sabato 26 giugno 2010
Bukowski è uno scrittore sporco, una canaglia per nulla politicamente corretta, nella scrittura ha messo tutto se stesso, con la sincerità e la schiettezza tipica di molta letteratura americana, puntando tutta la sua anima sul cavallo della prosa e della poesia, e uscendone vincitore dopo anni di gavetta, isolamento e delusioni.
Privo di valori, era forse un nichilista della peggior specie, del tipo” meglio di tutto un sonno briaco sul greto”; la sua prosa tende a quello che gli inglesi chiamano”indecent exposure”, con una tendenza a un grottesco iperrealismo, con i suoi libri ha raccontato un’America di emarginati, di diseredati, di ubriaconi, mescolando la disperazione con un’allegria e una vitalità che l’hanno fatto amare in tutto il mondo. Bukowski ha saputo scavare nella gran desolazione, con ricercata strafottenza: cos’è la volontaria sciatteria della sua pagina, se non un’arrogante dichiarazione di menefreghismo? Cos’è la sua prosa aggressiva e animalesca, se non la prova che il letterato al suo meglio altro non è che un delinquente mancato? Penso sia uno degli scrittori più antiborghesi che mi sia capitato di leggere, ha dato veramente quello”sputo in faccia all’Arte” di cui scriveva Henry Miller, consegnando alle stampe libri maleducati, male odorosi, a volte stracolmi di una dolcezza antica, pagana, di una consapevolezza incapace di divenire saccente, ponendosi molto onestamente sulla via de vizio, ostentando la sua mancanza di bon ton, con la certezza che nessuna maschera di sociale convenienza ha tanta nobiltà quanto un cuore messo a nudo.
Ha insegnato suo malgrado- nessuno è meno maestro di vita e di stile di Bukowski - che non si può fare letteratura con i buoni sentimenti, con le buone intenzioni, bisogna scendere nella fogna, a maggior ragione se si aspira al paradiso. Ha saputo anche raccontare il lavoro, la sua tragica ineluttabilità, la sua violenta imposizione, cantando la scioperataggine più efferata, di contro il mito tutto contemporaneo e borghese dell’efficienza. Sebbene abbia sempre lavorato, di lui si può dire che fosse nato per l’ozio, la lussuria, la deboscia, e molto onestamente ci ha mostrato che la letteratura non è per le anime pie, è una sporca guerra in cui si può rischiare di perdere la faccia, per preservare l’anima.
Da lui ci viene l’immagine di un perdente di successo, che a cinquant’anni suonati ha raggiunto notorietà internazionale, riuscendo a essere più amato in Europa che in patria, realizzando da reprobo il sogno americano, ironia della sorte, senza farsi schiacciare dai riconoscimenti, ha mantenuto fino all’ultimo la sua aria di dannato per scherzo.
Così in questo Shakespeare non l’ha mai fatto veniamo a sapere del suo viaggio in Francia e Germania, sul finire degli anni settanta, delle sue sconce e degradanti apparizioni televisive, che ne hanno fatto un caso, del rapporto con la sua giovane moglie, e, al solito, delle sue voglie per nulla segrete, del suo anticonformismo pigro e scandaloso. Essere se stessi è, infatti, lo scandalo che nessuna buona società ti perdona, così Bukowski da ingranaggio della pubblica amministrazione è diventato consapevolmente ingranaggio dell’industria culturale, senza però perdere la sua vocazione all’isolamento, alla strafottenza, senza recedere per un attimo dalla sua attitudine a una vita scostumata.
E’ un testo piacevole, un libro di viaggio scritto da uno che non amava viaggiare, che con la consueta avidità di vita lascia pulsare con semplicità alcune verità desolanti, che pure non appesantiscono mai il romanzo, che rimane una testimonianza biografica interessante. La naturalezza calcolata della scrittura di Bukowski, il suo umorismo crudele ma giusto, la sua saggezza di escluso, sono ancora una volta capaci di trasmetterci come un senso di liberazione: allora è vero, la vita è questa, un lavoro monotono, un’anima stanca, una via crucis in cui si smarrisce la propria anima, in cui non si ottiene nulla se non l’avvilita constatazione dell’umana indegnità.
Tuttavia, Shakespeare non l’ha mai fatto è un libro leggero, come sempre in Bukowski s’intrecciano ilarità e disperazione, un libro scritto forse da un uomo appagato e stanco, che con consueto mestiere ci tiene attaccati alla pagina, raggelandoci ogni tanto con le sue considerazioni amare sull’esistenza, verità dette di sfuggita, senza darci peso, che hanno la potenza di aforismi ben calibrati. Le poesie finali sono dei divertissement senza molta sostanza, dei giochi per ingannare il tedio, ma non importa, la voce di Bukowski nella sua autenticità incrina ancora le nostre certezze, ci salva da noi stessi , dalle nostre granitiche illusioni di uomini- massa, così la grande truffa della letteratura, con il suo “profumo di immortalità", ancora una volta può realizzarsi; Bukowski infatti in ci ha preso in giro, era un “bacchettone” travestito da satiro, e proprio in virtù di questa contraddizione la sua pagina è così vitale, o forse anche questa confessione è un altro imbroglio, destinato a confonderci ulteriormente, per far trionfare quella menzogna chiamata letteratura.
8 commenti:
Di Bukowski ho letto, diversi anni fa, "Factotum" e ricordo, a distanza di tempo, qualche immagine, quella di una stanza d'albergo, di un letto sfatto, di una finestra. Mi piacque Bukowski per la sua fragilità mascherata da cinismo. Ne avvertii l'umanità. In quello stesso periodo lessi anche Kerouak e rimasi sorpresa dalla finezza della scrittura e dalla rappresentazione delicata della dimensione randagia, così ricca di umanità e non solo di disperazione.
Non ho mai letto Bukowski ma quello che scrivi suona come una risata, e forse me ne innamorerò. Mi sa che l'ho già fatto, in qualche mia esistenza parallela. Innamorarmi perdutamente di un bacchettone travestito da satiro, intendo.
Hai ragione: Bukowski era un finto cinico, tutto sommato un tipo sensibile.
A me Kerouac non piace molto, a parte qualche poesia. Ne ricordo una, bellissima, su Rimbaud.
Elena, c'è una gran risata in tutta l'opera di Bukowski, una risata consapevole. Fra i suoi romanzi i miei preferiti sono Panino al prosciutto e Post office.Anche Factotum è bello, e non posso dimenticare il primo che ho letto: Taccuino di un vecchio sporcaccione.
Bellissimo post
Grazie Alfio.
Secondo me tu non ha capito nulla dello scrittore...la tua è una mera considerazione soggettiva senza alcun valore umano...
Ok, anonimo. Accetto la critica. Ti faccio solo notare che se una considerazione è soggettiva è anche umana. Per il resto fammi sapere che ne pensi tu.
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