Contro il Buon Senso

giovedì 24 dicembre 2020


 
"Spero non cali mai su di me l'infame buon senso"
Vladimir Majakovskij (citazione a memoria)

Non c’è niente da fare: l’artista autentico - massimamente il poeta, ”l’artista più squalificato di tutti”, come nelle illuminanti parole di Guido Ceronetti -  è  uno stregone che traffica con i bassifondi psichici, un attentato alla pubblica opinione e al suo troppo spesso mostruoso e ripugnante Buon Senso, un delinquente in una parola. Aveva perfettamente ragione Carmelo Bene: l’arte è sempre delinquenziale, il pensiero stesso, aggiungo io,  è un crimine contro gli stereotipi, i luoghi comuni, le “fanfaluche mistiche” che sono la quintessenza di tutte le umane credenze.

 

“Canti d’Amnios” per parole chiave

sabato 12 dicembre 2020


Potete trovare "Canti d'Amnios" ai seguenti link: 

Ibs

Feltrinelli

Hoepli 

Montedit

                                                                    ***

POESIA

La prima parola è inevitabilmente la parola POESIA. Lungi da me proporvi una definizione netta ma alcune cose vorrei dirle. Sappiamo tutti intuitivamente che il linguaggio è il regno dell’ambiguità. Ora la poesia potenzia al massimo grado questa ambiguità originaria,  per cui in poesia una parola viola il principio di non contraddizione per cui A= A E B=B, A  può essere uguale a B o altri termini che B semplicemente evoca.  La poesia è dunque il regno della massima ambiguità semantica, in filosofia si usa il termine aporia quando un significato è indecidibile. In poesia, l’aporia è quasi la regola. Una parola significa alla massima densità concettuale tutto ciò che può significare. Se stessa e il suo contrario e tutte le sfumature cui essa accenna. Ambiguità in questo caso è di per sé una parola equivoca. Perché il sostrato morale che la accompagna forse è un impedimento ulteriore a comprendere ciò che sto cercando di dire. Ambiguo è ciò che è indecidibile, duplice, molteplice. In sanscrito esistono cento parole per designare l’infinito. Ecco una lingua ricca di pensiero. L’italiano non permette questa ricchezza e dicendo infinito pensiamo di aver detto tutto, ci illudiamo. Per farvi capire con una similitudine: se uno scrive un saggio che parla di fotografia, esso ha un oggetto chiaro la fotografia, se scrivo una poesia su una singola fotografia essa non parla più di fotografia ma può dire in maniera misteriosa tutto ciò che la fotografia non mostra direttamente ma tace e tacendo evoca. La poesia non è didascalica, non parla di ma dice direttamente gli abissi che il linguaggio comune cela. Io li chiamo gli effetti quantistici della poesia. La poesia sta al linguaggio comune, quello che usiamo per comunicare, come la fisica subatomica e quantistica sta alla fisica classica. Nessuna solidità concettuale, la massima evaporazione, evanescenza,  fluttuazione dei concetti. La poesia in questo caso, potremmo dire, è l’esplorazione di un’interiorità profonda, subatomica, prelinguistica, che esiste prima dei concetti, prelogica ma non illogica o irrazionale come a volte superficialmente si dice.  il poeta Flavio Ermini usa il termine precategoriale. È il logos in realtà, nelle sua massima potenza di significazione cioè di ambiguità, appunto. Carmelo Bene chiamava giustamente la poesia “arte della sintesi”, momento in cui i concetti si fondono, si con-fondono uno nell’altro.

La seconda parola è AMNIOS, “annesso embrionale che protegge e circonda l’embrione”. Qui ci viene in soccorso un’immagine da un film. È  il feto che si vede alla fine di “2001 Odissea nello spazio”. Perché il feto è proprio il principio di una memoria cosmica, preumana, che precede la formazione della cosiddetta mente logica  cioè del linguaggio,  ciò che precede la parola è il pozzo senza fondo cui attinge il poeta. Parlo di memoria filogenetica, cosmica, il che permette l’accesso a quella universalità di cui il poeta è interprete, veicolo, mezzo.

 

 SILENZIO

 

Il silenzio è il non luogo in cui la musica della poesia sboccia è proprio ciò che la rende possibile, la custodisce potremmo dire.  È correlato nella mia poesia, con la parola GRIDO  che è un grido di dolore muto come nel dipinto di Munch, anche ma soprattutto  è il grido dionisiaco in cui la vastità del silenzio cosmico semplicemente riecheggia e trova una forma  albale, come le vocali Ah o Oh che lo compongono, nel grido di dolore o in quello di stupore.

 

VERTIGINE

 

È il titolo della poesia che apre il libro. È una condizione estatica, dove estasi è etimologicamente ek-stasis, cioè che è fuori dalla mente stessa, la trascende, ancora una volta il silenzio preumano, fetale, cosmico, perché evidentemente non sto parlando di una memoria biografica ma di una memoria composta di sensazioni primordiali, fuggevoli, inesprimibili per loro essenza, perché anticipano il linguaggio come codificazione di questi stessi stati aporetici, quantistici ancora una volta.

 

 

ADOLESCENZA

È  il titolo della seconda poesia contenuta nel libro. Non è tanto una notazione  biografica ma il riferimento a un’età che io considero tragica nel momento in cui si rivela la radicale messa in discussione,  la furente riformulazione di ciò che nell’infanzia si è appreso. Sovversione che Nietzsche,  il filosofo che su di me ha avuto più influenza proprio nell’adolescenza, chiama  trasvalutazione di tutti i valori, valori, cioè i modi che noi usiamo per valutare le cose. È il momento in cui si sente con maggiore potenza il MUTAMENTO come dimensione essenziale di un dinamismo che trova nel divenire il suo compimento.  Contro la staticità dell’essere,  pensato come un assoluto immobile, nei cieli fittizi dell’astrazione. Così l’adolescenza,  se vissuta pienamente,  è sempre catastrofica dove la catastrofe è colta nel suo significato etimologico di rovesciamento. Se tutto è luogo comune, pregiudizio, stereotipo, la poesia mette in crisi questi rassicuranti puntelli della immensa vacuità cosmica che ci fa da sfondo, dove vacuità non è assenza di significato ma di peso, leggerezza estrema, inconsistenza suprema.

FOLLA

Folla è la dimensione in cui l’individualità perde peso, svanisce per così dire. L’aspetto negativo di questo è la spersonalizzazione, cui allude spesso la mia poesia, l’anonimato di chi è etimologicamente senza nome, privato della propria identità, unicità, singolarità. Negli anni Sessanta però si usava l’espressione “sciogliersi nella massa” per riscoprire in questa  fusione oceanica un senso reale di comunità. Ecco il risvolto positivo della parola folla.

SIMBOLO

In poesia, dicevamo, una cosa significa se stessa ma anche altro. È  il senso della metafora, ponte che può unire cose anche distanti. Ancora una volta ci aiuta l’etimologia di simbolo, dal greco sun- ballo, mettere insieme, unire come nel coccio spezzato chiamato sunbolon appunto.

LAPSUS

È una parola ricorrente. Per lapsus s’intende quando qualcuno dice qualcos’altro da ciò che intendeva dire.

È un errore che però, nell’accezione freudiana, permette di capire i moventi inconsci di chi commette l’errore. Per come intendo io la poesia, tale parola  è fondamentale in quanto il poeta dice sempre di più e cose diverse da ciò che coscientemente intendeva dire. Non siamo proprietari del linguaggio, esso ci trascende e dice aldilà di quello che noi vogliamo o pensiamo di dire. Non sono io che parlo dunque ma è il linguaggio che parla attraverso di me,  per cui si potrebbe dire che in poesia è tutto un lapsus.

CAOS

Adorno lo ha detto chiaramente: “L’arte è mettere caos nell’ordine”. Qui pulsa una dimensione aldilà del bene e del male, cioè del semplicistico dualismo che ci forgia nel profondo . Il caos può essere  vitale e liberatorio e l’ordine imprigionante e mortifero, così cose apparentemente opposte non confliggono ma si compenetrano come  nel Tao.

CASO

Anagramma di caos cui è correlata la parola caso è fondamentale. Partiamo da Eraclito: “ La vita è un fanciullo che sposta i pezzi sulla scacchiera: reggimento di un fanciullo”. Ecco sincronicità, connessioni segrete, coincidenze strane,  tutte rette da una forza che sfugge alla razionalità,  cioè ai codici normalizzanti  con cui interpretiamo il reale. Chiamo caso quelle forza più grande e sottile di questa razionalità che come vuole la radice etimologica(ratio) è solo una parte del tutto, una porzione, una razione, appunto. Nel caso con le sue probabilità risuona ancora la convergenza fra fisica quantistica e poesia.

VAGARE, ERRARE

I primi poeti erano aedi vaganti, erranti, come Omero di cui è proverbiale l’erranza. Anche qui ricordo un film: “Il cielo sopra Berlino”, dove si vede un vecchio poeta che girovaga per la città abitato da un canto inesauribile e sconfinato. Errare in italiano significa anche sbagliare, la Divina Commedia stessa inizia con un errore di percorso, il poeta erra ancora una volta, nel duplice senso.

 

 

Presentazione di "Canti d'Amnios"

sabato 21 novembre 2020

 


È possibile acquistare “Canti d’Amnios” ai seguenti link:

Ibs

Feltrinelli 

Hoepli

Montedit 

Qui  potete leggere una poesia tratta dal libro. 

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Traccia di un discorso tenuto il 19 febbraio 2020, in cascina Cappuccina a Melegnano, in provincia di Milano. Presentazione di “Canti d’Amnios

È sempre difficile parlare della propria poesia o di se stessi. C’è da chiedersi perché. Io penso fondamentalmente che nessuno possa conoscere se stesso da solo, che non siamo delle monadi separate ed autoriferite, penso che siamo delle connessioni, delle relazioni, delle risonanze. Penso che quello che chiamo me stesso sia una relazione con gli altri.

È di Nietzsche la lezione antropologica: solo un altro può interpretare noi stessi.  Noi siamo, dentro lo sguardo dell’altro,  ciò che anela a un riconoscimento: tu esisti, tu sei questo, tu sei reale. Questa relazione piena di senso  è ciò a cui noi aneliamo e che chiamiamo amore.

La poesia non è letta, non è conosciuta, non è amata, la poesia è difficile, la poesia disorienta. Per carità, tutto vero, chi sono io:  un poeta? Mi risuonano le parole di due artisti della parola, due poeti.  Uno è un classico della poesia italiana,  Guido Gozzano: “Io mi vergogno sì mi vergogno di essere un poeta”. La vergogna di essere poeta dunque, perché il poeta è spudorato, il poeta si mette a nudo sempre, rivela l’essenza della cose spesso a chi dell’essenza o ha fatto un feticcio e in quanto feticcio ne ha fatto qualcosa di oscuro,  o ha semplicemente dimenticato l’essenza,  preferendo ad essa cosa? La sua nemesi: l’apparenza, per semplificare un discorso altrimenti troppo complesso e labirintico.

Una altro poeta è un classico di fama mondiale, un classico del modernismo:  Ezra Pound.

Egli ci ha detto e per quanto mi riguarda continua a dire: “L’idea italiana della poesia: qualcosa di opprimente e da riverire”. Qui la scuola con la sua metodologia di insegnamento ha enormi responsabilità.

Perché la poesia, arte della sintesi,  non è un contenuto che si può insegnare cioè qualcosa che un professore segna sulla lavagna e che gli studenti vedono e apprendono. La poesia è solo qualcosa che si può evocare nella vertigine di ciò che si trova sull’orlo di un silenzio così profondo da essere inscalfibile. La poesia non si può insegnare ex cathedra,  che vorrebbe dire che una sedicente autorità la impone a dei sottoposti. L’indifferenza e lo sconcerto che la maggior parte della gente nutre per la poesia, secondo me,  è cagionata proprio dalla scuola o almeno la scuola dà alla poesia il colpo di grazia definitivo.

Spiace dirlo,  la scuola è nemica della poesia nella sua essenza. Perché la poesia è musica,  non un significato. La poesia non è tanto  cultura, come spesso  si crede, ha più a che fare con    quello che il noto antropologo Levi Strauss chiama “pensiero selvaggio”. Quella di intellettuale è la maschera che il poeta è costretto a indossare per nascondere la sua vera natura: quella di sciamano, di stregone, di “folle”…

Ciò che ci emoziona di una poesia, ammonisce Eliot, non è mai il suo significato, il suo senso ma il suo ritmo, la sua musica, la sua melodia.

Così invece di insegnare questo la scuola di una poesia fa la parafrasi

Per questo un verso magnifico  come “Sempre caro mi fu quest’ermo colle” diventa un ripugnante “Questa collina mi è sempre piaciuta”. Così facendo noi capiamo,  certo,  ma cosa? La negazione della poesia coincide con la falsa comprensione del suo senso e lo smarrimento della sua musica. Se la poesia non suona dentro di noi,  non risuona, la poesia è un’arte sterile e vana,  per eruditi che hanno perso la sostanza della poesia inseguendone l’ombra.   Se la poesia  non è musica, è la cacofonia del linguaggio contemporaneo  che usiamo per evadere da noi stessi, nell’ alienazione che fa da sfondo a ogni nostro gesto che si svolge sullo schermo dell’apparenza o di quelle trappole psichiche che sono le nostre credenze.

Quindi ora leggerò alcune poesie tratte da questo libro, “Canti d’Amnios”,   cercando di evocare quella musica che io mi sforzo di trarre fuori dal silenzio, che è in esso contenuta e che io mi limito appunto  a tirare fuori, maieutica socratica al servizio di una voce, la mia? No, la nostra perché il poeta dà voce ai miti e i miti sono nel tessuto sociale ciò che il popolo onora e mette in atto simbolicamente,  spesso senza saperlo.

“Canti d’Amnios,” dunque, dove l’amnios è, come recita Wikipedia: “un annesso embrionale che forma una sacca membranosa che circonda e protegge l'embrione”.

Canti del principio potrei chiamarli dove semplicemente il principio è quella musica dell’essere che deve essere custodita dal senso e non degradata semplicemente a comunicazione di un contenuto.

Chissenefrega di quello che penso io.

Pensiamo.

Mettiamo al centro non tanto  ciò che volevo dire, il cosiddetto messaggio ma ciò che dice aldilà delle mie intenzioni coscienti e che potremmo chiamare l’essere.

Perché la poesia, come scrive Hegel, riposa nel grembo dell’essere e ad esso dà voce. Ascoltiamolo.

 

Una poesia di Nicanor Parra

domenica 25 ottobre 2020


 


Il Premio Nobel

Il Premio Nobel per la Lettura
lo dovrebbero dare a me
che sono il lettore ideale
e leggo tutto ciò che trovo:

leggo i nomi delle strade
e le insegne luminose
e le pareti dei bagni
e i nuovi elenchi dei prezzi

e la cronaca nera
e i pronostici del Derby

e le targhe delle auto

per un tipo come me
la parola è una cosa sacra

signori membri della giuria
che ci guadagno a mentirvi
sono un lettore incallito
leggo tutto – non salto
neppure gli annunci economici

certo che ora leggo poco
non dispongo di molto tempo
ma cavolo se ho letto
per questo chiedo che mi diate
il Premio Nobel per la Lettura
al più presto impossibile

 

da L’ultimo spegne la luce”- Nicanor Parra-  traduzione e cura di Matteo Lefèvre -  Bompiani - ottobre 2019