima volta nel Novecento.

Sade è uno scrittore scandaloso ancora oggi e lo sarà sempre, perché il suo scandalo è stato attaccare furiosamente le fondamenta stesse del vivere civile. Si è messo dalla parte del Male, e lo ha descritto con tutta la violenza dell’immaginazione, è stato maniacalmente preciso nel descrivere i contorni dell’umana depravazione, così preciso da dare il nome una perversione, il sadismo appunto. E’ stato così follemente preciso da diventare l’ emblema stesso della crudeltà. E’ il cattivo maestro per eccellenza, il genio maligno che ci osserva dalle profondità della nostra ombra.

3 commenti:

zoon ha detto...

mi trovo d'accordo, ettore :) e aggiungerei che il concetto di male è qualcosa che si oppone alla crescita e al benessere psichico, e fisiologico, dell'uomo.

eustaki ha detto...

serie di post eccellenti, ettore. sade è molto divertente, un vero spirito del settecento. penso che justine sia un capolavoro.

attualmente sto spilluzzicando qua e là le memorie di casanova, testo erudito e leggero, anch'esso come sade specchio del secolo.

c'è anche un bel testo teatrale di mishima, madame de sade. io lo avevo mi sembra nei rimpianti quaderni della fenice ma chissà che fine ha fatto..

a presto

Ettore Fobo ha detto...

Belle letture e bei consigli,Eustaki, il testo di Mishima mi incuriosce molto, credo che lo cercherò, e anche Casanova, di cui ho letto qualcosa.

Per il resto, sto leggendo e rileggendo il tuo post su Celan e Heidegger, molto bello. Ciao.