sabato 1 ottobre 2016
Quella di Kikí Dimulà è una poesia che trae probabilmente dalle sue assonanze con il surrealismo quell’aria di gioco beffardo sospeso fra la birichinata di una bambina saggia e l’azzardo di un giocatore che ama il rischio. È una poesia che si fonda sulla percezione di un oblio onnipossente - presente fin nell’enigmatico titolo della raccolta in cui si annuncia una sua ipotetica “adolescenza”- sulla fragilità del ricordo, sulla necessità di trasformare anche la quotidianità più avvilita in epifania misteriosa.
È una poesia densa, magmatica,
sferzante di paradossi, sorprendente per la sua ricchezza tematica ed
espressiva. Ogni verso è un precipizio che ci fa osservare il mondo nella sua
dimensione meno familiare e più sconcertante. La parola così denuncia la sua
lontananza dal dettato comune, articola una conversazione fra individui in nome
dell’assenza e quest’ultima, insieme a
“lontananza”, è parola illuminante per
questa poetessa, che avverte che, se tutto è prossimo a evaporare, anche la durezza diamantina del verso si riscopre
liquida ed evanescente.
Poesia autunnale dai colori
spenti, ci ricorda la traduttrice Paola Maria Minucci, diversa sia dalle
solarità di un Elitis, che dalla lezione morale e politica di un Ritsos o di un
Seferis; poesia di sensazioni che divengono subito immagini, come in preda al
vortice dell’istantaneo, ricca di metafore ardite, di costruzioni linguistiche fatte di suoni,
echi, assonanze che, ci avverte la stessa traduttrice, si perdono una volta tradotte.
Si costruisce così un linguaggio
poetico di straordinaria originalità e lucidità, la voce di Kikí Dimulà pare
subito al primo sguardo unica, inimitabile, in fondo né gioiosa, né triste, né
colorata, né opaca, inventa i propri colori e i propri stati d’animo come
meccanismi di una placida deriva onirica.
Potente invenzione quella della
poetessa greca, nata ad Atene nel 1931, che scrive di sé nella poesia Trasgressioni: “ Mi espando e vivo/ illegalmente/in aree che gli altri/ non riconoscono
reali”. Dichiarazione questa universalmente
valida per quella strana genia di persone che, volenti o nolenti, hanno dovuto
indossare la maschera del poeta. La poetessa si muove così in dimensioni anche
linguistiche non riconosciute come reali, è la clandestinità stessa della
parola poetica a muovere i suoi sogni, da qui la grande, vagamente spiritata
originalità del suo versificare sull’orlo dell’oblio. La sua è dunque la
creazione di una lingua propria, che in questa bella edizione Crocetti del
2002, grazie al lavoro della traduttrice, brilla di molteplici sfumature e ci
ricorda che la potenza numinosa del verso non è disgiunta da una certa
sobrietà, e che, mentre si svolge
l’apocalisse semantica più articolata, possiamo anche sorseggiare un tè.
Libro fondamentale, questo L’adolescenza
dell’oblio, di una poetessa forse
poco nota in Italia (ma quale poeta non lo è?) ma che a me è parsa decisiva. Ancora una volta la poesia,
percepita misteriosamente come antiquata, ci mostra quale sia il linguaggio segreto delle strade e delle città contemporanee, ci illumina circa il mutismo delle nostre
comunicazioni digitali o meno, arricchisce l’idea che noi ci facciamo della
realtà, ci restituisce qualcosa come la consapevolezza della parola. È
indubbiamente, come ci ricorda Bonnefoy, una parola che sogna quella poetica, ma
sognando ci dice cosa conta nel vuoto dell’universale vaniloquio ( "dialogo fra
sedie” lo definiva Gottfried Benn), ci mostra l’oro rimasto impigliato nelle
maglie dell’oblio.
Pochi poeti hanno questa
consapevolezza, che oso definire magica,
quanto Dimulà, che conosce il colore
delle parole, quasi come Rimbaud che
inventava o scopriva il colore delle
vocali, conosce la loro potenza di specchio dell’esperienza umana e di oracolo,
la loro evanescenza sorella dell’oblio e mescola queste nozioni per creare una
pagina in cui la vertigine è alleata con un solido e disincantato realismo.
Stupefacente la misurata allucinazione che abita queste poesie, la facilità con
cui Dimulà crea metafore e immagini sorprendenti che sembrano altresì germinare
spontaneamente. Ci vogliono naturalmente, come sempre e più di sempre, diverse letture per avvicinare il mistero di una
poesia in così strenua lotta con il senso comune.
Qui dove tutto è polvere, spazzarla via consiste nello “sbattere fuori la vita interiore” e se
tutto si sbriciola allora scopriamo che è una ”Pietosa
parola l’Intero”. Tutto è frantume, polvere, cenere, disfacimento.
“Chiamo la cenere
con il suo nome in codice:
Tutto. “
Così l’oblio vince sottomettendo
l’universo intero, è proprio la chiave
che fa girare ”la serratura dei
sentimenti”, motore del dire poetico e sua destinazione aldilà di ogni
illusione di eternità.
2 commenti:
Si vorrebbero avere tempo e forze per conoscerli tutti, i poeti del mondo. Ma si è grati anche se qualcuno li conosce per noi e ce li racconta così: ce li avvicina in modo che sembra di conoscerli davvero e magari poi lo si farà. Grazie quindi.
@Giovanna
Sì, il numero dei poeti che meriterebbero di essere letti è enorme. Con la mia opera di divulgazione miro principalmente a far conoscere, per quanto posso, alcuni autori che ho avuto la fortuna di incrociare. Grazie Giovanna. Ciao.
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