Romàns – Pier Paolo Pasolini

domenica 1 maggio 2016







Questa lettura di Pier Paolo Pasolini, Romàns, libro ripubblicato nel gennaio  2016 in allegato al Corriere della Sera, è stata una sorpresa.  Non mi aspettavo molto in verità, trattandosi di una raccolta postuma di racconti giovanili dell’autore, risalenti alla fine degli anni Quaranta e ai primi anni Cinquanta ma in sostanza  il libro mi è piaciuto. Il racconto eponimo, considerato da parte della critica meramente una costola del suo romanzo Il sogno di una cosa,   è interessante ma forse  è il meno bello. Parla di un prete che arriva in un paese del Friuli, ed è tormentato da difficoltà emotive e lo stesso successo delle sue prediche fra i paesani lo inquieta. È un racconto che sembra come incompiuto e che si regge sulla descrizione di tipi popolari e sulle inquietudini di un prete che si trova a dover agire in un contesto politicizzato (i paesani sono quasi tutti comunisti). Il realismo è il tratto saliente del racconto, efficace nella ricostruzione delle dinamiche interne alla popolazione di mezzadri e contadini. Tuttavia è l’interiorità del protagonista a essere centrale.   Il prete è raccontato nella sua introversione, nella sua debolezza, nella sua incapacità di interpretare la realtà.  Le motivazioni di questa crisi interiore del prete sono lasciate nell’ombra da Pasolini (s‘intuisce in realtà un turbamento omoerotico). Nell’ostracismo che il prete sente su di sé (soprattutto da parte  dei suoi superiori ecclesiastici) s’indovina quello che Pasolini subirà nel corso della sua vita pubblica.

 Il secondo racconto, Un articolo per il «Progresso», verte sulle stesse tematiche sociali, è più breve, più semplice e più compatto e  ha una bella conclusione a differenza del primo in cui  il finale è un po’ vago. È un racconto sulla miseria di queste popolazioni friulane dell’immediato dopoguerra, in cui le dinamiche politiche di allora (lo scontro fra comunisti e democristiani) vengono messe in luce. La brevità del racconto è un pregio anche se in questo caso le psicologie dei personaggi sono appena accennate.

È nel terzo racconto, Operetta marina, comunque, che Pasolini dà  il meglio di sé, affrontando una vicenda autobiografica in cui il sogno e il mito del mare sono centrali. Mare che è assente (il racconto parla dell’infanzia di un personaggio che s’indovina essere, man mano che procede la lettura, Pasolini stesso, la cui infanzia è passata fra Cremona e Sacile) ma rimane come sogno letterario (l’Odissea, Salgari) e viene vagheggiato nelle illustrazioni che capitano sotto gli occhi del bambino.  Aldilà della storia è nella scrittura che il racconto convince. Sospesa fra elzeviro e prosa poetica essa, infatti, ha una complessità, una plasticità, una raffinatezza  notevoli.  S’intuisce una grande maturità stilistica che tende alla poesia e la ricostruzione dei luoghi raccontati è precisa nei minimi particolari topografici.

 Nel complesso Romàns è un bel libro, dove Pasolini mostra una grande precisione nella descrizione delle psicologie (i personaggi sono sempre credibili) e la scrittura è ben calibrata. I primi due racconti rappresentano il tentativo di Pasolini di raccontare realisticamente il proprio tempo, nelle sue temperie sociali e politiche, il terzo ha una dimensione più personale, onirica, è tutto incentrato sui movimenti della scrittura. Il metodo di rammemorazione del passato ha ascendenze proustiane. Arrivo a dire che stilisticamente è una delle opere più originali e riuscite di questo autore, pur avendo qualche deficit sul piano puramente narrativo.

Spesso si dice che la narrativa di Pasolini sia molto meno interessante del resto della sua opera. Io non condivido questo giudizio. Questi testi giovanili mi hanno confermato la grande duttilità stilistica di Pasolini, la sua attenzione al dettaglio e alle sfumature psicologiche, e mi confermano nella mia idea: Pasolini narratore è sottovalutato.

4 commenti:

Mia Euridice ha detto...

Mi piace l'idea che Pasolini sappia sorprendere ancora.

Ettore Fobo ha detto...


@Euridice

Sì, è incredibile. Lo leggo da 25 anni almeno e ancora non ho esaurito il suo mistero. Ho preso diversi volumi che mi mancavano della collana del Corriere e sono convinto che mi stupirà ancora.

Elena ha detto...

Quanto è interessante. Uno di quegli artisti e intellettuali che non "finiscono mai", c'è tanto di quel materiale, e ogni articolo, ogni intervista ogni poesia o reportage, o film o romanzo, o quadro (e quante cose ha fatto!), perfino ogni fotografia in cui è ritratto, è unica, nel bene e nel meno bene, e va analizzata più e più volte.
Una vita non basta.

Ettore Fobo ha detto...

@Elena

La sua opera è davvero sterminata. Dal teatro alla narrativa, dal cinema alla poesia, dai saggi alla pittura, come hai ricordato tu e altro ancora. Per me fu decisiva, quando ero ragazzino, la sua interpretazione della società dei consumi. “Scritti corsari” è uno dei quei libri che insegnano a pensare.