Le assi curve - Yves Bonnefoy

sabato 10 maggio 2014







Yves Bonnefoy ne Le assi curve esplora minuziosamente una serie di paesaggi naturali, che contempla e di cui coglie la natura  simbolica. La speranza è che bellezza e verità si fondano in un unico corpo e che il risultato di questo procedimento sia una quiete magica, profondamente terrestre e non ultraterrena o metafisica. La versificazione del poeta francese, tradotto per Mondadori da Fabio Scotto, è agita all’interno da una profonda calma e da una saggia pazienza, che a un primo ingannevole sguardo possono anche essere scambiate per sterilità creativa.

La poesia di Bonnefoy funziona maggiormente nella rilettura, perché è necessario familiarizzare con la ricerca di leggerezza del poeta francese, aldilà dell’invadenza della parola, infatti, il suo occhio registra oggettivamente il dato naturale che acquista dimensioni epiche ma è un’epica in minore, appena accennata, sussurrata. La sua è proprio quella “voce che porta dell’essere nell’apparenza.”

Le assi curve è  il titolo di una sezione, e viene utilizzato, credo, con lo stesso intento di smorzare i toni e ricondurre la poesia alla sua semplicità. Allora Bonnefoy procede con “la maestà delle cose semplici” non scrivendo in questo caso una poesia immaginifica e vorticosa ma creandone una quieta, umile e insieme solenne, che pare un’investigazione dentro e oltre i limiti e gli inganni della parola. Il cuore del libro è lo straordinario poemetto Nell’inganno delle parole, dove Bonnefoy esplora con piglio filosofico proprio le menzogne del linguaggio che fanno tutt’uno con le illusioni fallaci del desiderio. Emozionante l’invocazione che il poeta rivolge alla poesia stessa:

O poesia,
Io so che ti disprezzano e ti negano,
Che ti considerano un teatro, perfino una menzogna,
Che ti gravano degli errori del linguaggio,
Che dicono infetta l’acqua che tu porti
A quelli che tuttavia desiderano bere
E delusi si allontanano, verso la morte.”

La voce di Bonnefoy non vuole essere dissimile dalla natura che racconta, vuole assomigliare al fluire del fiume, allo sbocciare di un fiore, evento in sé naturale ma per far questo è necessario vedere in faccia tutte le mistificazioni della parola. E’ così sul confine fra verità e inganno, la natura raccontata da Bonnefoy è una natura salvifica, che non inquieta, e che sembra amica dell’uomo e della sua ricerca di bellezza. Poesia dipinta pare questa, poesia in cui ammiriamo un’alba, capace di accoglierci ogni giorno e di benedirci.

In questo libro, uscito in Francia nel 2001, Bonnefoy non scruta dentro le ferite e dentro le inquietudini dell’essere umano, piuttosto raffigura per noi un affresco di pace cosmica, che sembra frutto di una riflessione che ha raggiunto la piena maturità. Quest’operazione presenta naturalmente alcune lacune: talvolta si percepisce una certa frigidità del dettato poetico, bello ma asettico, si nota la quasi totale mancanza del grido, che in poesia ha una centralità mitica (vedi Rimbaud cui Bonnefoy ha dedicato qualche anno fa un saggio), poi vi è la tendenza a far tacere le contraddizioni della Natura stessa che non è mai, mi pare, percepita come matrigna ma di cui si esprime la ieratica benevolenza.

Certo una sottile inquietudine affiora talvolta a scalfire quello che potrebbe essere un idillio, ma non è un’inquietudine viscerale, dionisiaca, tutto è filtrato da una razionalità che smorza i toni e riconduce tutto alla misura. Ecco, se si ammira la saggezza di Bonnefoy, la sua filosofica accettazione dell’oblio e della caducità, che non viene quasi mai meno, si rimane dubbiosi circa la sua ritrosia a raccontare lo smisurato del dolore umano, alla maniera di Baudelaire o di Leopardi. Più vicino per indole alla poesia misurata di un Mario Luzi, Bonnefoy è consapevole che la sua è un’operazione letteraria e come tale ingannevole. La pioggia estiva, gli alberi, il fiume, il sottobosco, il pietrisco, sono figure viventi di un linguaggio di segni che raccontano sostanzialmente la bontà della natura. Tutto questo ha per me accenni di consolatoria illusione.

La natura di Bonnefoy pare, perciò, un po’ troppo idilliaca per essere reale. Più che la realtà con le sue lacerazioni, mi sembra che Bonnefoy racconti un’idea iperuranica, anche se il poeta è molto concreto nelle sue immagini e sembra non indulgere alla metafisica. Ciò non toglie che Le assi curve sia una bella lettura, a tratti splendida, e che ci disseti alla fonte di una sapienza oracolare; diversi sono, infatti, gli apoftegmi che sintetizzano labirinti di pensiero. Bonnefoy è un poeta che pensa, questa è la sua bellezza, un poeta che contempla e preferisce la contemplazione alla frenesia. Egli sosta in un territorio fra veglia e sogno e la sua scrittura ipnagogica sa sedurci con la tranquillità olimpica di un classico, che alle contraddizioni della temporalità preferisce la quiete dell’atemporale. Forse solo un grido si alza in tutto questo libro leggero, un grido contro la provvisorietà dell’esperienza umana, un grido contro la morte, nella poesia intitolata Che questo mondo rimanga! dove sorge un’implorazione: che il mondo intero duri,  pur nella sua disarmonia.

“O terra,
Segni disarmonici, sentieri sparsi,
Ma bellezza, assoluta bellezza,
Bellezza di fiume,
Che questo mondo rimanga,
Malgrado la morte!”

5 commenti:

Condor ha detto...

Di Bonnefoy ho letto "L'ora presente" dopo aver letto la tua recensione mesi fa. Mi è sembrata una poesia dell'attenzione, della lucidità. Il contrario del Howl poetico, certo. Una poesia di un'estrema concentrazione, che mira con una quieta tensione implacabile trasparente a cercare l'essenziale - che tende con uno sforzo di consapevolezza calmo ma viscerale, estremo a cercare la verità nuda. Un ritmo lento riflessivo, in cui ogni parola è scandagliata con impietosa imparzialità. Uno scandagliare la nudità dell'adesso e la nudità delle parole scortecciate con un rigore radicale, una mente che vuole farsi specchio filosofico, un linguaggio che vorrebbe essere una sorta di torrente trasparente nella cui trasparenza indagare l'abisso dell'ora, con le sue contraddizioni da studiare. Una lirica minima che mostra il labirinto di specchi ingannevoli del nichilismo e del linguaggio ma che indica anche sommessamente ma con una quieta forza, una fiducia incrollabile la porta verso l'uscita da tutto ciò.

Ettore Fobo ha detto...


@ Diogene

Questo tuo commento completa ciò che ho scritto io, ti ringrazio. Una poesia sommessa, certo, ma non banale, che non grida, non strepita ma scandaglia con profondità filosofica il linguaggio e il suo labirintico artificio. La poesia di un classico contemporaneo, intendendo per classico non tanto chi eccelle nell’arte poetica, quanto chi restituisce di un’epoca la sua esatta fisionomia apollinea. Un poeta la cui lentezza chirurgica si apprezza man mano che si procede nelle riletture. “L’ora presente” l’ho letto 3- 4 volte, quest’ultimo già due volte e penso che continuerò con la terza.

Logos ha detto...

Ciao Ettore,
Bonnefoy è un autore assoluto della poesia contemporanea.
Complimenti per l'intervento.
Ciao
Alex
ps
Mi permetto di segnarti un pezzo di Carlo Bordini che certamente ricorderai.
http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/45000/44157.xml?key=Carlo+Bordini&first=31&orderby=1&f=fir

Condor ha detto...

Splendido il pezzo di Bordini. Io non creo sono creato.

Ettore Fobo ha detto...

@ Logos

Certo che mi ricordo di Carlo Bordini. E ti ringrazio della segnalazione. E’ uno scritto molto bello e molto vero, da sottoscrivere. Mi ricordo anche delle nostre discussioni su Bonnefoy a Stienta. Ciao, Logos.

@ Diogene

Concordo pienamente.