lunedì 18 aprile 2016
Ho passato almeno 2/3 della
lettura di questo libro di Henry Miller, “Primavera nera”, a lambiccarmi il cervello nel tentativo di
capire perché questo romanzo piaccia tanto a diversi appassionati dello scrittore americano. Confesso
di non esserne venuto a capo. Per me si tratta di un’opera malriuscita.
Innanzitutto, è un romanzo? O piuttosto un miscuglio abborracciato di
allucinazioni, impressioni, brutta prosa poetica e storielle? Per me è stata
una lettura assolutamente deludente e non importa se a tratti è affiorato il
Miller che conoscevo, nella ricostruzione di certi ambienti, nella
caratterizzazione di certi personaggi, in certi oceanici momenti di scrittura
pura.
ll romanzo non solo mi ha
annoiato (peccato in fondo veniale) ma non ne ho capito l’utilità. Mi è parso
un solipsistico delirio di egocentrismo senza capo né coda. Si parte bene con un incipit che cattura:
“Sono un patriota: della Quattordicesima sezione Brooklyn, dove sono
cresciuto. Per me il resto degli Stati Uniti non esiste se non come idea, o
storia, o letteratura. A dieci anni, fui sradicato dalla mia terra natia e trapiantato in un cimitero, un cimitero luterano, con le tombe sempre in ordine e le corone
che non appassivano mai.”
Poi Miller si perde alternando
una serie di racconti cuciti insieme alla bene e meglio con la descrizione di
sogni. Romanzo dunque non mi è parso. Mi ha interessato solo nel racconto della
sua esperienza di sarto nella New York degli anni dieci dove ho ritrovato sì la
sua schietta prosa imbevuta di pragmatismo e incantesimo insieme. Per il resto
ho vagato nella confusione di una scrittura che se si voleva immaginifica mi è
parsa solo eccessiva. La sensazione è che abbandonarsi alle fantasticherie e
alle acrobazie linguistiche non abbia prodotto un capolavoro come nel caso di Tropico del Cancro ma un libro velleitario, privo di reale
mordente e di una reale, concreta, carica visionaria.
L’ho letto nella storica edizione Feltrinelli del 1968, tradotta da Attilio Velardi, scrittore noto per i suoi gialli, che mi ha colpito per il lessico prezioso, quindi non è da imputare al traduttore alcunché.
Qui mi sembra che Miller abbia forzato la sua
immaginazione, le parti in cui racconta di una sequela di sogni sono impregnate
di un surrealismo quasi ridicolo e nell’ostentata creazione incessante che
vorrebbero mimare risultano pesanti e
incongrue. Oltretutto secondo me le
parti narrative e quelle oniriche sono cucite male insieme. Prima il bel quadro
newyorkese di cui sopra poi incontriamo un personaggio che delira da ubriaco,
poi a delirare è lo scrittore stesso raccontando una catena di sogni che
lasciano il tempo che trovano. E allora? La noia diventa irritazione davanti a
questo esibizionismo fine a se stesso. Si avverte la mancanza di unità, di coerenza
narrativa, si ha la sensazione che Miller, surrealisticamente, lasci spazio alle
prime cose che gli vengono in mente. Il libro è strutturato male, quindi quello
che trasmette principalmente è il caos. Qui Miller mi sembra, più che ispirato, come sarebbe voluto
apparire, ubriaco di sé fino al delirio.
Difficile da capire l’ammirazione
riservata a questo romanzo, amato anche da scrittori come Orwell che si profonde
in elogi. Qualcuno lo definisce addirittura il capolavoro di Miller. Sarà, di certo io non l’ho apprezzato e ne ho
colto anche l’atmosfera intellettuale irrimediabilmente
datata.
6 commenti:
Non ho mai letto Miller ma, seguendo il tuo suggerimento, questo libro (almeno questo) è da evitare.
@Euridice
Meglio partire con altri romanzi (“Tropico del Cancro”, “I giorni di Clichy”, “Paradiso perduto”, per esempio).
Pienamente in disaccordo. La natura magmatica dell'autore qui si discioglie in un percorso esperienziale ispiratore e slegato dai nessi aristotelici in cui pedissequamente incaselliamo la forma romanzo. Non alla portata di tutti.
@Henry Kapdfer
È proprio la natura magmatica che non mi ha convinto. Per nulla.
Peccato che in essa risieda la vera cifra di Henry Miller.
@Henry Kapdfer
In altri i suoi libri ho trovato un maggiore equilibrio e meno deriva . Libri che per inciso ho amato molto(“Tropico del Cancro”, “I giorni di Clichy”, “Paradiso perduto”). In questo ci sono eccessi.
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