L'impossibile- Georges Bataille

venerdì 25 settembre 2009

I personaggi di Bataille paiono sempre sull’orlo di qualche collasso nervoso, la loro vocazione non è durare, giacché si dura solo per debolezza, ma bruciare, e i loro amori, sofferti, sono accerchiati dal senso di morte; angosciati essi non trovano mai la semplice soddisfazione animalesca, cui sembrano tendere con tutte le loro forze, se non a prezzo della loro salute mentale. Amori contrastati da figure grottesche e luciferine, che si svolgono sempre in un clima da catastrofe imminente, per creare una tensione che andando oltre la vita, lasci presagire le voluttà misteriose dell’impossibile, come nel caso del primo di questi tre scritti, Storia di topi(Diario di Dianus) , il cui senso è tutto nella prefazione iniziale: non si può mentire in un romanzo, sostanzialmente scrive Bataille, la verità è più forte della letteratura e questa verità vuole bruciare fino al parossismo dell’angoscia, vuole l’impossibile e per ottenerlo è disposta a tutto, scardinare le convenzioni, infrangere le interdizioni, affondare in quel pantano di desideri insoddisfatti, arrivando a farci percepire una più grande impossibilità, quella di vivere.

Perché i personaggi di Bataille da Madame Edwarda a L’azzurro del cielo, fino a questo L’impossibile, hanno del sesso e della vita una visione apocalittica, l’estremo abisso della morte sembra manifestarsi in ogni amplesso, l’amore è quell’angoscia da cui non ci si può mai liberare, l’oggetto amato è sempre irraggiungibile, intangibile, e il coito è solo il prolungato sgomento di due corpi prossimi alla loro dissoluzione. Non c’è felicità, né essa è desiderata o nostalgicamente rimpianta, il protagonista dei racconti di Bataille non è tanto un personaggio, ma questa consapevolezza che è dal nero dell’esistenza, dall’angoscia, che si può estrarre il godimento, dall’abiezione più profonda vien fuori la sensazione suprema, che fa dell’uomo ciò che esso è, profondamente, e aldilà della faccia che egli indossa la mattina per affrontare il mondo, c’è questo viso stravolto, questa inquietudine che non trova pace, e paradossalmente non la desidera, perché il compito supremo è ardere, probabilmente invano, poiché la suprema voluttà si trova solo nelle profondità dell’angoscia. ”La gaia cattiveria dell’indifferenza “ è l’ultima fiche da giocare alla roulette dell’assurdo, che domina la psiche di ognuno dei personaggi del racconto, la cui fatalità è l’osceno, il cui anelito profondo alla morte è tempestato dai diamanti di un’incoerenza diabolica, che li fa apparire manichini di un più grande disastro, che pure mai si palesa in tutto il suo orrore e il racconto rimane sospeso in un’atmosfera cupa, senza speranza, in un clima di violenze ed eccessi, soprattutto mentali, stati di passionalità per lo più incoerenti, che sono la chiave per Bataille per accedere alla verità del desiderio.

”Molto spesso la passione degenera in furore “ questa frase di Mirabeu potrebbe essere la sintesi di questo dimenarsi di personaggi , la cui disperazione è così totale, che mi chiedo quanto di artefatto, stilisticamente, vi sia in essa. E’ il limite di questo racconto, non è facile dare sempre a queste tensioni soffocanti il crisma di una riuscita letteraria, il personaggio Dianus affoga nella sua impotenza, e non fa altro che ribadirla, in questo risultando talvolta stucchevole, ma c’è un orrore smisurato che vibra in queste parole, una dismisura di caos che risulta affascinante . Straordinarie le parole finali del diario di Dianus sono un’indagine intorno al tema della nudità come mortifera fine di ogni segreto, e anche l’amore, retorica di tutta la nostra cultura, è schiantato nelle parole di Bataille, se “i più teneri baci hanno nel fondo un gusto di topo”, e dappertutto incombono sul nostro respiro l’oblio e la morte, e l’impossibile ci attrae con le sue pericolose promesse.

Ma pare esserci un solo tono nei racconti di Bataille, e quando questo non si fonde con la potenza visionaria, con la misteriosa e dolorosa naturalezza di certi suoi scritti, abbiamo testi deboli e ripetitivi. Presa nel suo complesso l’opera narrativa di Bataille per alcuni può apparire anche fastidiosamente monotematica, sempre lo stesso personaggio con i suoi deliranti intenti, le sue impasse poco gloriose, i suoi impedimenti, ma proprio la natura psicotica di certi scritti è ciò che ha fatto oltrepassare a Bataille i comodi limiti di una letteratura di buon senso, e ne ha fatto un classico del Novecento. Per Bataille, la verità della poesia, e quindi della vita, risiede unicamente nell’eccesso, nella convulsione epilettica dei desideri, nell’orrore, nella morte; il resto, che si oppone a ciò, è morale utilitaria, sterile sopravvivenza, realismo dei piedi ben piantati in terra, contro di cui Bataille lancia i suoi strali, a volte fantomatici, a volte esatti come una radiografia. Indubbiamente è la ricerca di un’estasi impossibile il tarlo che corrode questi personaggi, la cui vitalità ha sempre qualcosa di funebre e incoerente, i cui slanci di passione sono tarpati, grotteschi, mutilati di ogni gioia. Se Storia di topi è un racconto colmo delle più esatte sensazioni, e lucido fino allo sfinimento, non altrettanto si può dire dell’ altra raccolta di scritti.

Nella terza parte del libro, infatti , con l’ambiguo titolo di Orestiade, Bataille raccoglie alcune poesie per la verità insignificanti, e dolorosi scritti il cui senso è oscurato dall’ossessività con cui il tema della morte affiora, ed è quasi tristemente adolescenziale il suono della sua voce. Troppo spesso lo scrittore francese cade nella trappola di fare il verso a se stesso, risultando a volte di un’inutilità nauseante. Se Storia di topi, è un classico racconto nero, che si fa leggere, e contiene le classiche illuminati e taglienti frasi di Bataille, un vorticoso ensemble di desolazione e aneliti strazianti , L’ Orestiade è un’accozzaglia di versi mediocri e divagazioni impotenti, perciò il senso dell’operazione di Bataille non è ben chiaro. Troppo confuse, fumose , nella loro febbricitante andatura le frasi, troppo scollegate fra loro le parti, nell’insieme manca proprio l’unità, le considerazioni intorno alla poesia sono per lo più altisonanti e vacue, l’impotenza della scrittura si percepisce troppo violenta e insostenibile, e perciò L’impossibile nel suo complesso, come opera letteraria unitaria, non è pienamente riuscito. Perlomeno io taglierei tutta la terza parte, la cui supponente pochezza non rende giustizia al genio di Bataille, quale esso emerge nella parte migliore della sua produzione e in fondo anche in Storia dei topi, se ne vediamo l’ostentato trucco metafisico che cola via nel pianto, o se ne udiamo il formidabile urlo lacerare il silenzio della mente;liberandoci in questo modo e misteriosamente, forse per un effetto omeopatico, dal cappio della nostra privatissima soffocazione.
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L'impossibile è edito da Es

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