Auto - intervista con domande implicite - parte prima

sabato 17 dicembre 2016





“Penso che l’intervista sia una forma d’arte. E che l’autointervista sia l’essenza della creatività.”
 Jim Morrison

Penso che Diario di Casoli, aldilà del dato biografico di cronaca o finta cronaca di una mia vacanza in Toscana,   sia  soprattutto un’avventura dentro il mistero di scrivere e quindi della parola  e poi dentro  il mistero dell’altrove.  Un poemetto apparentemente incentrato tutto su un luogo, Casoli, che si trova in provincia di Lucca, che per effetto dell’immaginazione diventa un luogo mitico. Poiché tutto è già immediatamente ricordo nel momento stesso in cui si compie, tutto, come ha notato Tonelli, eternamente accade in un unico istante; tutto è già mito, racconto, e a dominarci è il desiderio dell’altrove, luogo altro rispetto alla quotidianità cittadina. Anche la memoria è un altrove, rispetto all’azione perennemente volta al presente, all’attuale, banalmente alle cose da fare.  Anche il sogno che ci fa da sfondo è un altrove.  Ciascun luogo è il sogno e il segno di un luogo mitico, mentale.

Ecco, io mi sento sempre un poeta onirico, notturno, che, però, arde dal desiderio di cantare la luce. L’ambientazione montana (si tratta di una mistificazione in realtà, si dovrebbe dire che Casoli è in collina ma io l’ho trasformato in luogo montano) l’ho sentita e l’ho vissuta così, come prodigio di luce e ombra, che si disputano la scena nel loro quotidiano alternarsi. Nel mio poema spero che questo prodigioso alternarsi si veda anzi, si senta.

Mia ambizione era far apparire queste zone della Toscana, la valle di Lima, soprattutto ma anche la Garfagnana, come luoghi esotici, realmente altri. Il mio vuol essere un poema luminoso che non dimentica che la poesia è fondamentalmente tenebra o meglio penombra, la penombra boschiva,  in questo caso. Ecco il vero cuore dell’altrove, l’ animalesca alterità del bosco, della civetta, della volpe, del cervo,  del cinghiale etc. 

“La vera vita è altrove.” Così Rimbaud potrebbe sigillare il poema con questo suo verso. Casoli diventa altrove dove la vera vita si può manifestare ma ecco… la vera vita non può essere raccontata, così Tonelli parla giustamente per il mio poema di viaggio verso “l’impossibilità della parola”. Infatti, la parola è insufficiente a svelare il mistero dell’altrove al tempo stesso essa è la soglia che ci permette di accedere a un’epifania del sacro.  La poesia si toglie la maschera di costrutto intellettuale e si rivela religiosa, ma in maniera primitiva e forse caotica. Poesia come religione del silenzio. Musica che onora il silenzio.

Si può parlare come fa Goethe, e ci ricorda Tonelli, di “regno delle madri”, con tutta l’ambiguità e l’ambivalenza della madre, compresa madre Terra, espressione ormai logora per via di certa New Age, espressione ormai caduta nel discredito della massificazione, per via del fatto che anche il “senso della terra” di Nietzsche diventa banale come una musichetta troppo ascoltata, se diventa slogan.

Nel mio poema c’è il sogno che la poesia si riveli creatrice di miti in grado di riconciliarci con la Natura, mito archetipico fondante, celebrato in questi versi, ma che si ha la sensazione, penso, di   una natura   lunare, sfuggente, ambigua, acquatica. Non ti ama, ti assorbe, duplicità della madre. E infine tutto questo è un sogno: madre natura, la valle, lo stesso paese si rivela essere Hotel Artaud, cioè un luogo magico, sì ma in fondo folle e assurdo, come la vita e i suoi simboli. Splendidamente assurdo, potrei osare di dire, se penso a Camus. La vita come ridda di esperienze assurde, da vivere fino in fondo.   Penso anche all’amor fati nietzschiano, che, però, diventa più o meno “La tua  vita è una gabbia;  ama le tue sbarre”,  nell’interpretazione critica di Adorno. Mi ha fatto molto piacere che Tonelli abbia citato quest’ultimo nella sua introduzione. Ma sto divagando.

Diario di Casoli è un titolo che si è imposto da sé. Scrivevo su un quaderno queste poesie e dopo una manciata di esse, avevo già in mente dove volevo andare a parare, cioè  verso il regno del grande Boh, naturalmente. Sì perché io scrivo anche per essere stupito e in qualche caso lo sono stato. Mi capita a volte di sognare dei versi, più raramente un’intera poesia.   Hotel Artaud all’alba, per esempio, è proprio il residuato di un sogno. È stata quasi interamente recuperata al risveglio e ricostruita.  Hotel Artaud è il titolo di una poesia di Milo De Angelis, poeta che leggevo in quel periodo.  Leggevo anche Yeats, che viene citato in esergo a una poesia. È Yeats a chiamare il suo secolo, il Novecento, “secolo consunto”. Ho avvertito anche piuttosto intensamente la presenza di Pascoli che è vissuto lì vicino, per la precisione a Castelvecchio che ora porta il suo nome, Castelvecchio – Pascoli, e dove la sua casa è stata trasformata in museo. La visita a questo museo è un altro degli eventi clou di quella vacanza in Garfagnana e nella provincia lucchese.  A questa aggiungerei la visita al castello archeo park di Verrucole. Straordinario e divertente viaggio storico nel medioevo,  non privo di ironia oltretutto,   nella ricostruzione narrativa di quel periodo storico. Un vero spasso per un bambino,  la gita ideale per una scolaresca.

Fra i modelli non posso non citare Machado che canta i monti, i fiumi, i limoneti, gli ulivi della Castiglia oppure Odisseo Elitis, poeta luminosissimo che canta i mari della Grecia. Poeti della luce, mi viene da pensare. La mia speranza, infatti, era graffiare il lettore con uno spettacolo di luce.
Ma in Diario di Casoli c’è molto buio. Rimango un poeta notturno, lo yin prevale sullo yang, il femminile  sul maschile, la fragilità della parola poetica sullo  strapotere onnipotente della Verità. La poesia è un pensiero debole, fragile. Con Ceronetti, però, bisogna dire: ”Nulla, nessuna forza, può rompere una fragilità infinita.”

Nel lucchese ho letto una frattura fra la Garfagnana e il resto della provincia che mi è stato spiegato essere nel Medioevo il cosiddetto “contado lucchese”, cui appartiene Casoli che è una piccola frazione di Bagni di Lucca, un po’ abbarbicata in collina ma in maniera timida, riservata, un po’ chiusa, come mi è parsa quella terra e quella gente. Un po’ diversa m’è parsa la Garfagnana sia come paesaggio sia come persone, forse più gioviali, con la loro divertita ironia che non arriva al sarcasmo per una specie di educazione. Ma aldilà di queste differenze, magari immaginarie,  sebbene divisa, tutta d’un pezzo m’è parsa l’anima lucchese, in definitiva, appunto,  colorata d’ ironia, con una sua saggezza come di chi guarda nella vita la  buffoneria universale, il vano e non ne soffre perché sa riderne, o forse la sua sofferenza è affilata come una risata.

Secolo consunto” è anche il nostro ma Diario di Casoli è il tentativo di far uscire il lettore dall’oppressione della contemporaneità, di farlo viaggiare verso un’alterità che è anche il recupero di una dimensione primitiva, ancestrale, naturale, fondante. È il discorso sotterraneo della nostra epoca tutta, se ci pensate. In questo caso io, come spesso i poeti, mi faccio interprete e cantore di questo desiderio collettivo di palingenesi naturale. Nonostante l’ambiguità di fondo la mia è, in questo caso, poesia che celebra la terra. È stato Zanzotto, infatti, a dirci che il poeta sogna soprattutto di elogiare, celebrare. Spero di essere riuscito nell’intento.

Con Diario di Casoli volevo realizzare qualcosa che fosse luminoso per rompere con la tenebra dei miei libri precedenti, con il velato cupio dissolvi dionisiaco che forse li caratterizzava per cui un lettore un po’ disattento poteva rimproverarmi, ingiustamente, io credo,  perché nelle mie poesie anche la “notte nera dell’anima” erompe come una rivelazione carica di mistero.  O almeno così penso. Sicuramente volevo fare un libro luminoso, e come tale l’ho vissuto. Rileggendolo più e più volte in realtà benché la luce abbia un peso specifico notevole, quella della luminosità è una falsa pista che io inconsciamente ho percorso. È una specie di auto inganno che inganna anche il lettore. Un’auto rappresentazione che dice qualcosa della verità ma ne nasconde l’essenziale. Diario di Casoli è ancora un libro in cui il buio, il silenzio, o addirittura appunto “l’impossibilità della parola”, l’impossibilità per la poesia di dire la verità sul mondo, sono protagonisti della scena. Sono, però, devoto a quel frammento di luce di cui il “Diario” si fa portavoce.

Bisogna rompere con le opere precedenti tanto più la rottura è evidente tanto più vuol dire che si è lavorato bene su se stessi.

Ho voluto dare una veste bucolica al mio pensiero, per renderlo meno inquietante, convinto che uno dei compiti della poesia sia quello di esaltare, celebrare, elogiare, anche la tristezza, persino la sofferenza,  addirittura la morte, in una logica davvero aldilà del bene e del male.  Insomma, la poesia deve togliere senso alla vita, il senso codificato, fossilizzato,  sterile per crearseli lei infiniti, sensi vaganti, immagini, visioni, prospettive. La poesia è sempre duplice, come minimo, ambigua, è sia  la ferita sia   il coltello che l’ha inferta, il bacio che forse è anche un morso,  la carezza e la percossa, l’infinito e il vuoto, ma soprattutto, mi piace dire adesso,  il vuoto infinito. Ciò che sconcertava Pascal, voglio dire,  il silenzio stellare. La poesia è terribile, ci rivela la vanità delle nostre azioni, il nulla di cui siamo fatti, ci mette alle spalle al muro e pretende la nostra anima, tutta. Preferisce il nulla del disinteresse a un’attenzione parziale, pericolante, svogliata.

Fine prima parte
 Leggi qui la seconda parte.

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