venerdì 20 febbraio 2009
“Ma il nuovo barbaro non è un rozzo/Abitante del deserto; non emerge/Da foreste d’abeti: è un prodotto di fabbrica;/Università, compagnie, società,/Furono madri alla sua mente, e molti giornali/Ne hanno rafforzato le opinioni. E’ nato qui./La bravate dei revolvers ora in voga/E il culto della morte sono a casa loro /In città”.
Wystan H. Auden
Minima moralia è indubbiamente un testo fondamentale per capire i disagi della nostra epoca e a me è sempre parso uno di quei libri che insegnano a pensare, soprattutto a pensare alla contemporaneità, su uno sfondo di pura negatività, rappresentato dallo scenario inquietante della seconda guerra mondiale, da poco conclusa al momento della pubblicazione del libro. Mi colpisce da sempre lo stile di scrittura, serrato, lucido, complesso, che sembra porre Adorno sempre al di sopra dei suoi avversari, siano i seguaci del neo positivismo, siano semplicemente gli uomini medi, con la loro normalità malata. Il sottotitolo del libro Meditazioni della vita offesa, già dà un senso alle multiformi riflessioni che Adorno lascia scivolare nel suo testo, optando come già Nietzsche per una scrittura aforistica, forse l’unica in grado di tastare il polso della contemporaneità, ormai orfana di sistemi, per coglierne le pulsazioni più inquietanti. Lo scopo è ambizioso, scrivere un libro di etica, che riconduca al senso di una retta via classicamente intesa; così Adorno, come un filosofo del passato, si propone di guidare il lettore verso una visione morale dell’esistenza, affinché agli orrori che egli denuncia nel testo, si opponga il tenace desiderio di capire, perché non c’è bellezza e conforto se non “ nello sguardo che fissa l’orrore, gli tiene testa”.Nonostante la frammentazione aforistica il libro mantiene una sua profonda unità, se non altro nella sua ricerca inesausta di una verità che sfugga al “ cerchio magico dell’esistenza”.Se la vita è offesa bisogna interrogarsi su cosa l’abbia ferita così gravemente, e le risposte che Adorno offre sono diverse: la strenua difesa di un aberrante status quo promossa dalle classi dominanti, la cecità delle masse asservite al dominio, la voluttà delle stesse di essere conformi a modelli stantii di puro asservimento, la logica della produzione, vero idolo contemporaneo, cui la vita è sottomessa, fino a divenire caricaturale, fantasma di se stessa, con la progressiva riduzione dell’individuo alla semplice e barbarica sfera del consumo. Così il pessimismo di Adorno, la sua triste scienza, è radicale e nulla sfugge alla sua critica lucida: la psicoanalisi, il cinema, i giornali, la politica, le università, sono tutti agenti di un'alienazione, sintomi di una malattia, che già Nietzsche aveva individuato, ma le soluzioni del filosofo di Rocken spesso non piacciono ad Adorno, la cui visione nasce direttamente dall’abominio dei lager, che sembrano proiettare la loro luce sinistra fin dentro il cuore di ogni sua parola. E’ l’ordine della società che rende alienato l’uomo, che non può sfuggire alla pressione del conformismo, la prospettiva è umiliante: rimanere bambini o diventare uomini come tutti gli altri, abbruttiti dalla cultura stessa, dalla scienza che si propone di salvarli, dalla religione che li ha sempre inchiodati al loro nulla e, per recuperare la potenza vitale,non c’è amor fati che tenga, la libertà si riduce al lumicino in un mondo sempre più standardizzato, e nessuno può sfuggire ai condizionamenti subdoli che la società contemporanea impone a quelli che Adorno chiama i suoi sudditi. Tutti sono vittime di una mutilazione, e anche la cosiddetta normalità è solo una pletora di ferite, castrazioni, violenze, operate in nome dell’ideologia di un capitalismo sempre più feroce, che permea tutto, per cui diventa quasi preferibile rinunciare a essere portatori di messaggi, di valori, di propositi se questi sono soltanto i segni impressi nella coscienza da condizionamenti che essa non può che subire. Il lavoro intellettuale stesso è ormai svolto da lacchè la cui autonomia di pensiero è azzerata in nome di una, scrive Adorno, mal compresa oggettività, che depaupera il singolo, inconsapevolmente complice dello stato di cose che lo schiaccia. Anche la psicoanalisi, che in quel periodo celebrava il suo trionfo, è complice del sistema economico di cui vent’anni dopo Deleuze mostrerà essere una diretta emanazione. La tesi di Adorno è questa: laddove una volta una verità su se stessi faticosamente conquistata era il risultato di uno sforzo conoscitivo, con la psicoanalisi tutto diventa preconfezionato, e invece di pensieri abbiamo una sorta di concetti passepartout, che si possono applicare a tutti, permettendo loro di evitare la fatica di pensare se stessi e provocatoriamente Adorno scrive che il problema dell’umanità non è tanto avere troppe inibizioni, ma averne troppo poche. A Freud Adorno rimprovera anche di non essere andato fino in fondo nel liberare il desiderio e di averlo nuovamente incatenato a delle razionalizzazioni, dal sapore nettamente reazionario, dando ragione alla società borghese, che desidera sempre la sublimazione,per nascondere i segni della sua violenza repressiva. Anche la psicoanalisi sostiene così le ingiustizie che affliggono il mondo e che Adorno, sulla scia di Marx, individua nei rapporti di produzione, nella natura alienante del sistema capitalistico coll’individuo condotto per mano da una società paternalistica e crudele ad essere mero consumatore. Ma il desiderio della salvezza, della redenzione, attraversa tutto il libro più come una nostalgia, che come una vera e propria speranza. Nostalgia che in un più aforisma diventa desiderio di una riconciliazione della falsa coscienza , prodotta dal movimento della storia, con la nostra sostanza più antica, la nostra natura arcaica, non ancora alienata, e in questo sembra consistere il compito profondo della cultura, nel recupero di un’infanzia in cui brilli ancora il fascino dell’intuizione e la possibilità della sorpresa.
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Wystan H. Auden
Minima moralia è indubbiamente un testo fondamentale per capire i disagi della nostra epoca e a me è sempre parso uno di quei libri che insegnano a pensare, soprattutto a pensare alla contemporaneità, su uno sfondo di pura negatività, rappresentato dallo scenario inquietante della seconda guerra mondiale, da poco conclusa al momento della pubblicazione del libro. Mi colpisce da sempre lo stile di scrittura, serrato, lucido, complesso, che sembra porre Adorno sempre al di sopra dei suoi avversari, siano i seguaci del neo positivismo, siano semplicemente gli uomini medi, con la loro normalità malata. Il sottotitolo del libro Meditazioni della vita offesa, già dà un senso alle multiformi riflessioni che Adorno lascia scivolare nel suo testo, optando come già Nietzsche per una scrittura aforistica, forse l’unica in grado di tastare il polso della contemporaneità, ormai orfana di sistemi, per coglierne le pulsazioni più inquietanti. Lo scopo è ambizioso, scrivere un libro di etica, che riconduca al senso di una retta via classicamente intesa; così Adorno, come un filosofo del passato, si propone di guidare il lettore verso una visione morale dell’esistenza, affinché agli orrori che egli denuncia nel testo, si opponga il tenace desiderio di capire, perché non c’è bellezza e conforto se non “ nello sguardo che fissa l’orrore, gli tiene testa”.Nonostante la frammentazione aforistica il libro mantiene una sua profonda unità, se non altro nella sua ricerca inesausta di una verità che sfugga al “ cerchio magico dell’esistenza”.Se la vita è offesa bisogna interrogarsi su cosa l’abbia ferita così gravemente, e le risposte che Adorno offre sono diverse: la strenua difesa di un aberrante status quo promossa dalle classi dominanti, la cecità delle masse asservite al dominio, la voluttà delle stesse di essere conformi a modelli stantii di puro asservimento, la logica della produzione, vero idolo contemporaneo, cui la vita è sottomessa, fino a divenire caricaturale, fantasma di se stessa, con la progressiva riduzione dell’individuo alla semplice e barbarica sfera del consumo. Così il pessimismo di Adorno, la sua triste scienza, è radicale e nulla sfugge alla sua critica lucida: la psicoanalisi, il cinema, i giornali, la politica, le università, sono tutti agenti di un'alienazione, sintomi di una malattia, che già Nietzsche aveva individuato, ma le soluzioni del filosofo di Rocken spesso non piacciono ad Adorno, la cui visione nasce direttamente dall’abominio dei lager, che sembrano proiettare la loro luce sinistra fin dentro il cuore di ogni sua parola. E’ l’ordine della società che rende alienato l’uomo, che non può sfuggire alla pressione del conformismo, la prospettiva è umiliante: rimanere bambini o diventare uomini come tutti gli altri, abbruttiti dalla cultura stessa, dalla scienza che si propone di salvarli, dalla religione che li ha sempre inchiodati al loro nulla e, per recuperare la potenza vitale,non c’è amor fati che tenga, la libertà si riduce al lumicino in un mondo sempre più standardizzato, e nessuno può sfuggire ai condizionamenti subdoli che la società contemporanea impone a quelli che Adorno chiama i suoi sudditi. Tutti sono vittime di una mutilazione, e anche la cosiddetta normalità è solo una pletora di ferite, castrazioni, violenze, operate in nome dell’ideologia di un capitalismo sempre più feroce, che permea tutto, per cui diventa quasi preferibile rinunciare a essere portatori di messaggi, di valori, di propositi se questi sono soltanto i segni impressi nella coscienza da condizionamenti che essa non può che subire. Il lavoro intellettuale stesso è ormai svolto da lacchè la cui autonomia di pensiero è azzerata in nome di una, scrive Adorno, mal compresa oggettività, che depaupera il singolo, inconsapevolmente complice dello stato di cose che lo schiaccia. Anche la psicoanalisi, che in quel periodo celebrava il suo trionfo, è complice del sistema economico di cui vent’anni dopo Deleuze mostrerà essere una diretta emanazione. La tesi di Adorno è questa: laddove una volta una verità su se stessi faticosamente conquistata era il risultato di uno sforzo conoscitivo, con la psicoanalisi tutto diventa preconfezionato, e invece di pensieri abbiamo una sorta di concetti passepartout, che si possono applicare a tutti, permettendo loro di evitare la fatica di pensare se stessi e provocatoriamente Adorno scrive che il problema dell’umanità non è tanto avere troppe inibizioni, ma averne troppo poche. A Freud Adorno rimprovera anche di non essere andato fino in fondo nel liberare il desiderio e di averlo nuovamente incatenato a delle razionalizzazioni, dal sapore nettamente reazionario, dando ragione alla società borghese, che desidera sempre la sublimazione,per nascondere i segni della sua violenza repressiva. Anche la psicoanalisi sostiene così le ingiustizie che affliggono il mondo e che Adorno, sulla scia di Marx, individua nei rapporti di produzione, nella natura alienante del sistema capitalistico coll’individuo condotto per mano da una società paternalistica e crudele ad essere mero consumatore. Ma il desiderio della salvezza, della redenzione, attraversa tutto il libro più come una nostalgia, che come una vera e propria speranza. Nostalgia che in un più aforisma diventa desiderio di una riconciliazione della falsa coscienza , prodotta dal movimento della storia, con la nostra sostanza più antica, la nostra natura arcaica, non ancora alienata, e in questo sembra consistere il compito profondo della cultura, nel recupero di un’infanzia in cui brilli ancora il fascino dell’intuizione e la possibilità della sorpresa.
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6 commenti:
grazie ettore
bel post
Adoro
Adorno
Ti scrivo non solo perché abbiamo fatto considerazioni simili su Adorno nei nostri rispettivi blog (anche se tu hai una bella scrittura di ampio respiro, che a me manca), ma anche perché sul mio blog io lavoro ad un progetto (su violenza e messianismo) che intercetta adorno. Non solo mi piacerebbe che tu leggessi quello che ho scritto e scrivo, per avere un tuo parere, ma se ti interessa il progetto, sarei felice di collaborare con te. Intanto mi spulcio il tuo blog per vedere cosa trovo. Ti lascio due link uno su Adorno e la psicoanalisi (http://narrativecritiche.splinder.com/post/20430123/non+lo+so+%28non%29+sar%C3%A0+mia+madr) e uno che presenta il progetto per intero (http://narrativecritiche.splinder.com/post/20388012/inizio%3A+come+funziona+il+gioco). A presto. Enrico Schirò
Ho sempre desiderato leggere questo libro. Dopo questa tua recesione, cresce maggiormente questa voglia in me. Grazie.
Grazie a te. Ciao
L'opera raccoglie una miniera diriflessioni su molteplici aspetti del mondo contemporaneo. Grazie alla dialettica hegeliana Adorno coglie temi della vita della societa' moderna comeil ruolo dell'intellettuale, le ambiguita' di Freud sulla repressione della societa'. Sui filosofi che che pongono la coscienza come centro della analisi che non consente loro di cogliere il totalitarianismo.
@Ignazio Castelli
Grazie per la precisazione.
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