Da Cronache e altre poesie- Elio Pagliarani

mercoledì 29 aprile 2009

In casa, adesso, faccio la sarta
perché a Milano bisogna lavorare
-il tram, se no, chi ce lo manda avanti ?-
e gli occhi rossi sono più lucenti
ma da grande farò la cantante,
perché a un certo punto bisogna
calmare le vene che fanno crescere il collo,
poi viene la tiroide e gli occhi grossi,
e poi è la mia grande passione
e poi voglio dormire la notte
di colpo, e parleremo di cose pulite
e sarà un pezzo che ho finito di tremare
se un uomo in tram mi fruga, con le mani rozze,
e saprò bene dove porta un bacio.

Lo so, dobbiamo stare molto attente
che non ci venga una pancia grossa.

1952

La ribellione delle masse- José Ortega y Gasset

sabato 25 aprile 2009

Pubblicato nel 1930,questo testo di Ortega y Gasset ha fornito i primi strumenti ad altri intellettuali per analizzare uno dei fenomeni più significativi e peculiari del Novecento:il progressivo formarsi di grandi agglomerati urbani e il susseguente avvento al potere delle masse.
Si tratta, scrive Ortega y Gasset, di una violenta trasformazione della società, che vede protagonista l'uomo medio, l'uomo massa,colui che si sente come tutti gli altri, e in questo trae la sua forza,in questo mette tutta la sua volontà di potenza,generando con la sua apparizione sulla scena della storia uno dei più clamorosi trionfi del conformismo e causando perciò un declino, paragonabile solo al periodo del Basso Impero,con l'imbarbarimento e l'impoverimento dei costumi, con la lingua latina ridotta a una sua caricatura semplificata, e con il dilagare di stupidità e volgarità. Per Ortega y Gasset viviamo un periodo analogo, in cui le minoranze un tempo elitarie soccombono sotto l'urto di questo tipo di umanità irresponsabile, viziata, che non è legata ad alcuna classe sociale, ma si infiltra in tutte, determinando il corso degli eventi.

Il risultato è che l'Europa è diventata il regno di un grossolano dispotismo, di cui il fascismo è uno degli aspetti, all'insegna della volgarità e della violenza " retorica del nostro tempo ", con l'affermarsi di un'omogeneità che annulla le differenze e dunque con la progressiva scomparsa di quella "varietà di situazioni "che costituivano la ricchezza del continente. All'orizzonte il forsennato statalismo, l'improvvisa crescita demografica, hanno generato il dissolversi di una vera vita individuale, e il collettivo ha instaurato il suo regime spesso brutale, in ogni campo, dalla politica, alla cultura, alla scienza.La tesi del filosofo spagnolo nasce da un'idea della vita che egli stesso definisce aristocratica, l'umanità è, bisogna dire un po' schematicamente, divisa nelle categorie dei nobili, coloro che esigono molto da se stessi e per questo scontano una cronica ma salutare insoddisfazione, e le gran moltitudine di coloro che invece, assolutamente paghi di , non ambiscono in nessun modo a migliorare se stessi e sono inerti davanti all'esistenza che accettano in toto. Non riconoscono nessuna istanza superiore, sono felici di essere come tutti gli altri,in una sbornia di conformismo, e si lasciano semplicemente trascinare dalla corrente.

Quest'ultima categoria di uomini sono nella visione del filosofo spagnolo sempre sull'orlo di commettere qualche barbarie, animati da uno spirito gregario che cela una profonda distruttività ed essendo oramai arrivati al dominio, anche grazie alla tecnica che ha aumentato prodigiosamente le loro possibilità di vita,rappresentano un grave pericolo per la società occidentale. Oggi alcune delle idee del filosofo spagnolo sono forse diventate dei luoghi comuni, chiunque è in grado di rendersi conto dell'omogeneità degli stili di vita su scala planetaria, della fine delle differenze peculiari che, soprattutto in Europa, caratterizzavano positivamente la società di un passato anche recente, ma per gli anni venti questi temi se non nuovi, erano ancora lontani dal divenire consapevolezza diffusa; l'ossessione di Ortega y Gasset sta nel tramonto delle elite, travolte da quest'onda di umanità volgare e irresponsabile, convinta di poter fare a meno di loro.

Un altro dei pericoli contro cui Ortega y Gasset mette in guardia l'Europa consiste nella perdita di memoria storica, che impedisce quella continuità fra passato, presente e futuro che costituisce l'ossatura di ogni vera civiltà. Tutte tesi oggi consolidate, ma lo stile di scrittura del filosofo, avvincente e chiaro, rende vive alla nostra attenzione, in un'epoca in cui la massificazione, con la conseguente omologazione dei comportamenti, ha raggiunto forse il punto di non ritorno.
Una particolarità dell'epoca contemporanea, anch'essa evidente, è la sicurezza di trovarsi in un periodo in cui le " magnifiche sorti progressive", denigrate con addolorato sarcasmo da Leopardi, sono una certezza indubitabile; Ortega y Gasset osserva come la nostra sia un'epoca che si considera il vertice di tutti i secoli, e per questo motivo tende a dimenticare gli altri.

Questa sicurezza nasce dalla banalità del fatto, scrive il filosofo, evidente a tutti, che un'automobile, allora il simbolo della modernità tecnologica, sia destinata a un continuo miglioramento negli anni, e in questo miglioramento puramente tecnico, l'uomo massa vede realizzarsi l'utopia di un mondo in costante e vertiginoso progresso. Così da una parte la tecnologia fornisce a un'umanità impreparata quella ubriacatura di volontà di potenza che la caratterizza, dall'altra lo spazio per una reale individualità si riduce sempre più, in un mondo sconvolto da una crescita demografica improvvisa, ed è con vero orrore che Ortega y Gasset nota che nel breve volgere di un secolo (1800-1900) la popolazione dell'Europa sia più che triplicata.
Un'altra delle caratteristiche che rendono odioso l'uomo massa agli occhi del filosofo è che egli non accetta nulla al di sopra di e, a differenza del nobile, che persegue sempre un obiettivo posto al di fuori della propria individualità, egli si abbandona all'irresponsabilità e al nichilismo.

La prospettiva è davvero inquietante: " Chi non sia "come tutto il mondo ", chi non pensi come" tutto il mondo" corre il rischio di essere eliminato" e in queste parole riecheggiano analoghi pensieri di Nietzsche. Pare che per il pensatore spagnolo nulla si salvi da questo processo di omologazione,ed anche la scienza, motore delle trasformazioni degli ultimi secoli, lungi dal rappresentare ancora l'espressione di un'elite,è in mano ad uomini che in più passi dell'opera egli definisce barbari.La specializzazione esasperata di ogni ramo del sapere, che ha fatto smarrire una visione d'insieme, è sintomo di questa discesa del mondo occidentale verso una dimensione primitiva: la massa gode dei prodigi della tecnica, senza interesse verso i principi scientifici che li hanno reso possibili, indifferente alle complessità che rendono la vita una costante sfida e un pericolo. L'apatia e l'arroganza sono le malattie storiche susseguenti alla ribellione delle masse che, non accettando più di essere dominate dall'elite, hanno invaso con la loro prepotenza ogni sfera della vita sociale, indebolendone il tessuto. Se "Ogni vita è lotta sforzo, per essere se stessa", l'uomo volgare fugge da questa lotta, non accetta le difficoltà, e ha ricevuto la civiltà come un dono che non è in grado di apprezzare, convinto com'è che tutto sia naturale, inconsapevole del fatto che invece tutte le conquiste umane siano il frutto di un duro lavoro, e che ogni progresso sia costantemente in pericolo,e ogni periodo storico minacciato da forze regressive.

In tutto questo l'Europa ha perso la sua egemonia a causa della crisi di quei punti di riferimento storici e morali, che la caratterizzavano, e nessuno, gli Stati Uniti, l'Unione sovietica, hanno preso realmente il suo posto e il mondo è abbandonato a una pericolosa incertezza. Per il filosofo spagnolo è ancora l'Europa, di cui egli auspica l'unificazione,il continente che deve, per compito storico, guidare il mondo, ma la crisi morale in cui versa, a causa dell'imporsi di un tipo d'uomo,che disprezza ogni dovere e si sente solo " soggetto di diritti illimitati",le impedisce di assolvere questa funzione.Lo scopo di questa umanità che si è imposta è schiacciare ogni tipo di uomo superiore, eliminare ogni rispetto per l'intelligenza, e abbandonarsi a un senso di onnipotenza imbecille. La morale di cui parla il filosofo è"sentimento di sottomissione, coscienza di osservanza e obbligo". Senza questi valori si afferma soltanto una morale negativa che è nient'altro che la forma vuota di quella originaria.

Lo sforzo di Ortega y Gasset, la sua analisi impietosa, giungono però a un punto morto, se l'elite sono scomparse dall'orizzonte della storia, si può parlare di dittatura dell'uomo medio e deplorarne gli effetti, ma la questione rimane insolubile. La scomparsa dell'elite è un effetto perverso della democrazia, la ribellione delle masse il suo corollario, l'anarchia che il pensatore
sentiva nell'aria era effettivamente il terreno su cui stava germogliando il nazismo.

Oretega y Gasset vede davvero nell'unificazione dell'Europa l'unica possibilità per evitare il collasso della democrazia, o la sua caricaturale implosione demagogica.
Nell'ultime parole del libro si annuncia in effetti l'avvento di un'era di totalitarismi che solo successivamente saranno temprati dal sorgere di un nuovo liberalismo.
L'Europa farà vivere allora le sue differenze in un contesto di unificazione dove però queste stesse differenze saranno valorizzate. Questa è l'intima certezza e la speranza dell'ultimo capitolo del libro.

E' nell'incontro con se stessi che la storia continua ad essere feconda, ed è nello smarrimento, paradossalmente, scrive Ortega y Gasset che l'uomo ritrova se stesso, abbandonando, "retorica, posa,intima farsa."e raggiungendo la consapevolezza che tutta la vita è problematica, come un naufrago aggrappandosi a questo "tragico sguardo perentorio"al di là di tutte le "idee fantastiche"
che impediscono di vedere la realtà del proprio caos e solo da questo smarrimento, da questa scoperta, può nascere un sincero anelito all'ordine.

Un "io" non può mai essere un grand'uomo- Stephen Spender

sabato 18 aprile 2009

Un "io" non può mai essere un grand'uomo.
Questo grande famoso è debole
agli amici assai noto per la sua debolezza:
di cattivo umore a colazione, gli secca di essere contraddetto,
il suo unico piacere pescare negli stagni,
l'unico vero desiderio-dimenticare.

Procedendo dagli amici verso il sè composito,
l"io"centrale è circondato dagli "io che mangio"
"io che amo","io che mi arrabbio","io che evacuo"
e il grande io, piantato in mezzo a lui
non ha nulla a che spartire con tutti costoro,

non può rivendicare mai il suo vero posto
nella quiete della fronte,nella calma dello sguardo.
Il grande "io" è un intruso sfortunato
che litiga con l"io che sono stanco",l"io che dormo"
e tutti gli altri "io" che anelano a un "noi che moriamo".

(traduzione Alfredo Rizzardi)

Poesie-Stephen Spender


Stephen Spender è uno dei nomi più prestigiosi della poesia inglese del Novecento e qualche anno fa per Mondadori è uscita una sua interessante raccolta di versi, che partendo dagli anni trenta e arrivando fino a tutti i sessanta, disegna la sua parabola artistica in maniera efficace.Alla fine del volume troviamo anche uno scritto critico di Spender stesso sulla scrittura in versi, in cui egli esemplifica il proprio processo creativo, mostrando la tensione conoscitiva che lo anima.

Nella prima raccolta intitolata Preludi il poeta si sofferma sulla marginalità di certe esperienze umane, dai carcerati ai disoccupati, ossessionato dal loro vuoto che quindi, per adesione empatica diviene anche il suo, in un mondo che profeticamente Spender sente sospeso fra due guerre. Non c'è possibilità di vera grandezza umana e l'io sbriciolato si accontenta di desiderare un 'unità che, pare dire il poeta, solo la morte può dare.La fragilità dell'esperienza umana è così raccontata con una pietà e stilisticamente con un garbo che però rischiano di rendere talvolta le poesie un po' asettiche.Più spesso il poeta raggiunge una splendida sintesi di sentimento e intelletto, lasciando dei versi indimenticabili, come quelli della poesia Doppia vergogna, contenuta nella raccolta Un mondo stampato in cielo, dove sono le parole più gentili ad essere " quelle più affilate di lame" e l'incapacità di amare è stigmatizzata come una colpa.In altre raccolte il tema della guerra si mescola al desiderio di possibile un riscatto di marca comunista, finché l'autobiografia non entra in scena con la commovente Elegia per Margherita, dove Spender tocca il vertice di un lirismo funebre, che forse solo Auden con Blues in memoria ha raggiunto con uguale intensità.L'agonia della cognata è descritta attraverso il sentore del lutto imminente, cui partecipa la natura intera,il cosmo si spezza nel lamento funebre e il poeta ha il compito di riunire i pezzi infranti e vi riesce, dimostrando che anche il dolore, divenendo esperienza artistica, può essere alleviato dal discorso che lo eleva a condizione umana fondamentale, e come tale ricca di significato.Tutta la realtà del mondo è per Spender dicibile e come tale può essere redenta e purificata dalle scorie del discorso comune che tende sovente ad appiattirla in stereotipi di comodo. Attraverso la complessità dei versi invece il pensiero si perde e si ritrova nel suo mistero profondo, epifania di una ragione che s'interroga costantemente sul senso degli avvenimenti.Così nell Elegia per Margherita il ricordo della morta supera la morte stessa,sebbene di consolatorio questa poesia non offra molto, se non appunto la coerenza con cui tutto viene analizzato, e che fornisce così lenimento al dolore,per cavare un anelito di speranza che riesca ad attenuare la "misera e disperante turpitudine" del lutto.
L'infanzia della figlia è la rivelazione di un amore infinito, sebbene nella stanza ogni giocattolo sia "un nervo scoperto"nella consapevolezza della fragilità di questo stesso sentimento. Ed è proprio nell'amore, suggerisce Spender,che la travagliata esperienza umana trova il suo riscatto,e se in essa vi è una pienezza si trova nelle "passioni più reali"che vincono la desolazione con il loro afflato che in Spender non è mai mistico, ma calato pienamente in una realtà di cui il poeta non tace mai le asperità.L'amore è quella realtà capace di " benedire ogni cosa e ognuno ", ma altrettanto potente la morte" attesta il fuoco al centro del suo sguardo " nella poesia dedicata a Dylan Thomas, incorona il respiro nella dolente preghiera di Elegia per Margherita. Faticosa è la consapevolezza, un barlume di luce è una conquista quotidiana, e anche se il corpo" sarà buttato via come l'elitra dello scarabeo" vi è tuttavia"un'immutabile parola" che dà senso al divenire oblio di ogni cosa, sebbene in questa parola riecheggi tutta l'angoscia di chi, faticosamente, cerca una giustificazione morale al proprio agire, e la trova soltanto nella lucida "testimonianza di , dell'amore, della morte"realtà che costituiscono il fulcro del discorso poetico di Spender.L'uomo privato dell'essere cui anela può trovare magari diletto in un paesaggio, fino a desiderare di fondersi in esso, ma la totalità gli è preclusa in un 'epoca"ignorante e tragica" e sconvolto dalla scoperta della propria caducità" Giacché già ci si è dimenticati di noi sulle rive stellari "questa consapevolezza gli restituisce "un mondo già morto", a significare che la lontananza delle stelle è il segno di una cosmica indifferenza alle vicende umane.Non c'è nessuna divinità a vegliare su i nostri destini,nessuna realtà metafisica può consolare l'uomo della sua carenza ontologica, che spesso in Spender è sentita come una mutilazione.Uscire dal " caos della mia tenebra"è il compito che si impone nella sua poesia, per raggiungere"un più lucido giorno"dove però il buio e la luce trovino la loro necessaria riconciliazione, una sorta sintesi dialettica degli opposti, capace di ritrovare unità, ma così diventa difficile separare la vita dalla morte, l'essere dal non essere, e tutto è destinato ad una confusione inestricabile.In questa poesia i grandi temi della vita sono evocati con una sorta di tranquillità che vuole accettare tutto e restituire il caos alla sua comprensibilità, costantemente alla ricerca di un ordine che" ha per dogmi un oggettivo amore".
Il senso delle cose è un baluginare che può essere colto solo nella più profonda tensione intellettuale e sospeso fra amore e morte il poeta è " un profeta in cerca di lingue di fuoco"che nella "gran tempesta del mondo"cerca di unire i pezzi di un puzzle, di cui il significato complessivo gli sfugge, tentando traverso il canto di guarire " le ferite che questo tempo dimentica...e assai meno trascende."