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Configurazioni dell’ultima riva – Michel Houellebecq

sabato 19 dicembre 2015






Si esce dalla lettura dell’ultimo libro di poesie di Michel Houellebecq,  Configurazioni dell’ultima riva, edito da Bompiani nell’ottobre del 2015, con un persistente senso di incredulità, tanto il libro pare vuoto e scadente. Un vuoto che è proclamato quasi con violenza, espressione di un male di vivere che affonda in un narcisismo che sa essere davvero nauseante, chiuso orgogliosamente in se stesso, senza reali e significativi sbocchi verso l’alterità. Basti pensare che una poesia si chiude così: “scritto da una  carogna, letto da dei cretini.” Incredibile confessione dello scrittore francese, finto ironica e in vera malafede.

Simic scrive che ci sono poeti che trattano i loro lettori da idioti e altri che li trattano da poeti. Houellebecq appartiene, evidentemente e per sua stessa ammissione,  alla prima (malfamata) categoria. Le sue poesie narrano ossessivamente e pressoché unicamente del suo tedio, della sua disperazione vagamente radical chic d’intellettuale alla deriva, del vuoto delle sue giornate e grondano malessere senza via d’uscita, sbattuto in faccia al lettore senza mezzi termini. Abbondano le pose da vecchio scimunito in crisi senile.

Non c’è in tutto il libro una metafora che rimanga, un’immagine che si ricordi, una visione che riscatti dall’angoscia così esibita, misera e forse miserabile. Sembra che Houellebecq miri a impietosirci, il suo libro si legge in mezz’ora e in mezz’ora si dimentica.
Le due traduttrici, Alba Donati e Fausta Garavini, fanno in verità un ottimo lavoro con materiale così scadente.

Già Moravia ci aveva a suo tempo ammorbato con il grottesco Io e lui, dove “lui” è il pene del protagonista, Houellebecq va oltre e immagina senza eufemismi le Memorie di un cazzo, titolo di una delle sezioni che compongono il libro. Cos’è? Un faceto tentativo di trasgressione? Una provocazione da adolescente in ritardo? O piuttosto lo sciocco soggiacere a una moda dove la trasgressione stessa è orpello di un decadentismo scialbo e senza nerbo?

Trasgressivo Houellebecq non lo è mai, anzi, è piuttosto banale, come dimostrano questi versi: “Quelli che hanno paura di morire hanno anche paura di vivere”. Banalità detta con malcelata magniloquenza da rivelazione epocale.

Banale, patetico, sciatto, fastidioso, querulo, questo è l’Houellebecq di Configurazioni dell’ultima riva. L’ultima riva è chiaramente autobiografica come tutto in questo libro inutile che getta una luce diabolicamente sinistra sul suo autore,  che si definisce significativamente “vecchio strippato”,  aspettandosi forse che qualcuno, impietosito, lo prenda da parte e gli dica ”Ma no, non è vero”.

Con Sottomissione Houellebecq si era dimostrato un narratore di razza, pur con evidenti ossessioni sessuali, ora le ossessioni sessuali si prendono tutta la scena e mostrano un poeta mediocre e spaventosamente velleitario, arrivato all’ultima riva o spiaggia della sua ispirazione poetica.

Libro di un narcisista senza vero senso del tragico, turista dell’orrore di vivere, la cui massima tragedia consiste nella disfunzione erettile; Configurazioni dell’ultima riva è davvero un’opera malriuscita. Ci si chiede infine: Houellebecq, ma non è meglio lasciar perdere con la poesia?

uello QQ

Idillio con cagnolino - Alba Donati

sabato 11 luglio 2015




Con Idillio con cagnolino, che Fazi editore propose nel 2013,  Alba Donati riesce nel difficile intento di combinare la quotidianità famigliare dei temi con “l’infinitamente misterioso” mondo dell’immaginazione  e della poesia. Questo è il primo dato, sensibile  e immediato. Il suo è un libro da leggere e da meditare, in cui l’idillio è solo un pretesto;  Alba Donati  descrive  sì la meraviglia dell’infanzia ma  denuncia l’orrore e la violenza contro i bambini di Beslan, per esempio, nell’ultimo straordinario poemetto dedicato a questa vicenda e ci ricorda che ogni favola ha un sempre un risvolto inquietante.

Il titolo  può  essere fuorviante. La poesia eponima, secondo me,  non è tra le più significative della raccolta e l’aspetto idilliaco pare, nella maggior parte dei casi, un modo per sviare. La sostanza del libro non è “l’idillio di una sera cittadina”,  ostentatamente banale nella sua semplicità,   ma la sostanza tragica di cui la vita è impastata, la sua violenza impossibile da capire, la memoria degli amici e dei parenti  morti, il critico Cesare Garboli,  lo scrittore Enzo Siciliano, il vecchio zio Fernando, a cui è dedicata la bella poesia che apre la raccolta.  Certo sullo sfondo di molti di questi versi  rimane potentissimo il sogno di un mondo incantato, a misura di bambina. La cattiveria degli adulti,  però,  irrompe spesso per distruggere questo sogno che altro non è che “la favola della vita”.
 
Sappiamo che in ogni favola c’è il lupo  e la poetessa ce lo ricorda descrivendone diverse tipologie, in una società violenta dove anche la sua figura più efferata,  il serial killer,  è superata “dagli eventi, dal progresso/dai nuovi ricchi” che dispongono il loro ordine fondato sulla sopraffazione. Affiora la consapevolezza tragica che la morte ci sovrasta, che lo stesso Dio,  davanti all’orrore indicibile della violenza umana, non può che urlare, inveire contro tutti, disperato come “uno scrittore russo”. Nella poesia Una bambina Alba Donati racconta di come le donne siano molto facilmente vittime degli uomini, in Contro il capitalismo si scopre che la vera ricchezza è quella dell’immaginazione, “La ricchezza è un rito, una preghiera/che si svolge in segreto,  la notte”, in Gap la distanza spaziale  fra campagna e città si scopre essere anche temporale. “Da qui alla città  passa un’epoca./ Si parla da un millennio a un altro millennio.”

Nella poesia Lucignana Alba Donati realizza il rovescio dell’idillio, lo spaesamento, il mancamento che sembra muovere tutte le cose e sorge come un grido il desiderio di mettere ordine nel gran caos e la poetessa traccia un confine fra sé e la notte, affinché la tenebra non inghiotta il mondo intero. Ecco l’abilità di Alba Donati è mostrare l’idillio ritmando agilmente la sua consonanza con il pensiero infantile e al tempo stesso illuminare chirurgicamente  i brandelli di una  realtà devastata dal caos. 

Così in Pianto per la distruzione di Beslan  abbiamo  un esempio di poesia sulla contemporaneità  di alto livello, con una scrittura frammentata la poetessa ci racconta dell’orrenda strage senza cadere mai nella trappola della poeticizzazione, del sentimentalismo né esibendo una pietà artificiosa. Difficile raccontare in poesia questa vicenda, con sobrietà, senza apparire né troppo freddi e distaccati, né troppo partecipi: il poemetto si regge su fragili equilibri, sospeso fra la cronaca e l’interpretazione dell’evento. Come raccontare il mostruoso?  Questo poemetto è un esempio terso di come si deve procedere oggi. Dopo il passaggio dell’orrore rimane dunque la desolazione:

Adesso non ci sono più canti nella città
né suoni.

C’è un eterno pianto dove prima c’era la gioia.

Non doveva accadere:
la coscienza individuale,
il diritto internazionale
la civiltà del male,
questa bestia sconosciuta, sopravvalutata,
soccombente.”

Così il libro pare sospeso magicamente fra almeno tre  dimensioni: quella incantata e idilliaca, legata agli affetti e all’infanzia, quella intima e dolorosa nel ricordo degli affetti perduti, quella tragica, violenta e insensata della Storia. Alba Donati finisce stranamente per  raccontarci la nostra scissione, la nostra schizofrenia, con uno stile di scrittura terso, piano, dinamico, regalandoci un libro in cui emerge la sua  sensibilità di raffinata interprete del nostro tempo.