Insetti senza frontiere- Guido Ceronetti

venerdì 29 maggio 2009


Il rischio, leggendo un libro di Ceronetti, è quello di aprire gli occhi e perdere quella rassicurante cecità che ci permette di credere ancora che la nostra vita sia qualcosa di più che una squallida reclusione in una cella di rigore, ogni tanto rischiarata da una vertigine metafisica presto dimenticata. Pochissimi hanno nel sangue la percezione di un male radicale, a cui nessuna creatura vivente sfugge, quanto l’artista torinese, e ciò lo fa assomigliare ai grandi del pensiero. Ammiro in Ceronetti il coraggio di essere anti umano perché l’uomo è il più “falso degli idoli”, va rinnegato e non è forse questo a renderci migliori? Nella consapevolezza di far parte di un’orrida genia non possiamo più dirci, come nella visione di Nietzsche, Iperborei ? Leggendo Ceronetti lo possiamo fare, ponendoci con lui al di sopra di un monte, per guardare il mondo come un mito di ferocia sconfinata, un’orrida realtà impastata della più nera avidità e riconoscendoci in questo specchio affidiamo ai residui della nostra sensibilità schiacciata il compito morale di essere orripilata.
Questo Insetti senza frontiere è un libro di filosofia che cerca di sfuggire alla pensosità accademica e professionale degli addetti ai lavori, ed è insieme, come al solito, l’acuta indagine di uno spirito libero che si sa condannato all’universale schiavitù, nell’impensabile voragine della vita contemporanea. Come è possibile per l’uomo, creatura votata al male, resistere alle miserie radicali, all’abbruttimento del sentire comune, se sin da bambini, scrive Ceronetti, si barattano le proprie ali per una pizza e una Coca Cola? E quando si è incapsulati in una vita tremenda, fatta di conformismo bestiale e stolta obbedienza , in un mondo in cui in ogni momento la quantità di gente massacrata da ogni parte sgomenta, come è possibile dire che la vita è bella ?Non è forse un sopruso godersela in questo sfacelo? Eppure bisogna rassegnarsi all’ordine vigente di simulare la felicità, non si ha il coraggio di guardarsi allo specchio e ammutolire. Questo specchio ce lo mostra Ceronetti , che in questi aforismi, lascia vibrare Van Gogh accanto a Sironi,Dostoevskij insieme a Cechov ; ci mostra la sua passione per l’arte in ogni sua forma, dalla pittura, alla scrittura, al teatro, e al tempo stesso attraverso Heidegger ci dice che l’uomo razionale è scomparso per lasciare posto a una “bestia da fatica”, tenuta in piedi dall’allucinante mito del lavoro, come unico strumento di redenzione. “Sopravvivrai automa” sembra scritto all’ingresso della vita moderna ; il resto è scivolare in una vita di demenza, a stento mascherata e trattenuta,sempre, come in Cioran, asfissiati da una rabbia senza motivo, tutti partecipano all’espansione della violenza collettiva che diventa diktat, assicura l’ordine del male si perpetui e l’agonia dei pochi angeli feriti non interessa a nessuno .Lungi dal teorizzare una natura innocente, Ceronetti colpisce per la virtù di porsi contro la vita, avendola vissuta all’ennesima potenza, grazie alle proprie folgorazioni di artista, che riconosce, e porta in sé la pena di tutti. Pensare contro la vita ,significa averla compresa profondamente e allora ci coglie quella sorta di incantamento, di meraviglia che è alla base del pensiero filosofico, a partire dai Greci. Innanzitutto per lo stile di scrittura di Ceronetti , in cui uno sdegno di natura morale è sempre presente perché “ L’uomo fa orrore” , e si è volontariamente incarcerato in una vita di fatica senza senso. L’affinità con Cioran, testimoniata dalla loro amicizia, affiora spesso nelle parole dell’artista torinese, che ha il coraggio di scavalcare gli steccati che dividono il sapere, e mostrare come in lui le figure del filosofo e del poeta convivano, e che è una presunzione volerli separare. Ci vogliono occhi come quelli di Ceronetti, è necessario si posi su di noi il suo profondo sguardo di estraneo, che sembra aver capito tutto della nostra natura, avida, irresponsabile, sanguinaria: “ Siamo tutti figli delle foreste, ex belve che poco basta a rifare tali e peggio , ex lupi mannari ridotti a corsette perdichili in giungle d’asfalto … succhiamo il nulla, rematori di un’unica colossale galera … e un megafono imbecille ci ripete incessantemente che abbiamo un fine, che c’è un senso …”


Attraverso le parole di Euripide ci invita a vivere nascosti, per sottrarci alla famelica attenzione, e alla letale disattenzione degli altri, ci guida ad assaporare lo splendore della filosofia,e con nostalgia la rievoca dal fondo di uno smarrimento universale, mostrandoci sempre l’impossibilità della libertà in una società che votata al crimine più efferato- eliminare le differenze , schiacciarci in comportamenti alienati, in un universo che è dominato dal male e da un dolore, che solo in poesia può trovare la sua chiarezza di rivelazione.
Ceronetti ha “necessità di sublime”, e lo cerca fra le fiamme del mondo, servendosi della sua sterminata conoscenza delle lingue per seminare ovunque l’ignoto, e stupirci; attacca i carnivori, difende gli animali dalle loro fauci, annuncia l’orrore per ogni massacro, ci fa percepire lo sfacelo del corpo invecchiato e malato, e ci confessa il disgusto per la propria vecchiezza, e al tempo stesso il piacere che si prova ad ascoltarlo,- Ceronetti ha più di ottanta anni - ci fa percepire quanto in quella vecchiezza sia stato speso bene, al servizio di una passione dominante,per la filosofia , per l’arte, per la poesia, e sono molti i versi che Ceronetti cita nei suoi aforismi, spesso stratificati e intessuti di parole altrui, altre volte brevi e folgoranti. La trama delle sue parole è sempre attraversata da una tensione per il sacro, da una dimensione religiosa che non ha più nulla a che vedere con il monoteismo, condannato da Ceronetti in un aforisma, perché colpevole di aver mozzato il capo a quel divino” policefalo “la cui ricchezza impediva l’ossessività del rapporto con un unico Dio e del resto i cristiani “Hanno preso la via più facile: deificare Cristo, invece di comprenderlo”.
Nelle parole di Ceronetti il cristianesimo è quella realtà al servizio del male, soprattutto nella voracità con cui pretende carne umana uscita da ventri gravidi, quando ormai è risaputo che solo l’ignoranza e l’irresponsabilità sono al lavoro in quelle realtà in cui tragicamente si generano molti figli. La procreazione perpetua il male, dà il suo assenso a un mondo in cui ogni infanzia è bruttata e violata per sempre. Ne vien fuori un’umanità di disperati quando va bene, di assassini quando va male. .” Il filosofo ignoto” ci guida in un mondo che ha perso : “… il paesaggio, l’amore –passione, la Poesia di rivelazione … le fotografie in bianco e nero .. i misteri del corpo e dell’anima” e sostituendo tutto questo con la cacofonia dei giornali, della televisione, di internet,sostituendo il ronzio degli alveari col brusio sempiterno delle apparecchiature elettriche , questo mondo che precipita, crede di aver raggiunto il suo scopo sacro. Invece nelle parole accorate dell’autore de La carta è stanca, il dominio della tenebra, di cui consiste la vita da sempre, ha raggiunto oggi uno dei suoi vertici. Siamo dentro una tragedia dai colori sgargianti, ci hanno truffato, per venderci degli incubi. Dalla penna di Ceronetti escono alcune verità lapidarie come questa : “ Solo alla luce del Tragico il mondo non è inesplicabile.” Lo sguardo tragico, che non accetta compromessi, innervato di sensibilità e potenza etica, è necessario a questi tempi come il più urgente dei farmaci. Pensare l’orrore è tutto, ” la filosofia è onnipotente”, non servendo a nulla, non serve il Nulla . Meglio ascoltare il brusio degli insetti, il canto delle cicale, che affondare nel frastuono delle automobili, delle televisioni, meglio abbandonarsi alla contemplazione di quella minima vita brulicante, che è un po’ come guardare le stelle, cercando un luogo fuori dal mondo in cui l’infinito parli ancora all’uomo.

2 commenti:

EMIDIO ha detto...

Bellissima recensione!
Complimenti!

Ettore Fobo ha detto...


Grazie, Emidio. Un saluto.