Premio Letterario Internazionale Città di Sarzana

giovedì 8 dicembre 2022


 


 

È con grande orgoglio che vi comunico che “Canti d’Amnios” è risultato finalista alla decima edizione del "Premio Letterario Internazionale Città di Sarzana". Ringrazio la giuria tutta. Riporto di seguito l’intervista che mi ha fatto la gentilissima professoressa Marisa Vigo, in occasione del Festival degli Autori di qualche settimana fa. Esiste anche un video a questo link. Vi ringrazio dell’ascolto.

Ettore Fobo

 

 

Marisa Vigo: Il taglio filosofico esistenzialista Le è connaturato o  trova anche influenze e  solleciti da parte di Autori letti e condivisi?  

 

Ettore Fobo: Penso che molti autori abbiano segnato la mia vita in maniera profonda, in qualche caso forgiandola. Mi considero soprattutto,  più che uno scrittore, più che  un lavoratore, più  che un consumatore, forse persino più  che un poeta, un lettore.

 Fra gli autori che mi hanno segnato sin dall’adolescenza e che hanno avuto un’influenza sulla mia vita, non seconda a quella che hanno avuto i miei genitori e il contesto sociale in cui siamo immersi, cito due nomi su tutti: Charles Baudelaire e Friedrich Nietzsche.

Perché esiste in me  questa rottura radicale, originaria, fondante, con gli enunciati discorsivi dominanti,  direi nella nostra intera civiltà occidentale,  non solo di questa società particolare che ne è un’espressione.

La poesia è questa rivolta linguistica, silenziosa, non appariscente, invisibile, ma non vana perché rinnova  il linguaggio, lo mette davanti ai suoi buchi neri,  ne ritrova la musica segreta. Come ha mostrato Rimbaud, è una rivolta contro il Tempo, contro la Morte, contro Dio. Rivolta per ciò stesso destinata a un terribile scacco. Forse l’intero Novecento ne è testimonianza.

 

2)

M.V: Vuole leggerne una, aggiungendo le Sue considerazioni?

 Leggo Vertigine

 E.F: “Vertigine” è una poesia che ho scritto 10 anni fa e che sintetizza il percorso forse di tutto ”Canti d’Amnios”, anche per questo l’ho scelta come poesia d’apertura.

Si tratta infatti di esplorare quella che io chiamo in questo testo ”musica del principio”; ovvero ciò che precede la razionalità mercantile, come insieme di codici normalizzanti e produce  le concettualizzazioni che ci appesantiscono e  che  impediscono al linguaggio di fluire nel suo moto ondoso originario, amniotico, e il dualismo della logica disgiuntiva sia restituito al gioco albale e ambiguo delle ambivalenze e corrispondenze simboliche.

 

3

 

 Ci parla del Suo stile colloquiale, scegliendo una lirica che lo esemplifichi? (Lapsus a matita)

 

La poesia, almeno per come la vivo io, è la manifestazione di un’ intersoggettività enigmatica, un colloquio tra le voci che ci abitano nel senso di una moltelicità di maschere che alludono, non possono fare altro, a ciò che profondamente siamo, aldilà di cio che ci raccontiamo coscientemente.

La poesia quindi come insieme di voci che colloquiano, anche attraverso il tempo e lo spazio, anzi mettendo in crisi, come ha fatto la fisica contemporanea, queste stesse categorie.

 

Leggo Lapsus a matita

4

A Suo avviso dall'intelligere deriva  la consapevolezza  della superiorità umana,  il dramma della croce non cercata e non voluta,  la ricerca mai raggiunta del varco, o anche una  luce consolatoria?                                                  Dopo la Sua risposta, ascoltiamo anche una poesia che evidenzi il tema

Per Sofocle “Sapere è patire”. Tutta la nostra consapevolezza sembra fermarsi qui. Io vedo questo ma vedo anche altro, il sapere lo considero un risveglio,  preferibile al sonno dell’ignorare. Non c’è però superiorità ontologica dell’uomo sugli altri animali perché ciascun essere vivente realizza la propria essenza secondo necessità.

Leggo I know the world

5

 

Completiamo con la Sua percezione dell’esistenza che non quaglia e che l'affianca alla posizione della poetessa  Piera Oppezzo, vissuta nel secolo scorso, da Lei citata nella Sua Opera. Era convinta che “nella vita o si vive o si scrive". Leggendo la Silloge la funzione da Lei assegnata alla Poesia appare poliedrica,  mutevole, ondivaga, tra il fluire spontaneo e motivato di pensieri e di emozioni, il dubbio che non abbia né vigore, né scopo, l’atteggiamento maudit di chi contesta e dissacra.  Oggi, giunto all'età di 46 anni, pensa che la Sua poesia sia approdata ad un punto fermo? A Lei e ai Suoi versi la risposta.

 

Negli anni sono stato attraversato da numerosi flussi poetici e ho fatto esperienza di visioni differenti della poesia stessa.

Quello che è rimasto costante è la consapevolezza di un incessante divenire che ci plasma indipendentemente dalla nostra volontà cosciente. La poesia è proprio quella sonda utile per captare queste metamorfosi.

Per quanto riguarda la distinzione anche pirandelliana fra vivere e scrivere c’è sicuramente della verità. Non fosse che scrivere ci pone nel nucleo stesso delle nostre umane contraddizioni e quindi è un’esperienza profondamente e spesso terribilmente vitale.

Leggo Amnios

 

Agli amici romani (spettacolo annullato)

domenica 4 dicembre 2022



Quando l’attimo inventa il suo tempo- il teatro di Paolo Spaziani

Suggerisco agli  amici romani di non perdersi l’evento teatrale di Paolo Spaziani, con Letizia Corsini alla regia, che si terrà  al Teatro Stanze Segrete in via della Penitenza a Roma,  lunedi’ 12 dicembre alle 21. Si tratta di una versione di un poemetto di Georges Bataille. Vi rimando al link del teatro.

Di questo straordinario duo di teatranti ho scritto a proposito di un altro evento, che si tenne  a Milano nel febbraio 2018  Lor ga na crur, da testi di Antonin Artaud.

Lo riporto integralmente:

“ Lor Ga Na Crur: Paolo Spaziani incarna Antonin Artaud”

Si inizia con il silenzio, inevitabilmente. L’attore, Paolo Spaziani, è seduto su un cubo e sembra attendere l’ispirazione con un aspetto fra il meditabondo, lo stranito, l’indifferente. Il pubblico lo scruta,  in attesa. Il palco è piccolo, angusto, claustrofobico. Spetterà all’attore rivelare le sue potenzialità nascoste,  dove la parola si riscopre canto. 

Ed ecco dunque,  come un’improvvisa eruzione, che  comincia il dire. Ed è un fiume in piena che utilizza un testo ispirato ad Artaud, accostando le due lingue, francese e italiano,  per ispezionare il limite stesso di ciò che chiamiamo realtà e infrangerlo con l’irruzione nel linguaggio dei segni del caos,  prelinguistico e primordiale,  qui annunciato anche  dalle glossolalie che sono  già nel titolo dello spettacolo, Lor Ga Na Crur. 

Tutto ciò per restituirci le fascinazioni dell’immediato, facendo saltare le sovrastrutture linguistiche, per ridarci il senso di un altrove tanto più potente quanto più la parola è spinta nel precipizio di una dizione puramente musicale. Il testo  è un furente attacco ai concetti di realtà, identità,  essere, Dio, mondo; tutto l’armamentario delle menzogne metafisiche che fanno dell’uomo un recluso sul fondo dell’abisso.

Nell’interpretazione magistrale di Paolo Spaziani la poesia cessa di essere un morto significato letterario per divenire flusso melodico, rituale magico che si contrappone, anche con violenza, alla magia nera sociale, quell’insieme di codici e convenzioni che rendono la nostra esperienza del mondo “tristemente carceraria” come si legge nella presentazione dello spettacolo.

La letteratura viene disintegrata, non è più scrittura ma ritrova l’oralità come suo fondamento. Così Paolo Spaziani riscopre Artaud come fatto musicale, lo reinventa, mescolando con leggerezza i linguaggi, il francese, l’italiano e quello strano grammelot glossolalico che rappresenta la cifra dell’ultimo Artaud. L’estraneità del poeta francese al mondo, alla letteratura, all’essere, al senso, a quello che Auden chiamava ”il dialetto della tribù” e Artaud stesso “la fogna del pensiero di tutti” è assoluta e con rigore assoluto la voce di Spaziani ce la mostra in tutta la sua radicalità. E la crudeltà di questo teatro si rivela soprattutto nella demolizione dei concetti che puntellano le nostre prigioni mentali.

Così,  in questo che è il più piccolo teatro milanese,  il Teatro Studio Frigia Cinque, con una scenografia spartana, una luce fissa e quasi dolente, con la regia di Letizia Corsini, il 16 e il 17 febbraio di questo 2018,  Paolo Spaziani ha regalato due serate indimenticabili di poesia allucinata,  ispirata a questo grande visionario che è stato Antonin Artaud. La voce di Paolo Spaziani, moltiplicando i moduli sonori, ha spaziato dal soffio al grido, dalla dolcezza all’orrore, senza mai perdere in consapevolezza musicale.

Lo spettacolo si riscopre evento e l’attore un negromante che contrappone il rigore scandaloso della propria musica interiore alla volgarità della rappresentazione. Così l’irrappresentabile della poesia demolisce la scena, la disincarna,  la dissipa. Essa non è più il luogo dove si replicano i rapporti di potere in seno alla società ma la crisi stessa di questi in un linguaggio che desidera ardentemente frantumarli. “Arte Anarchica”, si legge nel volantino di presentazione. Tutto si dissolve tranne la voce,  tranne il corpo, questo grande incatenato nel regno della Metafisica e dei concetti.

  Paolo Spaziani diventa Antonin Artaud, se questo nome può designare qualcosa di più di flussi, punti di forza, singolarità e ci restituisce così un’antica idea di teatro; è colui che esce dalla folla e comincia la cadenza di un canto tragico, al ritmo del ditirambo dionisiaco, un’idea antica  certo ma paradossalmente colma di un futuro che oggi pare  impossibile,  quando,  come  ha scritto  Foucault: “ Le parole di Artaud apparterranno al suolo stesso del nostro linguaggio e non alla  sua rottura. “

***

Andate a vedere Paolo Spaziani, in questa sua reinvenzione batailliana se credete che l’atto e l’attimo teatrale, spezzando i codici normativi,  ci possa restituire alla visione di un tempo più  profondo di quello che sperimentiamo vivendo o illudendoci di farlo. Grazie dell’ascolto.

 

Ettore Fobo