Vagando nel deserto

mercoledì 30 dicembre 2015







Nel quarantennale della sua morte scelgo questi versi di Pier Paolo Pasolini per concludere quest’annata del blog. Non sono versi ottimistici -   forse dunque non sono particolarmente  adatti a questi momenti di festa - ma confesso che l’ottimismo non lo tengo in gran credito.  Sono versi intensi che hanno significato molto per me quando ero giovane  e tuttora mi emozionano. Sono i versi che concludono il romanzo “Teorema” del 1969, in cui il personaggio monologante, partito da Milano, finisce per vagare in un deserto probabilmente mediorientale.  Nella mia attuale interpretazione, sganciata dal romanzo,  essi  sintetizzano egregiamente la condizione del poeta,  e più in generale dell’intellettuale, in questi tempi difficili. Buona lettura e buon anno a tutti.

***
“E perché l’urlo,  che, dopo qualche istante,
mi esce furente dalla gola,
non aggiunge nulla all’ambiguità che finora
ha dominato questo mio andare nel deserto?
È impossibile dire che razza di urlo
sia il mio: è vero che è terribile
-        tanto da sfigurarmi i lineamenti
rendendoli simili alle fauci di una bestia
ma è anche, in qualche modo, gioioso,
tanto da ridurmi come un bambino.
È un urlo fatto per invocare l’attenzione di qualcuno
o il suo aiuto; ma anche, forse, per bestemmiarlo.
È un urlo che vuol far sapere,
in questo luogo disabitato, che io esisto,
oppure, che non soltanto esisto,
ma che so. È un urlo
in cui in fondo all’ansia
si sente qualche vile accento di speranza;
oppure un urlo di certezza, assolutamente assurda,
dentro cui risuona, pura, la disperazione.
Ad ogni modo questo è certo: che qualunque cosa
questo mio urlo voglia significare,
esso è destinato a durare oltre ogni possibile fine.”

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tratto da “Teorema” di Pier Paolo Pasolini, Edizione speciale per il Corriere della Sera, 2015.




Configurazioni dell’ultima riva – Michel Houellebecq

sabato 19 dicembre 2015






Si esce dalla lettura dell’ultimo libro di poesie di Michel Houellebecq,  Configurazioni dell’ultima riva, edito da Bompiani nell’ottobre del 2015, con un persistente senso di incredulità, tanto il libro pare vuoto e scadente. Un vuoto che è proclamato quasi con violenza, espressione di un male di vivere che affonda in un narcisismo che sa essere davvero nauseante, chiuso orgogliosamente in se stesso, senza reali e significativi sbocchi verso l’alterità. Basti pensare che una poesia si chiude così: “scritto da una  carogna, letto da dei cretini.” Incredibile confessione dello scrittore francese, finto ironica e in vera malafede.

Simic scrive che ci sono poeti che trattano i loro lettori da idioti e altri che li trattano da poeti. Houellebecq appartiene, evidentemente e per sua stessa ammissione,  alla prima (malfamata) categoria. Le sue poesie narrano ossessivamente e pressoché unicamente del suo tedio, della sua disperazione vagamente radical chic d’intellettuale alla deriva, del vuoto delle sue giornate e grondano malessere senza via d’uscita, sbattuto in faccia al lettore senza mezzi termini. Abbondano le pose da vecchio scimunito in crisi senile.

Non c’è in tutto il libro una metafora che rimanga, un’immagine che si ricordi, una visione che riscatti dall’angoscia così esibita, misera e forse miserabile. Sembra che Houellebecq miri a impietosirci, il suo libro si legge in mezz’ora e in mezz’ora si dimentica.
Le due traduttrici, Alba Donati e Fausta Garavini, fanno in verità un ottimo lavoro con materiale così scadente.

Già Moravia ci aveva a suo tempo ammorbato con il grottesco Io e lui, dove “lui” è il pene del protagonista, Houellebecq va oltre e immagina senza eufemismi le Memorie di un cazzo, titolo di una delle sezioni che compongono il libro. Cos’è? Un faceto tentativo di trasgressione? Una provocazione da adolescente in ritardo? O piuttosto lo sciocco soggiacere a una moda dove la trasgressione stessa è orpello di un decadentismo scialbo e senza nerbo?

Trasgressivo Houellebecq non lo è mai, anzi, è piuttosto banale, come dimostrano questi versi: “Quelli che hanno paura di morire hanno anche paura di vivere”. Banalità detta con malcelata magniloquenza da rivelazione epocale.

Banale, patetico, sciatto, fastidioso, querulo, questo è l’Houellebecq di Configurazioni dell’ultima riva. L’ultima riva è chiaramente autobiografica come tutto in questo libro inutile che getta una luce diabolicamente sinistra sul suo autore,  che si definisce significativamente “vecchio strippato”,  aspettandosi forse che qualcuno, impietosito, lo prenda da parte e gli dica ”Ma no, non è vero”.

Con Sottomissione Houellebecq si era dimostrato un narratore di razza, pur con evidenti ossessioni sessuali, ora le ossessioni sessuali si prendono tutta la scena e mostrano un poeta mediocre e spaventosamente velleitario, arrivato all’ultima riva o spiaggia della sua ispirazione poetica.

Libro di un narcisista senza vero senso del tragico, turista dell’orrore di vivere, la cui massima tragedia consiste nella disfunzione erettile; Configurazioni dell’ultima riva è davvero un’opera malriuscita. Ci si chiede infine: Houellebecq, ma non è meglio lasciar perdere con la poesia?

uello QQ

Piscolabis 6 - Solstizio buio

venerdì 18 dicembre 2015





Letto sul sito della NeoRepubblica Kaotica di Torriglia:

 Sesto appuntamento con le serate musicali e librarie con videoproiezioni di PISCOLABIS, sabato 19 dicembre dalle ore 22 in via Vigevano 2/a (davanti alla Darsena dei Navigli di Milano), casa Gorizia.
Naturalmente ingresso gratuito.

Musical Improvisation by Angelo AVOGARDI, Nicola DI CAPRIO, Federico CAMPO, Marco FONTANA
Words by Luca FALORNI, Mario GAZZOLA, Lukha B. KREMO
Video “L’ignoranza del piacere” by Giona VINTI, regia Luca FALORNI
 Vendita LIBRI ed eBOOK, portatevi la chiavetta o compratela direttamente da noi!

SABATO 19 DICEMBRE, h 22 – Via Vigevano 2/a (Casa Gorizia, davanti alla Darsena dei Navigli, Milano)


Il mostro ama il suo labirinto – Charles Simic

sabato 12 dicembre 2015








Ricordi, storielle, fugaci impressioni, brevi prose, riflessioni critiche, aforismi: questo contengono i taccuini del poeta americano di origine serba Charles Simic, che Adelphi pubblicò nel 2012 nella traduzione di Adriana Bottini, con il titolo Il mostro ama il suo labirinto. Su tutto domina una sprezzante ironia capace di disintegrare le convenzioni, facendo cozzare solennità e quotidianità, banalità e mistero: “La religione:  trasformare il mistero dell’Essere in una figura somigliante al nonno seduto sul vaso. “

Non manca una visione politica di amara disperazione: ”In democrazia, il ruolo principale della stampa libera è quello di nascondere al Paese che è governato da un’oligarchia.”

Così in poche righe acuminate è tratteggiato un universo in fondo concentrazionario, quello umano, tragico ma al tempo stesso ridicolo e spesso anche meschino, cui si oppone l’immensità senza volto e senza misura del cosmo non umano.

L’ironia è la lente attraverso cui Simic vede il mondo. Non è un’ironia leggera, né un feroce sarcasmo, Simic riesce a sostare in una terra di mezzo sospesa fra le due opzioni. Così demistifica se stesso e la realtà, mostrandoci l’aspetto famigliare delle cose solenni e l’aspetto solenne delle cose quotidiane, più una terza interessante dimensione aporetica.

Attraverso la frammentazione di questi testi ci descrive la disgregazione propria della contemporaneità, ormai privata anche di quell’ansia di recuperare un’unità perduta che ha contrassegnato il Novecento. È perciò la sua una felice frammentazione d’idee, contenuti, rapsodiche visioni, frammenti casuali, che non ambiscono a nessuna riunificazione ideale, neppure formale, si sparpagliano sulla pagina, attendendo che uno sguardo si posi su di essi, condivida la loro irriverente, caustica, iconoclasta precisione di aforismi quasi zen.

È un tono minore, minoritario, che fa la bellezza stranita, e spesso straniante, di questi scritti. Non è il tono del classico riconosciuto, consapevole eccessivamente della propria grandezza e un po’ magniloquente, ma la voce di un poeta immigrato (Simic è nato a Belgrado e da bambino si è stabilito con la famiglia negli Stati Uniti). Minore ed estraneo due volte dunque,  in quanto poeta e  in quanto immigrato. Estraneità culturale che Simic esprime stigmatizzando a più riprese gli accademici e i critici del nostro tempo, incapaci,  nella torre d’avorio di una tradizione forse ammuffita,  di leggere la contemporaneità.

Lo sradicamento è perciò frutto della vicenda biografia ma diventa in Simic riflessione ontologica: “Siamo tutti clandestini su una nave di folli.”

Si sentono avvincenti echi baudelairiani: “Stamattina, aprendo il giornale, ho sentito una zaffata di mali a venire”. Uno dei modelli di questi scritti così sembra essere proprio il baudelairiano “cuore messo a nudo”.

Simic è sia cosmico sia quotidiano, sa intrecciare con finezza entrambe le dimensioni, quella del finito con i suoi oggetti enigmatici, gli immancabili orologi, gli specchi, e quella dell’infinito, con le sue vertigini, le sue promesse, il suo enorme silenzio, trovando così il “nesso fra personale e cosmico”, come fanno i poeti che egli definisce popolari.

L’insieme dà allegria, una strana allegria, l’allegria di colui che, come Simic stesso, scopre il mistero al fondo della banalità, le architetture del fato nella nuda semplicità degli oggetti, la cui molteplicità abbaglia: “Ogni oggetto è un’enciclopedia di archetipi”.

Una parte importante di questi taccuini è dedicata a una riflessione critica sulla letteratura e in particolare sulla poesia. Nell’immaginazione poetica Simic vede in fondo, e forse suo malgrado, un veicolo per il trascendente, da ateo esplora una religiosità perfettamente laica, senza bisogno di alcun dio. Ancora una volta gli oggetti più comuni sono le sfingi il cui enigma deve essere sciolto dal poeta, che è colui che indaga la realtà nella sua concreta oggettività e insieme sa catapultarla nell’ignoto della rivelazione, nel regno della veggenza, nell’astrattezza del segno e del simbolo.

Simic racconta così la duplicità di ogni cosa, la profonda ambiguità del reale, con una concisione fredda e chirurgica e ci regala un libro splendido con la consueta geniale noncuranza.

La bellezza di un attimo fuggente è eterna.”

Traduzioni

sabato 5 dicembre 2015





Da qualche anno collaboro con una rivista multilingue romena che si chiama Orizont literar contemporan. È una rivista bimestrale che traduce in romeno autori di tutto il mondo, proponendoli anche  nel loro idioma natale. Recentemente per Editura Pim, casa editrice della rivista, è uscita la traduzione proprio in romeno di una mia antologia, “Musiche per l’oblio”. Essa contiene 24 poesie tratte dalle mie opere edite e inedite,  più due articoli di critica. Presto sarà pubblicata anche la versione in francese. Entrambi i testi sono, naturalmente, bilingui, così oltre alla traduzione in romeno e in francese si potrà leggere la versione originaria in italiano. Per ora dispongo solo di qualche copia della versione tradotta in romeno. I traduttori sono Ana – Maria Oncescu, Daniel Dragomirescu, Mirela Fighiuc, Sanziana Pastina. Chi volesse acquistarla può contattarmi alla mail stranigiorniettorefobo@gmail.com. Potete trovare alcuni estratti cliccando su questo link.

ps: aggiornamento del 4 dicembre 2016

Sono ancora disponibili poche copie delle versioni romena e francese. Nel frattempo è uscita  la versione tradotta in inglese per opera  di  Iulia Andreea Anghel, Ioana Agafitei, Gabriela Apetrei, Elena Tapean.

Ettore Fobo