Il poema come sintesi del mondo

venerdì 4 settembre 2015




Il poema è un mondo chiuso in sé, è il mondo esaminato al microscopio, è una totalità che si specchia nei frammenti, è lo specchio infranto di un sogno di totalità. Fra i poemi  Lo Spleen di Parigi è ancora perfetto per raccontare la modernità della città industriale  e la vastità della notte metropolitana. Leggendolo si ha la sensazione di moltiplicarsi.  Più invecchia più migliora il pericoloso  vino baudelairiano. È il paradosso della poesia, anche se in prosa, diventare sempre più attuale. Se penso all’età  contemporanea, alla stessa parola contemporaneo non posso che pensare ai poemi raccolti ne Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante, più contemporaneo oggi di quando uscì nel 1968. Raccolta di poemi molto poco italiana, molto internazionale e perciò,  in Italia, pressoché  invisibile.

Il poema,  come  lo vedo io,  è un sogno sgranato (o disgregato) di sintesi universale, come ha dimostrato Eliot con La terra desolata e con la sua attività di critico.  Sintesi di un universo che io avverto soprattutto come vibrazione linguistica. Per la scienza è la forza di un formula, per la matematica la potenza di un teorema. Infatti, per me un poema può avere la stessa forza icastica di una formula di fisica o di un teorema matematico.  È una definizione del  mondo e del suo funzionamento. Poi ci sono quei poemi che sono avventure nel linguaggio,  i Cantos di Pound, ‘ L mal de’  fiori di Carmelo Bene, esperimenti in cui la parola è condotta alle sue estreme conseguenze  e il vortice linguistico persegue voragini e vertigini.

Talvolta il poema narra la dis – funzione e il delirio notturno, come Canti Orfici di Campana, altre volte si ribella e la sua ribellione è una condanna, come in Rimbaud. Può cantare anche  un cimitero in cui magicamente la vita continua con la sua miseria un po’ provinciale, tipo Spoon River. A volte quello cui il poema aspira, pensate alla Divina Commedia, è mostrare un cammino iniziatico, che nasce da una visione. E quindi ecco Urlo di Ginsberg ed ecco  la città infernale  e la città onirica, la città moderna. Iniziazione ai misteri metropolitani, scoria di una visione di totalità.  Il poema moderno perciò è   inevitabilmente il poema della città, scenario nuovamente  mitico in cui vive l’uomo di oggi. Non più la natura,  Dio o  gli dei. Tutto si fa umano anche la natura  e allora abbiamo  Paterson di  Williams:  l’uomo come città,  la città come uomo.

Per un poeta non c’è nulla di più ambizioso ed esaltante che progettare un poema. Pe me lo è stato, prima con l’inedito Ledro Land Poem, poi con Diario di Casoli. Però,  ho evitato la città.  Ho cantato l’altrove. Ma se c’è un altrove,  c’è un qui. E per me è rappresentato dalla città, dalla mia città, da Milano.

Sono altresì  convinto che la città moderna, ogni città,  sia  l’ovunque. Ovunque ben misero in fondo, per questo l’altrove è puro ossigeno. Respiriamo.


3 commenti:

Sabrina ha detto...

Inizio con la tua chiusa che trovo perfetta: respiriamo.
Il poema, in fondo, è un grande respiro. O un altrove, come tu scrivi. Respiro ed altrove per me sono un binomio. Mi sono soffermata più a lungo sul poeta che ha l'onore di aprire il tuo bel post, poiché è stato il primo a rapirmi con i suoi spleen, i suoi "altrove" ed il suo male di vivere, sempre attuali come tu stesso hai scritto. Respiriamo, dunque. C'è bisogno di ossigeno.

Ettore Fobo ha detto...

@Lisa

Aggiungo che considero l’altrove, oltre che un luogo e forse più che un luogo, uno stato mentale. Lo stesso Baudelaire anelava a una vacanza da se stesso. C’ è poi il verso di Rimbaud: “La vita è altrove”, che diventò il titolo di un bel romanzo di Kundera.

Sabrina ha detto...

Ecco, a proposito: anche Arturino rientra tra i miei preferiti. Non è un caso. Sí, l'altrove è uno stato mentale.