Vent’anni dopo

mercoledì 16 marzo 2022

 


Carmelo Bene a vent’anni dalla scomparsa lo ricordo con questo video dell’Amleto televisivo, uno dei tanti Amleti reinventati, parodiati, squartati, messi in musica e in “musica per gli occhi”- così Carmelo definiva il suo cinema- pensiamo almeno a “Un Amleto di meno,  dove l’artefice si rifiuta di mettere in scena la Storia, e così facendo opera da delinquente del pensiero, sregola i sensi e i segni logici, infrange i “codici normalizzanti”  come nelle parole di Maurizio Grande a ancora e ancora ricordiamolo stirneriano nelle midolla del suo interno girare a vuoto, attore  dell’impossibile che in tutte la arti che lo hanno attraversato ha lasciato il segno delle sue ferite di grande poeta incarnato e disincarnato nella scena vuota.

Poeta della scena, della pagina scritta e cancellata insieme, letterato di razza, autore di romanzi memorabili, di saggi parodiati e perfetti nel loro beffardo ghigno alla Ubu Roi. Artefice sommo di un poema dove si sente nitida la voce di un classico, sempre parodia di una classicità oramai impossibile.   Poeta dello schermo cinematografico dove l’immagine rinunciava alla sua egemonia moltiplicandosi forsennatamente fino a cancellarsi. Dissolvenza in niente.

Attore le cui metamorfosi non vestivano il ridicolo manichino di un io ma stracciavano il suo copione e lo confinavano in una angolo della scena a biascicare avemarie.  L’influenza di Carmelo, su tutti noi iperborei abitatori del sottosuolo, è stata ed è enorme. Il futuro è suo e speriamo che finite le dispute legali sull’eredità, noi si possa leggere l’ingente materiale letterario inedito e specialmente il suo poema “Leggenda”.

Ettore Fobo

Una poesia di Mario Luzi

lunedì 14 marzo 2022





Coro secondo

Altro non mi fu dato percepire:

la terra e il suo silenzio

e la città murata

e il fischio desolato dei pianeti:

dalla notte al mattino

al tramonto ho sentito

la morte progredire

in tanti gesti negati

in tante voci represse

e gridi soffocati.

La mia pena è durare

in questa attesa sorda,

in questa cieca consunzione.

Tutto potrebbe rompersi e perire

perdersi e ricominciare,

la penombra fugata

esplodere il chiarore,

dal vuoto e dall’inane

insorgere la forma destinata,

dal tempo sempre uguale

potrebbe nascere il presente

perché in fondo al mio cuore

ritrovassi la forza

d’una parola attuale.

L’ho chiesto, ho supplicato

tanti dei senza altare.

Ma ora che sarà

dove mi volgerò per aver pace?

I pilastri del ponte

rode l’acqua del fiume.



***

Da “Pietra oscura”- Mario Luzi- Scheiwiller – ottobre 2004



Una poesia di Gerardo Diego

mercoledì 2 marzo 2022



Tacere

Tacere, tacere. Non taccio perché voglio,

taccio perché la pena mi si impone,

affinché la parola non detronizzi

il mio silenzio più autentico e profondo.

 

Regna il silenzio, l’artefice austero

che fra due musiche compone un ponte

affinché il labbro ammutolito intoni

verso l’interno, fino all’abisso, il salmo intiero.

 

Io vorrei aprire il bordo del sigillo

svincolare  gli uccelli dell’accordo

per dare loro cielo in un volante arpeggio,

 

se non temessi che lasciando andare il mio ramo

invece del dolce cantico ardente

suonasse la parola che non ama.

 

Gerardo Diego

 

*

Tratta dall’appendice de “La struttura della lirica moderna”-  Hugo Friedrich-  Garzanti 2016-  tradotto dal tedesco da Piero Bernardini Marzolla. Il traduttore della poesia spagnola  in questione mi  è però ignoto.