martedì 23 settembre 2014
Detroit, una fabbrica abbandonata
I cancelli
incatenati, la recinzione di filo spinato è lì
come
un’autorità di metallo contro la neve
e questo
grigio monumento al senso comune
resiste alle
stagioni. Ancora carica questa recinzione
delle paure
di sciopero, di protesta, di uomini uniti
e della
lenta corrosione delle loro menti.
Al di là,
attraverso le finestre rotte, si vede
dove le
grandi presse si sono fermate fra un colpo e l’altro
e così, sospese nell’aria, restano prese
al margine
certo dell’eternità.
Le ruote di
ghisa sono ferme; si contano i raggi
che il
movimento sfuocava, i montanti che l’inerzia combatteva,
e si calcola
la perdita del potere umano,
lento ed
esperto, la perdita di anni,
il graduale
declino della dignità.
Uomini
vivevano in queste fonderie, ora dopo ora;
nulla di ciò
che hanno forgiato è sopravvissuto agli ingranaggi arrugginiti
che
sarebbero potuti servire a macinare il loro elogio.
Da On the Edge, 1963
***
Tratta da
“Poesia” numero 295- Fondazione Poesia Onlus – Crocetti editore – traduzione
Claudio Bellinzona
8 commenti:
Potrebbe adattarsi benissimo alle industrie italiane... di questi tempi.
@Euridice
Eh sì, l’ho scelta anche per questo.
Una volta Ettore parliamo della poesia sociale, o meglio della domanda sul se la poesia debba avere una funzione sociale o meno. Pur ammettendo, ovviamente, che il poeta e la poesia esiste in un determinato contesto storico/sociale/Culturale, io continuo a ritenere la poesia più ontologica che sociale. Ma forse è solo per il mio latente conservatorismo...
Ciao
Alex
@Logos
Penso che la poesia possa avere una funzione sociale, persino una funzione di denuncia, ma un poeta che si limiti a essere unicamente megafono di queste istanze non è per me molto interessante. Ciao.
Non so se si tratti di una specie di sintonia con quanto dite sullo scarso interesse che può suscitare una poesia puramente sociale. I versi in cui veramente mi riconosco sono quelli che descrivono lo sguardo degli oggetti sull'uomo, il modo in cui raccontano l'azione e il movimento umani per negazione, spettatori dell'inutile quanto alienante affaccendarsi dalla loro gelida fissità.
Leggendo il tuo commento, Elena, mi è venuto in mente lo scrittore francese Robbe Grillet, esponente del Nouveau Roman. Ha raccontato una realtà fatta di cose, di oggetti che ci scrutano. Più reali di noi, forse.
Mah, a me mon pare una poesia sociale bensì sul doloroso silenzio che intercorre tra l'uomo e ciò che egli realizza, dando forma e comprensibilità a quello che altrimenti sentirebbe estraneo, anticipo della tomba, su cui davvero nulla possiamo. Se parlare della tensione tra umanità e contesto è poesia sociale, beh, allora sì.
@Marco Di Pasquale
Ha qualcosa della poesia sociale, però è più sottile. La dismissione di una fabbrica comunica un senso profondo di svuotamento che diventa esistenziale e filosofico.
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