Hotel Insonnia- Charles Simic

venerdì 15 maggio 2009

Quella di Simic è una poesia della quotidianità, dove un incontro con un mendicante, una macelleria, un mozzicone di matita diventano segni emblematici di un’adesione ai dati della realtà, e raramente sono simboli di un cosmo trascendentale. L’unica vera trascendenza sembra essere quella del silenzio stellare, che va ascoltato e che nella sua lontananza è l’unico aspetto divino di una realtà che talvolta sorprende con la sua banalità, altre volte, nasconde dentro un oggetto il suo desiderio quasi sempre inappagato di trascendersi , laddove anche Dio si segnala per la sua “terrificante assenza”. Una scrittura a tratti aforistica che attrae per il residuo di rivelazione, che in essa ama nascondersi fra i dettagli, che lascia pulsare la sua vena gnomica distrattamente, senza darci peso. Così in una strada qualunque, si può incontrare “ questo secolo strano “ e in una testa di bambola che sogghigna scorgere la più implacabile delle derisioni, in una macchinetta di chewing gum ritrovare il contatto con la divinità, terrestre come i personaggi che affollano il libro. Diventare un sasso, un sacco sulle spalle di uno stracciaiolo, sono il tentativo di Simic di essere aderente a una dimensione di perdita e probabilmente di sconfitta, coltivando lo smarrimento come chiave per interpretare il proprio essere nel mondo, cercando di dare un senso alle “moltitudini / chine su un giorno/di lavoro mirabilmente inutile” Anche agli ingannevoli eroismi della mitologia Simic oppone una dimensione In cui “ gli dei tengono il becco chiuso “ permettendo agli uomini che la vita riprenda il suo corso naturale.

E’ una poesia quella di Simic costantemente attenta a quelle piccole cose che costituiscono il fulcro dell’esperienza, aldilà di tutte le esaltazioni, è una poesia fredda, caustica e pungente, costruita con semplicità, che non dà l’impressione di andare abbastanza a fondo e di rimanere volutamente sulla superficie spoglia delle cose. Il poeta non è il creatore di paradisi artificiali, ma l’umile cronista il cui sguardo ironico e disincantato offre la visione di un mondo che sa essere “ freddo come la tomba di un imperatore infante” e fra scazzottate e incontri con un'umanità violenta, il poeta s’inchina davanti agli oggetti di uso quotidiano, quando essi gli rivelano tangibile la sua stessa presenza, altrimenti destinata a una strana evanescenza. L’attitudine alla contemplazione permette a Simic di scindere l’esperienza in frammenti che la restituiscano nella sua potenzialità di fascinazione, così un paio di scarpe, una forchetta, degli insetti, diventano protagonisti della sua poesia, segni di una realtà destinata a essere imperscrutabile, sondata solo attraverso uno sguardo al tempo sprezzante e ironico.

Simic blocca gli oggetti e gli eventi in una sospensione fotografica, ed essi acquistano talvolta un aspetto nobile o inquietante, che cozza con la familiarità ad essi solitamente accordata. Una forchetta può, per esempio, apparire come un uccello mostruoso, le formiche alla ricerca di briciole sembrano indossare “cappelli da quaccheri”, lo specchio è degno di adorazione, ombrelli rotti paiono”funebri aquiloni”. Antieroico- scrive di godere della morte di Achille, Ettore e di tutti gli eroi dell’Iliade - Simic predilige raccontare della gente comune, e così baristi, avventori, vicini di casa, sono l’affresco di umanità di questi versi , impregnati di eventi minimi, con l’interiorità di questi personaggi che non è quasi mai messa in rilievo, essi si segnalano per la loro presenza spesso muta, che rimanda a un più generale mutismo della città stessa ,che parla solo attraverso delle inezie: una donna che si aggiusta la gonna, un barista che riempie il bicchiere del soggetto poetante, un mendicante bambino che agita una bambola, il poeta che legge Shelley e in esso trova il “sempiterno universo delle cose”, delinquenti che passeggiano con la loro aria di sfida.

Un mondo stranamente sospeso in un’opaca rassegnazione evapora nei versi di Simic, impegnato in un viaggio che non porta ad alcuna verità, ma in cui il poeta si propone di aggirare il proprio smarrimento di sradicato con una ironia capace di vedere nelle cose il loro aspetto comico, talvolta farsesco, ma se “i nostri governanti sono pazzi “sulla città raccontata da Simic aleggia come un incubo raggelato, che nessuno, neanche il poeta, ha voglia di fissare fino in fondo. La desolazione scorre su una superficie di ilare indifferenza, o se vogliamo di indulgente rassegnazione, che è come una corazza che protegge il poeta e il lettore con lui da certe catastrofiche miserie subodorate nei versi. Simic lascia pezzi di sé ovunque e la sua poesia appare traversata da una malinconica nostalgia di una dimensione metafisica irrimediabilmente perduta e l’ostentata banalità dei suoi temi testimonia del suo sforzo di recuperare l’incantesimo di una terrestre, quotidiana, o anche solamente simbolica, natura spirituale delle cose.

Hotel Insonnia- Charles Simic- traduzione Andrea Molesini- Adelphi

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