lunedì 9 settembre 2024
Ettore Fobo
La trama nascosta è più forte di quella manifesta (Eraclito)
Ettore Fobo
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7 febbraio 2011
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da "Aforismi di un bevitore di tè- Ettore Fobo (inedito)
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Etichette: poesie, Tina Caramanico
Che vergogna la poesia! Forse è
solo una variante nobile dell’alienazione, una parente stretta dell’angoscia
umana, come pensano i più. Musil
sosteneva che il poeta fosse soltanto qualcuno a cui un difetto congenito aveva
impedito di fare il giornalista. Sono
anni che m’interrogo su questa vergogna della poesia e cerco di capirne la
cause.
Forse perché la poesia è
spudorata, mistificazione su mistificazione
i poeti creano la verità della propria carne, per cui un poeta è nudo
davanti a tutti, nella sua menzogna e nella sua verità.
Forse perché ci sono troppi velleitari, troppi aspiranti, troppi wannabe, e nessun lettore. Allora essere
poeta diventa la corona del deficiente.
Forse perché il poeta è un isolato,
rinchiuso nel carcere dell’arte, come un delinquente comune, clandestino dentro
il linguaggio, essere fondamentalmente equivoco che si dedica al delitto della
fantasticheria.
Forse perché la poesia è uno
sguardo sul deserto in cui il deserto non ha voglia di rispecchiarsi.
Tanti forse non fanno nessuna
verità, tuttavia rimane la vergogna gozzaniana, la pacca ignorante sulla spalla
che significa “Povero poeta” oppure
fra gli intellettuali ”Puah, un poeta.
“
La più grande verità la scrisse Guido
Gozzano, appunto.
“Io
mi vergogno,/
sì, mi vergogno d'essere un poeta!”
Tuttavia talvolta un poeta è
acclamato come buffone di corte, in genere da morto. Colui a cui capita da vivo
mi comincia a sembrare una foca ammaestrata che scrive versi che nessuno legge
ma di cui tutti tessono lodi imbarazzanti, soggiogati da Fama e Cultura di suddetta
foca.
Il poeta è quasi sempre
personaggio alquanto ridicolo, uno che
non pensa solo di far quattrini, che
fantastica invece di rimboccarsi le maniche e dedicarsi a qualche attività
lucrativa, quindi in questa società follemente
borghese è un essere assurdo.
C’è poi un’
ulteriore colpa che peggiora la sua posizione, se questo poeta ha talento è
spacciato. Lo percepirà soltanto come un peso e un fastidio, come una condanna
all’isolamento. Nessuno lo capirà mai il
suo inutile talento, nessuno darà mai importanza alla sua immaginazione, e
quanto più il suo talento di veggente sarà affinato tanto più il nostro poeta capirà la società indifferente. Ecco cosa
scrive William Carlos Williams:
“E’ un’ossessione di chi ha talento che mediante un attacco diretto o
qualche via traversa dell’intento conquisteranno il plauso del mondo. Cezanne.
E poiché alcuni nella vita un minimo di
plauso l’hanno avuto, la finzione si è perpetuata. Ma la verità è che
l’immaginazione non essendo nulla, nulla
ne sortirà.”
13
luglio 2012
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da "Aforismi di un bevitore di tè"- Ettore Fobo (inedito)
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8 Febbraio 2011
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Nelle dittature si sogna la democrazia, nelle democrazie non si va a
votare, “Perché tanto sono tutti uguali.” Coloro che hanno dato la vita per la
libertà forse non sapevano che a riceverla sarebbero stati perlopiù i devoti
ammiratori dello scimmione assassino, e che volentieri la barattano per una
televisione nuova, per un frigorifero, o
per l’ultimo modello di smartphone. Salvo
poi lamentarsi: “Non ci sono più i valori di una volta”. Così viene sprecato il
lusso della democrazia e popoli interi ipnotizzati vagano, trascinati dal
desiderio di libertà, nome che danno alla più dorata delle loro catene, la più
scintillante.
11- 15 giugno 2014
da "Aforismi di un bevitore di tè"- Ettore Fobo (inedito)
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Più vado avanti con l’età più noto con che sulla Terra c’è pochissimo amore e quel pochissimo che c’è è spesso molesto. La maturità è questa consapevolezza che nell’umano c’è poco di buono e tanto di marcio, fanatico, violento, assurdo. Riconoscersi in questo specchio mi soffocava in gioventù. Dopo che la sofferenza mi ha schiantato, sono rinato scettico. Il mio scetticismo sa che chi non ha mai provato orrore di sé e della Specie è un bruto senz’anima. Da bruti senz’anima è formata la gran massa degli anonimi che vedo sciamare per le strade di Milano ogni giorno, e li vedo attraverso un quadro di Munch, Sera sul viale Karl Johan, in cui sbiadite figure con il volto appena accennato passano su quel viale di Copenaghen come stupefatte o meglio in uno stato di narcosi. Fantasmi sul “panorama elettrico del mondo” come lo chiama Campana. Fantasmi senza un volto, un nome, un senso, un perché. Moltitudine cannibale. Quello che i cristiani chiamano “il prossimo”. Ma la cosa più terribile e che questi figuranti dell’assurdo sono sicuramente tutti animati dalla peste più nera dell’universo: la Speranza. Essa è così malevola che li fa addirittura figliare. Non solo cannibali, non solo feroci e invidiosi, non soltanto fantasmi e nullità rancorose ma soprattutto, nonostante tutto questo o forse a causa di tutto questo, incurabili ottimisti.
24 settembre 2016
da "Aforismi di un bevitore di tè"- Ettore Fobo- inedito
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L’uomo soffre. E allora inventa Dio, rimedio allucinatorio. L’uomo soffre ancora. E allora inventa il Peccato, per soffrire meglio.
10 febbraio 2016
da "Aforismi di un bevitore di tè"- Ettore Fobo (inedito)
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Perché non leggo libri con la parola feeling nell’incipit
Mi piace nello scrittore la
mancanza di ogni attitudine sociale, l’incapacità anche arrogante (me ne sto in
un angolo a depensare) di arringare un pubblico con aria di conoscerlo, di
avere domiciliato nello stesso letto che oggi è fatalmente letto televisivo.
Quindi poca o nulla visibilità televisiva (Debord, Ceronetti), libri che non nascono per intrattenere platee ma per esigenze anche compulsive, viscerali, brutali (Artaud, Sade), facce scavate dallo stile, che è il carattere (Benn, Pasolini). Carattere che è la ferita essenziale della psiche, la grande incisione del collettivo sulla pelle. È nell’urto fra individuo e mondo, nello shock che ne consegue, nell’enorme spargimento di sangue e parole, che si trova la grande letteratura, non nell’acquiescenza a modelli interpretativi a consumo delle folle. E niente consolazione per favore, niente linguaggio plastificato di matrice sociale, niente imitazione della sedicente Verità. Lo stile è la dura conquista della solitudine e dei solitari, il linguaggio si plasma nelle conversazioni interiori, e là che affiora quella bestia sacra chiamata pensiero. La letteratura sia dunque uno sguardo di demone sulle nostre consuetudini angeliche, o viceversa uno sguardo angelico sulle nostre ebrietudini demoniache.
3 ottobre 2010
Ettore Fobo
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Ettore Fobo
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Sto leggendo “Ancestrale”, libro
di poesie di Goliarda Sapienza, edito da “La vita felice” nel marzo 2014, rinvenuto casualmente e fortunosamente in una
libreria di Milano, nel quartiere Isola. Riporto questi dati perché ho letto in
Hillmann che nei sogni la topografia è fondamentale. Sono poesie di un’autrice che io tengo in alta
considerazione, pur avendo letto di lei solo due libri: lo splendido “Università
di Rebibbia”, ecco un altro luogo di questo sogno, e il caustico “Elogio del bar”, terzo luogo ”amorfo
in cui non capita nulla di particolare” e questa definizione ci riporta all’ultimo e definitivo spazio di questo sogno, il bar.
Io lo chiamo “Il Caffè del Satiro Antico”, è nel centro di Milano, in via
Gonzaga. All’ingresso due giganteschi omenoni. Si beve qualcosa, io un tè verde Sencha, voi
non so. Prosit.
INFANZIA 2
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“Se la specie umana sopravvivrà, gli uomini del futuro considereranno la nostra epoca illuminata, immagino, come un vero e proprio secolo d’oscurantismo. Saranno indubbiamente capaci di apprezzare l’ironia di questa situazione in modo più divertente di noi. È di noi che rideranno. Sapranno che ciò che chiamiamo schizofrenia era una delle forme sotto cui - spesso per il tramite di gente del tutto ordinaria - la luce ha cominciato a filtrare attraverso le nostre menti chiuse. La follia non è necessariamente un crollo (breakdown); essa può essere anche una apertura (breakthrough)… L’individuo che fa l’esperienza trascendentale della perdita dell’ego può o non può perdere l’equilibrio in diversi modi. Può allora essere considerato come pazzo. Ma essere pazzo non è necessariamente essere malato, anche se nel nostro mondo i due termini sono diventati complementari… Dal punto di partenza della nostra pseudo-salute mentale, tutto è equivoco. Questa salute non è vera salute. La pazzia degli altri non è vera pazzia. La pazzia dei nostri pazienti è un prodotto della distruzione che imponiamo loro e che essi impongono a se stessi. Nessuno immagini che ci imbattiamo nella vera pazzia, così come non siamo veramente sani di mente. La pazzia con cui abbiamo a che fare è un grossolano travestimento, una falsa apparenza, una grottesca caricatura di ciò che potrebbe essere la guarigione naturale da questa strana integrazione. La vera salute mentale implica in un modo o nell’altro la dissoluzione dell’ego normale…”
Roland Laing
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Ettore Fobo.
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Ettore Fobo
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Da ”Aforismi di Zürau”- Franz Kafka – a cura di Roberto Calasso- Adelphi, maggio 2004
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I
Fra i libri letti da me in quest’anno appena trascorso, alcuni spiccano per potenza filosofica, efficacia espressiva, intensità lirica
di rivelazioni.
Fra i saggi, è un’esperienza immersiva totale
nel pensiero puro, non disgiunto da un originario, dolcissimo e implacabile,
lirismo, la lettura delle “Operette Morali” di Giacomo Leopardi, capace di
toccare e far risuonare molte corde dell’esperienza vitale. Dal libero lirismo
di Elogio degli uccelli, alla comicità allegorica del Dialogo di Copernico e
molto altro.
Lucido atto poetico che diventa politico
è il saggio di Angelo Tonelli, “I Greci in noi”, che recupera la relazione con
il pensiero orfico dell’Unità originaria, in un saggio denso e leggero al tempo
stesso, di una leggerezza profondamente pensata. È un excursus illuminante all’interno
di una visione iniziatica dell’esistenza, visione che dobbiamo recuperare e preservare
dall’assalto della pseudo filosofia transumanista. Attraverso l’intuizione
noetica, come esseri viventi siamo chiamati a rinnovare l’adesione ai primordi
del pensiero filosofico umano, come già aveva visto Giorgio Colli, pena l’esclusione
da una dimensione realmente vitale.
Fra le opere di narrativa, tre
romanzi in particolare mi hanno colpito, svegliato, destato.
“Guerra” di Céline dove il metodo demistificante dello humor nero diventa uno stile affilato come una maledizione, “Gli angeli dello sterminio” di Testori che in una Milano apocalittica vede dissolversi l’intero mondo e la sua personale esistenza e “Neve a primavera” di Yukio Mishima, primo romanzo della sua tetralogia “Il mare della fertilità”, in cui in uno stile di scrittura dalle impalpabili sottigliezze piscologiche, che allarga ogni orizzonte espressivo, esperendo le sue sfumature sommerse, Mishima canta insieme lo splendore raggelato e il declino raggiante di un mondo, quello dell’aristocrazia giapponese d’inizio novecento.
Un’ultima nota sul saggio di
Angelo Giglia: “Perché dobbiamo abolire la scuola? “. Un pamphlet scritto con il
fuoco, stilisticamente ineccepibile, sobrio e necessario, come non se ne
vedevano dai tempi di Papini. In un secondo momento scriverò dei libri di
poesia letti.
Ettore Fobo
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Quello che state per leggere è il Secondo Manifesto del Mitorealismo del Sottosuolo e prima manifestazione del Movimento onlin...