sabato 10 dicembre 2016
La poesia che apre questa
raccolta di Philip Levine, l’ultima prima della morte avvenuta nel 2015, Notizie del mondo, edita nella collana
“Lo Specchio” da Mondadori nella traduzione di Giuseppe Strazzeri, è straordinaria ed è probabilmente la più
bella e significativa dell’intero
volume. S’intitola La nostra valle ed
è un commosso omaggio alla montagna, che si trova nella prossimità di un
oceano, che rimane nascosto, lontano, irraggiungibile, qualcosa di “immane”, “irrazionale”, “potente”, che
qualche volta lascia un ricordo di sé nell’odore di salsedine appena accennato.
Oceano per cui nemmeno le montagne, che sanno tutto, hanno un nome. È
fondamentalmente una poesia sul senso di estraneità delle cose più familiari, “la nostra vita”, “la casa”, sul senso di venerazione che l’imponenza della montagna,
con il suo mistero, con il suo silenzio che “in autunno cresce al cadere della neve”, causa nell’animo del
poeta.
È un ingresso stupefacente in un libro in cui
accanto a poesie aneddotiche e autobiografiche, accanto a quadri di vita
quotidiana, convivono prose non sempre convincenti. Ecco, la sezione dedicata alle
prose è la più debole dell’intera raccolta, abbastanza scialba e incolore,
diminuisce il valore del libro, che si configura dunque come prosimetro. Notizie del mondo è comunque un
interessante libro di poesia, solida, senza tanti fronzoli e voli pindarici,
realistica, terrestre, quotidiana, ancorata alla terra, al valore del lavoro,
alla flora e alla fauna dei boschi, dove spira quel senso di americanità
profonda.
Altri luoghi sono evocati, Barcellona, Lisbona, Cuba, ma non colpiscono con la vividezza dei panorami statunitensi, vero humus di questo poeta giunto al canto del cigno, la cui opera precedente aveva messo al centro spesso i problemi e le vicissitudini della working class americana, specie quella di Detroit dove nacque nel 1928. Opera che gli ha fruttato importanti riconoscimenti come il Pulitzer nel 1995. È stato nominato anche Poeta Laureato degli Stati Uniti nel 2011.
Ragazzini che giocano a pescare
gamberi prima che “l’oscurità bisbigli
l’ultima parola”, la storia di una famiglia prende forma dalla descrizione
della loro casa, un commovente ricordo del nonno partito per mare e mai più tornato,
ricordi dei caduti della seconda guerra mondiale, un amore che sembra nascere nel modo più banale e
involontario, una fratellanza tenuta insieme da ciò che non si può condividere;
tutte queste cose si mescolano in un affresco dove la memoria ha grande
rilevanza e il passato sembra avere a che fare con uno “schema che include tutto quanto”.
In quella che è la prosa migliore
intitolata Isole, i rumori del porto di New York con i suoi
traghetti, i suoi rimorchiatori, le sue sirene, i suoi camion, i suoi martelli
pneumatici, finiscono per essere una musica che fa da “sfondo a una grande epica americana” che in fin dei conti è
un’epica della quotidianità, dove il ruolo di atto mitico fondante è attribuito
al lavoro.
Il tono è quasi sempre narrativo
e il cuore di questa poesia sembra
essere la denuncia, che mai assume toni
apocalittici o enfatici, della sostanziale assurdità dell’esistenza.
Ecco, Levine è un poeta che relega l’enfasi in cantina, il suo sguardo pacato,
però, sa essere corrosivo, e la sua
scrittura comunque è più forte dell’assurdo perché lo riveste di abiti
familiari. È la nostra condizione umana, che egli racconta, con levità, e anche
con ironia, come nella poesia Dell’amore
e altri disastri, dove un incontro tra un uomo e una donna è magistralmente
narrato dal punto di vista di lui che, se non trova lei particolarmente attraente,
è però tentato che la loro serata finisca “troppo
tardi”.
News of the world è il titolo originale della raccolta, uscita negli Stati Uniti nel 2009 ed è alla
fine un libro di ricordi e le notizie del mondo sembrano essere i nudi fatti
davanti all’inconsistenza della memoria che li rammemora. Ma questa
inconsistenza sembra minare questo sforzo e ricondurre tutto alla labilità di
un sogno, sebbene Levine si preoccupi sempre di essere aderente ai fatti e
oggettivo e non sia per nulla un poeta onirico, c’è una forza che gli sfugge e
lo sovrasta: quella dell’oblio. Ma cos’è la letteratura, e in particolare la
poesia, se non lotta contro la perdita
della memoria? Lotta destinata alla sconfitta perché come scrisse Leopardi: ”Tutto al mondo passa/ E quasi orma non
lascia.” In quel “quasi” c’è
tutta la tenacia di strappare qualche brandello di tempo alle potenze della
dissipazione. Opera che Levine compie, pur con evidente scetticismo.
2 commenti:
Bellissimo post. Grazie di aver parlato di Levine, che amo molto.
Grazie a te, Silvia.
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