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Oltre il minimalismo - la poesia di Raymond Carver

martedì 5 maggio 2020






Mattina, pensando all’impero

Premiamo le labbra sull'orlo smaltato delle tazze
e sappiamo che un giorno questi grassi
sprigionati dal caffè fermeranno i nostri cuori.
Gli occhi e le dita si abbassano su argenteria
che non è argenteria. Fuori dalla finestra, le onde
si abbattono sulle mura sbrecciate della città vecchia.
La tua mano si leva dalla tovaglia ruvida
come per una profezia. Tremano le tue labbra...
Vorrei dire al diavolo il futuro.
Il nostro futuro è ben nascosto nel pomeriggio.
E' una strada stretta con un carretto:
il conducente ci guarda, esita,
poi scuote il capo. E intanto
rompo tranquillo l'uovo di una bella gallina livornese.
I tuoi occhi s'annebbiano. Ti volti e guardi
sopra i tetti, verso il mare. Perfino le mosche riposano.
Rompo l'altro uovo.
Di certo ci siamo sviliti l'un l'altro.
Raymond Carver

***
da “Orientarsi con le stelle” – Raymond Carver – traduzione di  Riccardo Duranti e Francesco Durante- minimum fax – aprile 2013
***
La poesia di Raymond Carver è un’avventura incredibile, un viaggio in cui si rischia di acquisire nuovi occhi sul mondo e partecipare di una visione che è tanto vasta da rendere l’appartenenza al minimalismo del suo autore una questione perlomeno complessa. 

Dal mio osservatorio i suoi stessi racconti, alla luce di questo straordinario libro, Orientarsi con le stelle, tradotto per minimum fax da Riccardo Duranti e Francesco Durante, paiono solo un riflesso della potenza creativa qui espressa. Si tratta della proposta dell’intera opera poetica di  Carver, in un’edizione corposa di circa 500 pagine, priva, per ovvie ragioni,  del testo a fronte.

Sono versi in cui il quotidiano si specchia nella storia o meglio la storia stessa si rivela intessuta di piccoli gesti, atti insignificanti, momenti non eroici ma ricchi di quella umanità che è la cifra stilistica del suo autore, il quale si sentiva poeta prima ancora che narratore, cosa non inusuale per chi viene visitato da quella energia impersonale che chiamiamo poesia ma difficile da spiegare ai più che prediligono la narrativa forse per avere qualcosa di più stabile da stringere fra le mani: una storia.

Nella poesia di Carver le storie si moltiplicano e ci disorientano, i tempi e gli spazi s’intersecano, mostrano connessioni segrete; la moschea di Jaffa, Rodi, i luoghi della provincia americana, la Spagna, materia di luce, di Machado, la Parigi di Balzac, l’antica Macedonia di Alessandro Magno, l’Ellesponto di 2500 anni fa, la Persia di Serse,  la Zurigo di Joyce…  si scoprono fluttuanti nello stesso caleidoscopio di impressioni, momenti di una stessa ricerca espressiva.

Prendiamo la poesia qui riportata, per esempio, questa Mattina, pensando all’impero, dove sin dai primi versi aleggia la consapevolezza della morte, consapevolezza che coglie il poeta appena sorseggia il caffè mattutino da tazze smaltate. Poi un gesto come toccare le posate si trasforma in un atto che sembra profetico, una mano che dalla “tovaglia ruvida” si alza misteriosa come per ammonire.  Un tremore come d’inspiegabile vibra sulle labbra della donna, il poeta comincia a fantasticare sulla propria vita e le vede allegoricamente come un carretto guidato da un conducente che scuote la testa, presagio di un destino di rassegnazione all’ineluttabile.

Gesti ritmici che si riecheggiano, gesti come rompere un uovo, voltare la testa, guardare il mare, gesti che rintoccano in un dialogo muto per una coppia che si rivela negli splendidi versi finali, che forse richiamano  i primi, nel pieno di una crisi che prelude alla fine della loro relazione. “Di certo ci siamo sviliti l’un l’altro”… Congedo limpido, agghiacciante e forse sublime nel modo di una semplicità antiretorica. Con tocchi lievi Carver fa gocciolare parole sulla pagina come rivelazioni della sostanziale misteriosità del quotidiano.

Tutto questo straordinario libro è un viaggio, nella realtà, nella letteratura: vaghiamo dentro la mente di Bukowski, per esempio, di cui Carver realizza un monologo, perfetta sintesi del Bukowski – pensiero, che sembra scritta da Bukowski stesso, in una mimesi perfettamente riuscita oppure pensiamo all’abbozzo cinematografico di un momento della vita di Balzac, o la rievocazione di Baudelaire fatta in compagnia di un becchino sulla tomba parigina del poeta francese, oppure ancora alla straordinaria epopea di Machado raccontata nei versi di Onde radio.

Di questa  poesia in particolare mi risuonano questi versi, neanche fra i più potenti :

E così mi guardavo attorno e prendevo nota di ogni dettaglio.
Poi mi son seduto al sole con il libro, nel mio posto preferito.
vicino al fiume, da dove si vedono le montagne.
E ho chiuso gli occhi e ho ascoltato il rumore
dell’acqua. Poi gli ho riaperti e ho cominciato a leggere[…]

Ecco come Carver descrive la lettura dei versi di Machado all’aperto. Chi scrive condivide un’esperienza del genere, leggere Machado fra un boschetto e un fiume, qualche primavera fa laddove la luminosità del poeta spagnolo s’impose come nudo e potentissimo dato sensoriale.

In questo corposo, intenso libro, Carver illumina su cosa sia la sintesi poetica - poesia ha detto qualcuno è “arte della sintesi”- realizzando una fusione di elementi eterogenei nell’alambicco di una palingenesi psichica del segno, restituito al dinamismo della fantasia elaborante e distolto dell’impasse della mera comunicazione di un senso univoco. Tentativo di esprimere il sé profondo aldilà della sua caricatura sociale.
Prendiamo per esempio la poesia Caucaso, un romanzo: dove pochi dati sono sufficienti per tratteggiare un’epopea che avrebbe impegnato un romanziere in un romanzo- fiume. Tutto questo per rivelarci negli stupendi versi finali la natura “breve ed effimera” di ciò che noi chiamiamo la realtà.

 Una poesia come Il portafoglio, con i suoi sottintesi alla Borges, gli oggetti che sopravvivono alla nostra morte, continuano a esistere anche quando i proprietari sono scomparsi, ha una sua peculiarità biografica (è il portafoglio del padre appena morto del poeta)  ma al tempo stesso una universalità sconcertante, scava nelle illusioni di un padre,  che sono poi  quelle di tutti:  “Sudiamo e risparmiamo tutta una vita /solo per scavarci una fossa poco profonda”, come nei versi di Jim Morrison. Oppure prendiamo una poesia come I vicini dove l’orrore è all’ordine del giorno, è una banalità e la follia una campagna costante anche nelle vite apparentemente più normali.

Nella poesia Il Giardino la poesia rivela la sua essenza: luogo principe di una moltiplicazione degli spazi e dei tempi;  così vaghiamo, dalla Spagna  di Cervantes alla Russia di Tolstoj, dalla battaglia di Lepanto alla Lipsia di Goethe e Beethoven. Divagazioni spaziali, temporali, deterritorializzazioni che aprono orizzonti, eterotopie che fondano una diversa identità, ibrida e multiforme.

Dal mio punto di vista, se c’è un limite, è nell’autobiografismo a volte (rare volte in verità) troppo accentuato, ma riconosco che questo è l’humus culturale della letteratura americana, soprattutto dalla confessional poetry in poi. Perché i poeti non esprimono se stessi anche quando credono di farlo ma alludono enigmaticamente all’essere preso nella sua interezza, a dispetto di un se stessi che è solo una vacua parvenza, un’evanescente porzione del tutto, una pericolosa illusione. “Ho perso memoria dell’inutile io” chiosa genialmente Mandel’štam.

 Qualche altra volta il narratore prende il sopravvento sul poeta e indulge in dettagli pleonastici. Questo accade stranamente con le poesie dell’ultimo periodo dalla raccolta Blu oltremare a Nuovo sentiero per la cascata, soprattutto, nell’ultima.

Grande poeta comunque Carver dimostra di esserlo a più riprese in queste circa 500 pagine in cui è raccolta la sua opera completa in versi; un poeta capace come pochi di sintetizzare la materia eterogenea del quotidiano  con limpidezza visiva e con capacità di cogliere aforisticamente la vividezza del reale, fra lirici scorci paesaggistici  e oracolare saggezza da membro ispirato della Middle Class americana.

Forse il linguaggio colloquiale è per qualcuno un’ombra su queste poesie, per me ne è la forza, manifestazione della sincerità del loro autore, oltretutto, autore lontano dallo spontaneismo dello sfogo lirico in virtù di una visione realmente complessa,  cosmopolita,  internazionale, universale,  del momento poetico.

Principianti – Raymond Carver

giovedì 27 dicembre 2018







Sicuramente Carver è maestro nel creare situazioni di apparente normalità, banali, ordinarie, in cui progressivamente irrompe qualcosa che distrugge il quadro e rivela l’insensatezza della vita, la sua crudeltà, la sua follia. È come vedere sfaldarsi un tessuto. Assistiamo così al disgregarsi del concetto di normalità.

Questa raccolta di racconti, Principianti, edita in Italia originariamente da Einaudi nel 2009, nella traduzione di Riccardo Duranti,  ha una storia interessante e travagliata. In origine fu pubblicata con un titolo sicuramente più evocativo, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore. Celebre fu l’operazione compiuta sul testo dall’editor Gordon Lish che ne tagliò oltre il 50%, contribuendo in maniera decisiva a creare il mito di Carver autore minimalista, con quei finali sospesi, quelle storie troncate all’improvviso, quella visione scarna e affilata e come mancante di qualche pezzo. Leggendo Principianti, che ripropone i racconti senza i tagli dell’editor  e con i titoli originali,  si ha una visione diversa. Si entra più nella testa di Carver e meno nell’interpretazione che ne diede Lish.

Per me il racconto più bello di questa raccolta è  Una cosa piccola ma buona, presente anche in una delle raccolte successive intitolata Cattedrale,  dove la normalità  è rappresentata da una mamma che compra la torta  per il compleanno di suo figlio Scotty, otto anni. Questo sarà l’inizio di un racconto, che senza svelare troppo, dimostra l’acume e la sensibilità di Carver, e ne svela i meccanismi narrativi. Una famiglia normale, un evento quotidiano e l’imprevisto che trasforma tutto in incubo.

Il procedimento si ripete in altri racconti, un apparente scherzoso corteggiamento si trasforma in violenza, la passione per un laghetto e i suoi pesci rari diventa un’ossessione che porta con sé distruzione e morte, una partita a bingo che, per un  ritardo imprevisto, rimette in discussione la  routine di una coppia di pensionati,  una banale gita di pesca che getta un’ombra inquietante sulla vita di alcune persone, un padre che racconta un episodio del suo passato al  figlio, distruggendone le certezze, un banale litigio da un barbiere che assume una strana valenza simbolica, un ex marito che diventa il persecutore della sua vecchia famiglia.

Carver è probabilmente il principale interprete dal minimalismo americano, anche se egli non si riconobbe mai totalmente in questo movimento che fu tra l’altro forse solo un’abile operazione di marketing letterario.  Carver fu in ogni caso il precursore di tanta narrativa americana e non solo, incentrata su un realismo scarno e su una visione disincantata ma non cinica della realtà. I suoi personaggi sono descritti con perizia psicologica, che si tratti di una donna che rischia di perdere il figlio, di  uomini qualunque cui il destino mette davanti qualcosa più grande di loro, di minorati mentali affetti da un’ossessione, la sua scrittura li esplora con precisione e ne descrive ora la tragedia, ora la follia, ora l’accettazione di qualcosa di fatale.

E questo sembra essere in filigrana il pensiero contenuto in questi racconti: la normalità nasconde quasi sempre la follia e ciascuno di noi vive vite sospese fra incubo e angoscia. Quelle descritte sono spesso tranche de vie che hanno la sostanza di fotografie esistenziali che sembrano nascondere un segreto che, però, non è rivelato del tutto. Così a volte i racconti sembrano concludersi con un nulla di fatto che, però, ha a che fare profondamente con l’estetica dell’autore. Francamente alcuni racconti sono troppo esili e lasciano perplessi, come per esempio La calma, che narra in maniera forse un po’ contorta di un litigio fra clienti di un barbiere. La conclusione è tipica di Carver, vi si accenna a una storia più corposa, lasciata, però, cadere nel vuoto. O ancora non convince il brevissimo racconto Mio, dove una coppia che si sta lasciando si disputa violentemente il possesso del figlio piccolo. Nel bel racconto eponimo, Principianti, una conversazione fra amici finisce per rivelarsi uno struggente apologo dell’amore, dimostrando che in Carver sussisteva un’anima romantica di rara sensibilità, nonostante diversi dei suoi racconti parlino di crisi coniugali, litigi violenti, incomprensioni profonde.

Quelle narrate in questa raccolta sono per lo più vite accennate, momenti che raccontano qualcosa ma non lo esauriscono, è questa la leggerezza con cui Carver avvicina la realtà consapevole di non poter scalfire il diamante del suo nucleo essenziale. Realismo fotografico quello dell’autore americano, in cui spesso i dettagli hanno più peso specifico del soggetto stesso del racconto. Come se Carver volesse raccontare qualcos’altro e fosse spinto misteriosamente a ripiegare sul contorno. Così ciò che nella narrativa di solito è lasciato ai margini a volte in questi racconti si prende tutta la scena.

Inoltre la sensazione è che qualcosa ci sfugga sempre, nella letteratura, come nella vita. Da qui probabilmente l’originalità e la modernità di Raymond Carver che, a trent’anni dalla morte, avvenuta nel 1988, continua a insegnare qualcosa ai giovani narratori di tutto il mondo.